1.
Non è mia intenzione replicare al fantasioso articolo comparso sul sito Poesia2punto0 parlando a mia volta di Neoavanguardia. O ri-riparlandone.Cosa sia stata e cosa abbia rappresentato questa per il contesto letterario italiano e non solo, lo sa chi si avventuri – con scrupolo e serenità – anche soltanto nell’ultimo volume di un buon manuale di storia letteraria per i licei e l’università.Detto con un tot (abbondante) di ancora e ancora re-reiterata distanza sia storica sia personale (mia) dall’animosità che divideva Verri e Officina:
se Sanguineti (ma, extra-63, Zanzotto) si immerge negli anni Cinquanta del Novecento nell’Informale, e Pasolini in pur splendide terzine in endecasillabi, tale differenza avrebbe dovuto pur dire qualcosa all’Italia di quegli anni. (Non le disse molto, perché l’Italia è specialissimo luogo, e infatti vediamo in che scaffali di poesia siano spesso caduti taluni lettori nei decenni successivi).
Ma bon, questo all’articolista cale poco. Gli preme altro.
A lui evidentemente preme e interessa, a proposito di http://gammm.org (che aborre o non ama e non conosce o non sente ma di cui nel suo pezzo e altrove e da tempo parla assai, parla stranamente volentieri), la “metapoetica”, e la “prevalenza della poetica sull’opera”. Tara che infesterebbe le opere in/di gammm.
Questa che diffonde è (lui pensa sia) una critica, aspra; dunque non è (lui pensa non sia affatto) una misinterpretazione. L’ha ripetuta nel tempo in diverse occasioni, thread e commenti in rete. VALGA per tutti quello, di ben quattro anni or sono, in Nazione indiana:
http://www.nazioneindiana.com/2006/11/19/attenzione-poeti-il-23-a-milano/
Adesso la riprende in un articolo, linkato appunto all’inizio di questa mia risposta, stranamente dedicato a se stesso. (In una allarmata parentesi – che dà voce a un’impressione, magari mia, magari esagerata – ci si potrebbe domandare come mai una persona X dovrebbe definire e delineare con tanta energia, costanza e quasi caparbietà la propria identità di autore e contrario, sotto forma di negativo totale di un ensemble di voci [diversissime fra loro, per altro] al quale non è interessato, che detesta o rigetta o quanto meno non apprezza, e di cui non è in grado di disegnare un ritratto fedele, meno che mai spassionato. Assomiglia, questa, a una formazione o figura interiore personalmente forse psicologicamente utile a lui, ma difficilmente capace, ad extra, ossia per i leggenti letteratura, di fornire un quadro affidabile dei tratti somatici delle scritture prese a pretesto).
L’articolista parla di una “assoluta fiducia nel metodo come fonte inesauribile di regole di produzione di opere”, che gammm come la Neoavanguardia – è a suo dire ovvio – terrebbe non solo come stella fissa, ma come bolo indigeribile e indigerito ricompreso nelle sue (di gammm inteso come blocco) opere creative, non critiche (non solo critiche).
E così procede: “la fiducia di Giuliani [in talune tecniche di scrittura] sembra essere ancora condivisa da alcuni scrittori odierni, e penso in particolare ai membri del gruppo GAMMM, che più di tutti in Italia si situa consapevolmente nel solco della Neoavanguardia (un gruppo, non a caso!)”
Che gammm non sia un gruppo, trovandoci tutti noi itali in un momento storico differente da quello (gruppòforo) del belpaese di mezzo secolo fa, è discorso spesso e volentieri ripetuto dai partecipanti al SITO (non gruppo) gammm, ma talvolta non accolto da lettori e critici. I quali possono avere ragione tuttavia sull’aspetto di laboratorio o area o forse ambiente gammm (“gruppo” nel senso laboratoriale, o di – imprecisa – zona per esperimenti, senza margini geometricamente delineati). Questo dato, laboratoriale e vago, per l’appunto, dà di gammm forse un ritratto sbarazzino, simpatico, meno truce arcigno invasivo monolitico; ma poiché non il laboratorio gammm interessa all’articolista, va da sé che costui dirà “gruppo” tout court senza ulteriori annotazioni. Senza, meglio ancora, problematizzarle. Nonostante si possa immaginare lui sappia che potrebbero e forse dovrebbero essere problematizzate. E nonostante possa saperlo in virtù delle tante e diversissime voci pubblicate da gammm in circa quattro anni di attività.
Ancora (citando dall’articolo): “La prosa di questi autori è caratterizzata dal metalinguismo, dall’autoreferenzialità, dall’uniformità di tono, dal ricorso alla reiterazione e alla serialità dei moduli espressivi, dalla frammentarietà, dal rifiuto del concetto e del giudizio formati, dall’uso di un certo lessico scientifico e tecnico”.
Personalmente, se dovessi scegliere di leggere gammm, sceglierei di leggere tutto il sito gammm (da tanti materiali composto), e dunque troverei scarse o certissimamente non preponderanti corrispondenze con quanto affermato dall’articolista. Specie in tema di “metalinguismo” (che procura forti mal di capo a costui, temo). Se dovessi io poi voler conoscere i materiali dei redattori che fanno il sito gammm, sceglierei di dare almeno una scorsa al loro libro collettivo (certo non esaustivo) Prosa in prosa, uscito per Le Lettere nel 2009. Troverei – in tutti e sei i prosatori, considerandone pure le differenze – quanto segue: (a) nessuna uniformità di tono (intesa come monotonia tematica; essendo la monotonia formale – anche – un gioco utile, se/quando presente); (b) assai rade tracce metalinguistiche (magari, dove presenti, date per ironia – che certo va capìta, in effetti); (c) deciso ricorso alla iterazione e alla serialità (dei “moduli espressivi”??) in parte nella sezione di Bortolotti, nei soli titoli di Broggi (sarà mica funzionale, magari, ciò? ma cosa pensiamo mai…), in parte delle cose di Giovenale, ed esclusivamente nell’uso di paratassi e asindeto in Inglese, stop.
Troveremmo anche: (d) frammentarietà (certo!); e poi (e) non “rifiuto del concetto e del giudizio formati” in Bortolotti, Raos, Inglese, Zaffarano. Giovenale ha parecchie formulazioni di giudizio evidentemente costruite in forma di scherzo e ironia – possibili produttori di conoscenza, per chi la vuole. (Daccapo, si tratta di capirlo, o meglio, di volerlo capire, lo scherzo).
Troveremmo anche (f) “l’uso di un certo lessico scientifico e tecnico”, ma non in tutti: ai lettori (altri, non l’articolista) vedere in chi.
Resta da definire cosa l’articolista intenda per “autoreferenzialità”. Se intende dire che gammm parla di gammm, nei suoi (=di gammm=blocco coeso!) testi in prosa o poetici, sarà durissima per lui fare un fitto regesto di esempi, dato che non credo ci sia un solo caso in tutto Prosa in prosa. Magari mi sbaglio. Attendo che smentisca.
Proseguendo.
Nel perfido confine del sito anzi gruppo anzi blocco marmoreo gammm, le genti sono “eredi della Neoavanguardia”, dice l’articolo. Qui si ri-ri-ripete stancamente, stancantissimo notarlo, lo stanco sfiancato vecchio schema (stanco una quarta volta) per cui gli autori del gruppo 93 (quello sì, per quanto composito e conflittuale, un gruppo-gruppo, ancora) furono immediatamente, nonostante loro precisazioni continue, “accusati” di o “incasellati in” una posizione di “eredi”.
Ovviamente, smentite e precisazioni sono inutili (per dire: nel “verri”, guarda caso, ultimo uscito: l’intervento di, guarda caso, Giovenale). Qualcosa di indefinito nell’aria ci dice che l’articolista non ne terrà conto.
2.
Un momento pressoché aureo giunge nell’articolo quando recita
In tanta parte della poesia nata con la Neoavanguardia, tale soggetto viene arbitrariamente ridotto al suo grado-zero di manipolatore di segni, le cui facoltà intellettuali sono ristrette a permutazioni elementari. È questo un altro espediente vòlto ad ottenere il “controllo assoluto” sulla materia, ma il prezzo da pagare è altissimo. Scegliendo di ridurre l’io chiudendolo in una sorta di campo di concentramento e di sottoporlo a esperimenti un po’ biechi di combinatoria, i Novissimi hanno rifiutato in qualche modo la sfida del concetto. Questa tendenza è ancora viva nella poesia italiana contemporanea, e penso ancora al gruppo GAMMM in cui rifioriscono tecniche tardo-dadaiste di found poetry, cut-up poetry, google poetry etc. in cui il grado di intenzionalità dell’autore e l’attività cognitiva del lettore sono artificialmente mantenuti prossimi allo zero. Trovo la prospettiva di una letteratura che proceda per variazioni quasi infinitesimali di questi metodi particolarmente desolante.
La descrizione di un soggetto (l’articolista scambia il soggetto grammaticale in scena nei testi con il soggetto=autore produttore dei medesimi?) “ridotto al suo grado-zero di manipolatore di segni, le cui facoltà intellettuali sono ristrette a permutazioni elementari” ha più dell’horror che dell’analisi storico-critica di un periodo della vicenda letteraria italiana (ma mondiale) (ma figuriamoci).
Infine, circa il rifiorire di tecniche tardo-dadaiste, siamo alla genialità assurdista. La critica apre nuovi fronti, grazie a infinite risorse di fantasia.
Se di sought (e non [solo] found) poetry gammm parla da qualche anno, il discorso dell’articolista semplicemente si dimostra rivolto a un oggetto che le sue intenzioni (quali che siano) costruiscono nel vuoto, sul vuoto. Cioè un discorso non indirizzato verso un oggetto reale, realisticamente descritto. Non sto a ripetere qui le cose scritte guarda caso in http://www.poesia2punto0.com/2010/10/05/sought-poems. Valgano quelle (ma non varranno: tra quattro anni o quattro minuti l’articolista le rovescerà).
Ci si trova poi di fronte a un gustoso capovolgimento della realtà – puramente – quando si leggono cose tipo “il grado di intenzionalità dell’autore e l’attività cognitiva del lettore sono artificialmente mantenuti prossimi allo zero”.
AL CONTRARIO, dico che elaborare un testo grazie al googlism e alla sought poetry è precisamente riportare in campo una intenzionalità (che il semplice livello “espositivo” del puro-found può d’altro canto ridurre ma non necessariamente annullare).
Porre poi un testo di ricerca, come quelli proposti da gammm (che, detto, en passant, NON sono tutti – assolutamente – frutto di googlism: si pensi a Bortolotti, Broggi, Inglese, per dire), sotto l’insegna di un “movimento zero” da parte del lettore, della sua attività cognitiva, è decisamente dire l’opposto di quel che c’è in campo. Dire nero quando si vede bianco, in definitiva.
Non so più quante volte ho scritto, in rete [p. es. qui] e fuori, che un certo tipo di scrittura di ricerca chiede & richiede precisamente che il lettore vada verso il testo, ossia che impieghi materialmente le proprie facoltà ermeneutiche nel (e le senta sfidate a) cogliere gli elementi ironici, ricostruire i sottotesti e le tradizioni, individuare e separare o trovar sposati l’aleatorio (gioco autoriale) [d]allo strutturante (testualità coesa, rimandi interni al testo), eccetera.
È proprio perché un testo (diciamo ampiamente) sperimentale chiede al lettore di sperimentare nuovi percorsi di lettura, che l’attività del lettore NON è previsto affatto che sia “prossima allo zero”. (In tema, cito volentieri, come già fatto altrove, il saggio di Giuliano Gramigna sull’In-leggibile, che inaugurava la rivista “Testuale”, n.1, gennaio 1984. Riletto non molti giorni fa da Gio Ferri proprio in occasione di una presentazione della rivista a Roma).
Ma daccapo, qualcosa di misterioso nell’aria ci dice che l’articolista non terrà conto di niente di tutto ciò.
3.
Costui è molto confuso, e a me sembra imbarazzante e noioso replicare. Ma lo faccio, dato che la Redazione di Poesia2punto0 ha ritenuto opportuno che uscisse addirittura questa perla sull’homepage del sito: tenetevi forte:
“Il sollievo, la declamazione, il canto di scongiuro sono funzioni essenziali del linguaggio per l’uomo. Non nascondono, ma esprimono e tramandano.”
(Perla riferita alla Neoavanguardia).
Al di là del fatto che sollievo, declamazione, canto e scongiuro non sono stelle fisse=immutabili ma possono essere declinate in infiniti tipi e modi e luoghi, tanto “umani” quanto – daccapo antropologicamente – connotati da storia e società, dunque da contingenza, variazione, assenza, trasformazione, eccetera, mi sembra alla lettera ESILARANTE vedere nell’autore di poesia non dico del riflusso da parola innamorata fine anni ’70 ma proprio di oggi, un personaggio in cerca (o elargitore) di declamazione, canto, scongiuro. Vogliamo aggiungere la preghiera? E sia, anzi, così sia.
Stia certo l’articolista: potrà onestamente e perfino fluvialmente donare ai propri lettori, che gli saranno grati (detto senza ironia), sollievo, canto, eccetera.
Davvero una preghiera, però, qui io levo, non disgiunta da un’invocazione o forse evocazione spiritica diretta a quel povero illuso di Voltaire, affinché ci assista tutti:
che non venga lui articolista a decidere e declamare e suggerire al lettore, che – come vangelo stabilito – tutti e sempre sia scrittori che lettori debbano starsi lieti cheti nel confine del sollievo canto scongiuro eccetera. E che questo costituisca “la” poesia, o la poesia “sempre e per tutti”. Che questa sia dunque regola o La Regola.
Legga i suoi vati, compìto e felice, e assolutamente non legga mai gammm, né una trentina o quarantina d’anni di scrittura di ricerca non italiana tradotta da gammm in appena 4 anni di vita (tanti ne ha, il sito, non gruppo).
Non c’è nessun astio, nessuna animosità, nessuna acrimonia in questo invito. Forse la noia di ripetere cose scritte e riscritte tante volte in questi ultimi anni.
La preghiera o scongiuro o rituale esortativo che qui si tenta di danzare, ci creda o meno l’articolista, è questo: sia egli una buona (e magari ultima-definitiva) volta felice di vedere sempre il meraviglioso scaffale di poesia nelle Librerie Generaliste così com’è, senza nessuno – neanche uno – di quei nomi tradotti o trasmessi da gammm, che tanto lo inquietano. Finché esisteranno letture come le sue, e lettori come lui, non c’è assolutamente nessunissimo pericolo per il contesto antropologico, forse per l’ecosistema!, attuale.
“L’ansia essenzialmente neopositivistica e totalitaria della Neoavanguardia non può essere soddisfatta, se non mutilando il mondo, mutilando il linguaggio, e mutilando il soggetto”, scrive terrorizzato il nostro.
Da (transitivamente) mutilati, dal loro pozzo di dolore, gli autori anzi automi di gammm rivolgono all’articolista un accorato priego: ci dimentichi, sarà felice. Vivendo, mutilando-mi, che male ti fo? Deh, torna all’erbetta, eccetera.
post scriptum
L’articolo che commento si chiude su un’esortazione del suo autore alla poesia dell’inconoscibile; esortazione che mi sembra non necessariamente vaga, anche vaga. Ma – perché no? – condivisibile. E condivisibile precisamente nell’espressione “scrittura di ricerca”, in senso ampio, anche non riferito a gammm. Si tratta di una scrittura che precisamente è ricerca di (e pone come sensato il ricercare) un non-ancora-conosciuto. Un inafferrabile, forse, anche. (Che non è ineffabile, fa bene a sottolinearlo).
È quanto accade – rientrando in area gammm – precisamente in Wunderkammer, di Zaffarano (in Prosa in prosa) o nei Prati di Andrea Inglese (idem). E quanto con freddezza adombrano le prose di Broggi e Bortolotti, e le strutture anarchiche di Raos, e forse perfino le asimmetrie scherzose di Giovenale. Senza contare che quasi tutti i nominati sono autori, in più, di testi esterni al progetto di Prosa in prosa, e a gammm, testi che esattamente e precisamente a una nominazione di ombra (e mantenimento di ombra, e richiesta al lettore di avvicinamento all’inesplicito, all’inesplicitabile, all’inafferrabile nominato) lavorano. Anche un semplice girovagare “via google” (!) nella bibliografia dei suddetti può metterlo in assoluta evidenza. Attraverso testi, e attraverso dichiarazioni di poetica (che non sono nei testi; ma che possono anche essere nei testi).
Si tratta di leggere e studiare quel che c’è, per come è, invece di citare per demolire quel che non si conosce o si rifiuta con l’insistenza della deformazione.
[Carlucci, l’articolista, è talvolta capace di osservazione diretta: si veda il commento all’“ombra” (appunto) di cui parla Giovenale qui: http://www.nazioneindiana.com/2008/03/10/variazioni-meridiano-5-marco-giovenale/ – commento a cui il destinatario non ha risposto per la stessa ragione per cui avrebbe preferito non scrivere ora, oggi, tanto lo scritto che il post scriptum]