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scott italiano?

Prometheus è un film imbarazzante. Non ho letto che rade critiche fin qui. Così, da spettatore e nient’altro, nient’altro ho fatto che vedere il film.

Direi che la maggior puntualità dimostrata da questa pellicola è la sostituzione pressoché integrale degli effetti (neanche poi eclatanti) e di una confusione adolescenziale a una qualsiasi idea, anche incoerente; a una qualsiasi scrittura (e messa in crisi della stessa). Soprattutto: a un’ipotesi di sci-fi movie di qualità.

Sembra un film bloccato, di lentezza pretenziosa (dove riesce a non far baccano). Nessun fotogramma è veramente in grado di perdersi, staccarsi dal gioco. Ma se e dove entra nel gioco, nella trama, volenterosamente imponendosi di ostacolarla, e non far trama, è perso: ma, appunto, perso male. (In un’intercapedine dove la scena non è più fumettone e però non sarà mai riflessa in noi / non sarà nuovo codice. Non la ripenseremo mai). (Quali memorabilia ne riteniamo?).

Ci sta dando indicazioni sul prossimo film? Dissemina “indizi”? Su e per Prometheus 2? Dovrebbe essere un valore, questo? Quanto scemi vengono giudicati gli spettatori dalla produzione che ha avuto la bella pensata? Quanto sprovveduto sarà mai il customer che compra questa scarpa sinistra e saltella al botteghino impaziente di farsi vendere anche la destra?

Forse è solo un esempio di mancata migrazione delle anime: Scott probabilmente ha tentato di incarnarsi in un’idea europea di fumettone, mentre tutto intorno dà (e tutti tranne lui hanno) chiara l’idea degli studios di mamma H.

Poi c’è il lato ancora più profondamente imbarazzante. Perfino italiano. (Come se il film intero fosse un poeta italiano che declama il suo cartiglio epico, mano al cuore e penna alata nel berretto).

Non so cosa ne pensano i critici, ma – per dire – vedere una regia e una sceneggiatura che mi impongono seriamente la scena di una lavatrice automatica che fa un cesareo è la perfetta traduzione in film del concetto di “flarf”. Solo che il flarf è intenzionale. Il film no. Non si accorge della propria inguardabilità. Non la vede, non la pensa.

Daccapo una neonuova nuova epica, insomma. Che non sa di far ridere. (E gli spettatori un tot avveduti, intuendolo, nemmeno ridono).

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