Mariasole Ariot
“Tra il 2015 e il 2018 ci sono stati circa 700 casi di abusi domestici che hanno coinvolto agenti di polizia in tutto il Regno Unito, e tra il 2012 e il 2018 sono state presentate quasi 1.500 accuse di molestie sessuali, sfruttamento delle vittime di reati e abusi sui minori contro agenti di polizia in Inghilterra e Galles.” – scrive oggi Claudia Torrisi su Valigia Blu.
Necessario leggere questo articolo a margine del femminicidio di Sarah Everard perché ci dice qualcosa che, ancora una volta, viaggia nel sommerso. In questo caso in Inghilterra. Un’Inghilterra che, a distanza, consideriamo progressista e più avanzata di noi riguardo a certi temi.
Due parole invece che bordano questa vicenda, che dicono la situazione in cui la donna (dico donna e non “il corpo della donna” perché non è solo di corpi che è necessario dire) vive nella nostra società in un’epoca in cui la frattura tra la parola e gli agiti è agghiacciante. La parola di chi dovrebbe raccontarci, certo, ma specialmente la parola di chi – moltissimi – nel fuori fa sfoggio virtuoso di presunto femminismo e vicinanza empatica e poi nell’intimo (e non serve nemmeno arrivare alle mura di casa) rovescia quella parola nel suo contrario. In questo caso è stato un uomo delle forze dell’ordine: paradossale, si dirà. Ma non è paradossale affatto. Mi è accaduto di parlare con una volontaria di un cento antiviolenza italiano, e nello scambio mi hanno colpito tre frasi in particolare che riporto a memoria, ma sono ben impresse:
1. Chiediamo aiuti, abbiamo bisogno di parlare, di divulgare, di far conoscere per poter aiutare, di operare per un’educazione migliore rispetto a queste questioni, anche solo banalmente per far capire che ci sono luoghi in cui chiedere aiuto. Riparo. Ma le istituzioni non sembrano interessate, in fondo ci ritroviamo sole.
2. La maggior parte delle violenze domestiche, al di là dei pregiudizi che vengono fomentati da una certa informazione, non è certo attuata da camionisti bevaccioni, immigrati, alcolizzati, poveri. Chi viene qui a denunciare abusi psicologici o fisici sono mediamente mogli e compagne di: uomini delle forze dell’ordine, avvocati e libero professionisti, e insegnanti.
3. Quando arrivano a denunciare? – ho chiesto. A volte mai, mi ha risposto. A volte dopo 40 anni di convivenza.
4. Il sentimento più diffuso? La vergogna.
L’uomo che ha ucciso Sarah Everard era un poliziotto, che come si evince dall’articolo faceva parte di chi, nei giorni precedenti, andava di casa in casa a dire alle donne di non uscire di casa dopo una certa ora (perché è la donna che deve autoproteggersi e autolimitarsi per scamparla, questo il messaggio). Un poliziotto, un uomo che, come la volontaria mi raccontava, sta nelle categorie degli uomini più maltrattanti.
Le tre categorie che ha indicato sono categorie di persone che già stanno in posizioni asimmetriche all’interno della società. Un’asimmetria non tanto economica (questo è secondario) ma di potere. Non stupisce quindi, anche se ci stupisce, che sia proprio là dove l’asimmetria di potere è già presente, è pre-presente, che la si cavalchi fino a questi esiti o ad esiti meno tragici del femminicidio ma di abusi perpetrati negli anni.
Come dicevo recentemente nel post di un amico, mi è capitato di cercare un ostello, quest’estate, per un giro in solitario ed economico. E mi sono ritrovata quasi per caso ad alloggiare in un contesto doloroso ma che dovrebbe essere un esempio (e spero davvero che negli interstizi ci siano altre zone come quella): la camerata adibita a ostello, infatti, era situata all’interno di una struttura ospitante donne e ragazze madri coi figli rifugiate lì a causa delle ripetute violenze domestiche. L’ostello un’iniziativa volta a finanziare la stuttura. C’erano bimbi ovunque, piccoli appartamenti singoli per famiglie e per donne. Una sera, dopo una breve conversazione sul terrazzo che dava sui tetti della città, una ragazza con un figlio di appena un anno mi ha invitata nel suo piccolo appartamentino. Abbiamo parlato fino alle 2 di notte sgranocchiando qualcosa e bevendo una tisana. Lei, croata, era arrivata in Italia “agganciata” su facebook da un uomo di qui che le prometteva amore e le presentava un’ipotesi di vita futura meravigliosa. Fiori, poesie, delicatezze. E’ partita, ha abbandonato tutto per amore, si sentiva come una ragazzina al primo appuntamento. Se n’è davvero innamorata. Prima di rimanere incinta è cominciato l’inferno – e viveva lì col bambino in attesa che le denunce sporte avessero effetto, con le costanti minacce di lui che le arrivavano ogni giorno, abbinate ai ti prego torna non lo farò più. Ora viveva lì, protetta, ma con la paura di uscire: sto cercando di ricominciare una vita ma non sono pronta. E poi lui potrebbe trovarmi, se esco.
Una comunità, con tutte le difficoltà del vivere in comune: una donna veronese usciva al mattino per lavoro e tornava a sera, un’altra ragazza estone, esile e che parlava tre lingue aiutava in cucina e aveva una figlioletta di pochi anni, poi c’erano donne più anziane con sei, con anche cinque figli a carico, fuggite al marito, una zona per fare i compiti, una piccola biblioteca, le sigarette nei terrazzini.
Già da molti anni si discute, si parla, e sono attivi, centri antiviolenza ribaltati: gruppi di uomini maltrattanti che dovrebbero aiutarsi a non esserlo più. Ora, personalmente non credo che questi luoghi siano molto frequentati, ma mi sa un po’ di farsa: a maltrattare una donna non lo si fa per dipendenza. Chi lo fa si nutre di questo e del potere che ne ricava, e infatti non avrebbe alcuna motivazione a bussare alla porta di un’associazione che lo dovrebbe “aiutare” a non fare ciò per cui, strutturalmente, sta bene. Se sono frequentati, immagino lo siano prevalentemente da uomini con problemi di altre dipendenze che perdono la ragione in determinati frangenti e che, unitamente a un percorso di uscita dall’alcolismo o dall’uso di sostanze pesanti, vogliono lavorare anche per migliorare o recuperare le relazioni che stanno perdendo. Ovvero: le categorie di uomini che si crede siano quelle da cui attingere per trovare l’abusante medio, quando invece è necessario spostare lo sguardo altrove.
E come ancora dicevo a margine al post del mio amico: non prendiamoci in giro: se non ci sono luoghi come l’ostello/zona protetta di cui sopra anche per gli uomini, non è perché ve n’è carenza, è perché non ce n’è bisogno. Donne abusanti ne esistono, certo, ma non per cultura.
Oggi invece è necessario ri-parlare della violenza agita nei confronti delle donne da un punto di vista culturale, sociale, e politico. Perché è ovunque, perché la cultura ne è imbevuta, nei passaggi all’atto come nel linguaggio. L’articolo di Valigia Blu, “Uccisa dal sistema che avrebbe dovuto proteggerla” ci parla di questo. Ci parla anche di un sistema in cui si punta – per proteggerla – a dire alla donna di non uscire, a (sottilmente) colpevolizzarla se esce sola dopo una certa ora, ci parla del victim blaming: perché è questo che comunemente viene fatto, ed è anche uno dei maggiori motivi di mancate denunce da parte delle vittime che hanno paura di subire anche questa ulteriore forma d abuso. L’articolo racconta dell’Inghilterra. Ma è un racconto che, almeno in parte, con i dovuti distinguo nei dati specifici, potrebbe essere esteso a molti altri paesi.