scritti di aldo tagliaferri su emilio villa: “presentimenti del mondo senza tempo”

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un estratto:

«La leggendaria ostilità di Villa verso il fiorente mercato dell’arte non si riduce all’enunciazione di una posizione teorica, bensì diventa pratica quotidiana, addirittura logorante stile di vita in controtendenza con le aspirazioni medie di un’intellighenzia sempre più integrata in sistemi di produzione dominati dalle regole del profitto più che dall’economia, dalla tecnologia più che dall’amore per la libertà, e Villa tanto più ritira il proprio investimento, in senso psicanalitico, dall’oggetto d’arte quanto più questo, immesso nel mercato, viene ridotto a oggetto di commercio (porne, dicevano i Greci). L’acquisizione di un sicuro valore di mercato, cui spesso ambiscono gli artisti, agli occhi di Villa si trasforma in un segnale di incombente pericolo, perché proprio ciò che è riconosciuto come prezioso dal mercato gli annuncia che è venuto il momento di cambiare aria o oggetto, né la constatazione che su questo argomento molti artisti finiscano col fare orecchi da mercante lo fa deflettere dai propri convincimenti. Un aneddoto che risale all’estate del 1949, o del 1950, può illustrare come, in proposito, l’atteggiamento villiano fosse intransigente, e pertanto destinato a turbare l’ordine pubblico, ancor prima che il mercato. Nello studio dello scultore Edgardo Mannucci, in via Margutta, cenano all’aperto con l’artista e sua moglie, Aurelio Ceccarelli, Villa con la propria compagna di quegli anni, e Letizia Pecci Blunt, proprietaria di una intraprendente galleria d’arte, La Cometa, nonché nipote di papa Leone XIII. Siccome quest’ultima sfoggia uno splendido brillante, una signora chiede se sia possibile guardare da vicino il gioiello, che fa il giro del tavolo e, proprio mentre il brillante è tra le mani di Villa, qualcuno ha la malaugurata idea di chiedere quale sia il suo valore venale. A questo punto, dichiarato coram populo il valore, che risulta molto alto, Villa dà in escandescenze, strilla che ostentazioni del genere non sono tollerabili, mentre tanto penosa è la miseria circostante e a tanti artisti è dato a malapena di sopravvivere. Ciò detto, egli scaglia con ira l’anello nel giardino alle proprie spalle, dove tutti si precipitano a cercare la reliquia, mentre a tavola restano, assorti, come se la cosa non li riguardasse, Villa e la nobildonna».