Dopo Lautréamont, che la silura, e dopo Rimbaud, che l’abbandona, la poesia sarebbe dovuta rimanere un esercizio pericoloso, intento a frugare i margini dell’inammissibile. Contestabile e condannabile. Ecco che, invece, un secolo più tardi, siamo costretti a constatare che è successo il contrario: la poesia è tornata a essere un’arte dell’ufficialità, un peccato di gola del piccolo borghese, un rifugio mediatico per uomini politici in cerca di elettori benpensanti, un passatempo per centristi, un premio d’eccellenza rilegato in rosso, un risvolto per la Legion d’onore, una qualifica rassicurante. Come tale, io la nego, quindi non esiste. E mi pongo ben oltre la posizione morale che fu di Adorno, il quale diceva che dopo Auschwitz il ricorso alla poesia non poteva più essere giustificato. Ne abbiamo avuto abbastanza, di sublime a quattro soldi!
Denis Roche, Intervista, in «artpress», n. 198, genn. 1995,
ora in Les grands entretiens d’artpress. Denis Roche,
Imec éditeur, Parigi 2014, pp. 91-92.
https://gammm.org/2015/05/07/due-parole-sulla-poesia-denis-roche-1995/