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since it is possible to leave google+ without leaving gmail &tc, i preferred to keep my fb account, and i quit some other oppressive or boring “social nothing” (=social duties in being a gallant smart 1 instead of a poor unplugged 0). (i –often– love to be an anonymous 0).

in google+ i foresee the umpteenth example of my messy future. i don’t need more internet. i feel i’m already trapped. (i don’t need ‘another’ gossamer). (am starting being mad at ‘this’ web. seems like a do-it-yourself jail. “we give you the cage walls for free, you do the work & trap yourself & bring yr friends into”)…

Pratiche di détournement nella città-zombie

ricevo e volentieri diffondo:

Pratiche di détournement nella città-zombie


di Drobedj Yuhg  [*]

Ci sono città-museo, città che coincidono senza resti, o quasi, con una spazio espositivo integrale. L’Aquila, come Venezia – e forse ancora più di essa – è una di queste. In gran parte museificata, sottratta cioè all’uso comune e alle forme di abitazione originarie, relegata in maniera più o meno estesa in una sorta di spazio di indisponibilità (la cosiddetta “Zona Rossa” che dal 6 aprile 2009, giorno del catastrofico terremoto che ha investito il capoluogo abruzzese e i suoi dintorni, è stata istituita per tenere lontani i cittadini dagli edifici e i quartieri del centro storico più disastrato e pericoloso) L’Aquila è infatti diventata oggi una gigantesca Gesamtkunstwerk (un’Opera d’Arte Totale), come forse non se ne trovano in nessun’altra parte del mondo – men che meno nell’ambito della produzione artistica in senso più o meno canonizzato. Un’Opera d’Arte Totale che, fino a ieri, aspettava solo di essere riconosciuta come tale. Siano dunque encomiati gli anonimi (come chiamarli? non certo artisti!; operatori? visionari? semplici tecnici in grado di servirsi in maniera non usuale di tecnologie più o meno avanzate ma comunque già disponibili?) autori del gesto che ha letteralmente reso visibile quello che era sotto gli occhi di tutti gli (ex)abitanti di questa città, quel Reale angoscioso, come lo avrebbe chiamato Jacques Lacan, che tutti si ostinavano a rimuovere e denegare. Cresciuti con ogni probabilità compulsando i testi dell’internazionale situazionista, ma anche cercando di cogliere i limiti di quanto ancora di “artistico” o “sociologico” c’era nelle pratiche di “deriva urbana” e di “descrizione psicogeografica” di quell’avanguardia, essi – non sappiamo con precisione al momento quanti siano – hanno avuto il merito indiscutibile di rivelare la dimensione per certi versi inedita in cui è entrata L’Aquila, e di conseguenza i suoi stralunati, in senso etimologico, abitanti. Quale dimensione? La si potrebbe definire per brevità in questo modo: Continua a leggere

Accolto il ricorso presentato dalla Fiat

La notte tra il 6 e il 7 luglio 2010, nel corso di uno sciopero in Fiat, viene contestato a Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli di aver bloccato un carrello allo scopo di interrompere la produzione.

Il licenziamento diviene effettivo nove giorni dopo. Il giudice del lavoro di Melfi Emilio Minio, con un decreto d’urgenza datato10 agosto 2010, rimette in servizio i tre. La Fiat presenta ricorso.

Dei giorni scorsi è la notizia che il giudice del lavoro Amerigo Palma ha accolto il ricorso della Fiat contro il reintegro dei tre operai.

Per approfondire gli aspetti legati alla sentenza e alle ragioni di Giovanni Barozzino, Editori Riuniti propone il libro Ci volevano con la terza media.