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pagine estive (o quasi) che vanno bene anche per l’autunno _ (19) poche ingenuità su “dopo il simbolico”

e se si stesse passando da una fase antropologica di pensiero simbolico a una fase connotata da un altro tipo di pensiero?

ovviamente nel macro-contenitore |il simbolico| sto facendo passare o entrare e stare cose che non sono strettamente legate al simbolo, ma anche alle – differenti – tracce e forme e modi del paragone, dell’allegoria, genericamente, così come dei vettori che capovolgono o problematizzano (o allontanano da) quella corrispondenza o possibilità di corrispondenza: quindi la dissimmetria, l’antitesi, la differenza stessa –

volendo: il duale

e – con questo – l’implicito cursore che all’interno di una visione/visualizzazione di un duale si mette in movimento, facendo spola e costruendo non solo ponti ma direzioni terze, quarte, ennesime.

ora: se questo movimento cursorio fosse “in crisi”? (una crisi più profonda di quella che evidentemente gli dà comunque già fondamento?) (dato che pensare un cursore pacificato è pensare un ossimoro).

allora: se questo momento ancora animale nell’anthropos stesse mutando pelle, staccandosi da sé? se non ci fossero più arnie da cui ronzare fuori, cellette in cui tornare?

domanda, allora:

se stessimo superando [o arrivando al lento affioramento di una qualche forma di coscienza normale e serena del fatto che abbiamo già superato] forse non il simbolico e il duale, o l’abbinante, ma l’implicita richiesta di 1 che è in ogni 1 che entra in relazione con un 2?

ossia: la percezione il pensiero le persone in generale si trovano forse a oltrepassare – in una fase recente di storia – la proiezione (o il meccanismo proiettivo) che fa sì che l’1 rilanci sé, come 1, in un 2 che lui stesso così si precostruisce, si prearreda, e di cui organa fin le ultime minime fibre di feedback?

come sarebbe il testo di qualcuno che non riuscisse (più) a concepire l’altro, l’opposto, il differire stesso, e gli oggetti e le persone attorno come specchio e raddoppiamento? non riuscendo né mirando in nessun modo dunque a dar loro lo statuto di testimonianza del medesimo?

non mina, questo, il duale? meglio: non mina il mimare?

tutto questo non fa forse sì che il soggetto dell’inconscio smetta di cercarsi & credere di trovarsi un ego (a propria – presunta – immagine e somiglianza) appropriato? non arriverà allora, questo soggetto, a poter gettare in lingua le cose non più come lui se le figura, ossia non come somiglianze orme calchi utili (o inutili) bensì come naturalmente sono, cioè come alterità integrali e staccate e integralmente prive di rapporto rassicurante (o meno) con lui e con il suo esprimersi?

non sarà restio a (anzi alieno in tutto dal) dare alla propria voce già il timbro di quella costruzione egotica che lui medesimo vuole l’altro intraveda? non sarà talmente lontano dal millantarsi solido e coeso, da lasciare del tutto all’altro-come-altro la (non più) propria voce?

non sarà sempre improprio, inopportuno?

non sarà in grado di sostenere la voce degli oggetti, di lasciare agli oggetti lo spazio del linguaggio?

poche ingenuità su “dopo il simbolico”

e se si stesse passando da una fase antropologica di pensiero simbolico a una fase connotata da un altro tipo di pensiero?

ovviamente nel macro-contenitore |il simbolico| sto facendo passare o entrare e stare cose che non sono strettamente legate al simbolo, ma anche alle – differenti – tracce e forme e modi del paragone, dell’allegoria, genericamente, così come dei vettori che capovolgono o problematizzano (o allontanano da) quella corrispondenza o possibilità di corrispondenza: quindi la dissimmetria, l’antitesi, la differenza stessa –

volendo: il duale

e – con questo – l’implicito cursore che all’interno di una visione/visualizzazione di un duale si mette in movimento, facendo spola e costruendo non solo ponti ma direzioni terze, quarte, ennesime.

ora: se questo movimento cursorio fosse “in crisi”? (una crisi più profonda di quella che evidentemente gli dà comunque già fondamento?) (dato che pensare un cursore pacificato è pensare un ossimoro).

allora: se questo momento ancora animale nell’anthropos stesse mutando pelle, staccandosi da sé? se non ci fossero più arnie da cui ronzare fuori, cellette in cui tornare?

domanda, allora:

se stessimo superando [o arrivando al lento affioramento di una qualche forma di coscienza normale e serena del fatto che abbiamo già superato] forse non il simbolico e il duale, o l’abbinante, ma l’implicita richiesta di 1 che è in ogni 1 che entra in relazione con un 2?

ossia: la percezione il pensiero le persone in generale si trovano forse a oltrepassare – in una fase recente di storia – la proiezione (o il meccanismo proiettivo) che fa sì che l’1 rilanci sé, come 1, in un 2 che lui stesso così si precostruisce, si prearreda, e di cui organa fin le ultime minime fibre di feedback?

come sarebbe il testo di qualcuno che non riuscisse (più) a concepire l’altro, l’opposto, il differire stesso, e gli oggetti e le persone attorno come specchio e raddoppiamento? non riuscendo né mirando  in nessun modo dunque a dar loro lo statuto di testimonianza del medesimo?

non mina, questo, il duale? meglio: non mina il mimare?

tutto questo non fa forse sì che il soggetto dell’inconscio smetta di cercarsi & credere di trovarsi un ego (a propria – presunta – immagine e somiglianza) appropriato? non arriverà allora, questo soggetto, a poter gettare in lingua le cose non più come lui se le figura, ossia non come somiglianze orme calchi utili (o inutili) bensì come naturalmente sono, cioè come alterità integrali e staccate e integralmente prive di rapporto rassicurante (o meno) con lui e con il suo esprimersi?

non sarà restio a (anzi alieno in tutto dal) dare alla propria voce già il timbro di quella costruzione egotica che lui medesimo vuole l’altro intraveda? non sarà talmente lontano dal millantarsi solido e coeso, da lasciare del tutto all’altro-come-altro la (non più) propria voce?

non sarà sempre improprio, inopportuno?

non sarà in grado di sostenere la voce degli oggetti, di lasciare agli oggetti lo spazio del linguaggio?