[ per il 23 novembre ]
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credo ovvero ho creduto nella struttura a raggiera del lavoro artistico. ossia in una opera-di-opere che fosse non la somma scontata ma la ramificazione incontrollata delle poetiche e delle prassi di un Novecento ormai fatto (da sé) altro da sé. (moltiplicato nelle innumerevoli ipotesi di mappa che il territorio stesso produce, in virtù degli infiniti specchi che ha, che è).
questa opera si chiamerà, spostata come deve essere nel futuro, Delle restrizioni.
è distribuita e organizzata sui piani creati dai vari libri scritti e da scrivere negli anni, dunque la sua superficie complessiva (che, come superficie, non c’è; o ha n dimensioni) sarà visibile nel tempo. (se il tempo crederà che questo itinerario meriti sguardo).
di qui la difficoltà che incontro ogni volta che intervengo o sono chiamato a fare una lettura ‘connotata’, ossia non legata a un’occasione particolare, a un tema, all’uscita di un libro; ma semmai orientata secondo uno degli assi di crescita della raggiera descritta.
nel caso dell’incontro del 23 novembre si tratta dell’asse della “ricerca”. della scrittura di ricerca.
devo allora dire che – come in altre occasioni ho sottolineato – tutta la scrittura, se ha qualità, è di ricerca. nel senso che sposta e riconfigura in modo inedito la rete di variabili e costanti di linguaggio dalle quali aveva pur preso origine. (fa di sé un motore di senso che lascia sospettare più elementi di quelli da cui pure è costituito).
certo, in questa occasione di incontro, presso la Casa della poesia, è opportuno marcare un campo di forme. uno stile, o più stili.
ma se mi si chiede di uscire allo scoperto e – additando le strutture e i componenti della raggiera di Delle restrizioni – esplicitare quale tra questi io intenda ‘promuovere’, non posso che trovarmi a reindicarli tutti, senza dare a nessuno di essi il privilegio (o l’arbitrio) di tenere solo per sé la categoria “ricerca”.
qui espongo appena tre tracce:
– scritture della dissoluzione del tempo, delle relazioni, degli spazi, delle cose. dunque alta presenza di allegorie (specie nella forma delle allegorie cave), di sintassi barocca ma non incontrollata, di accumuli. wunderkammern.
– scritture della malattia, dei codici del dolore, e della segregazione-difesa. dunque alta presenza di realtà e apparenze di spazi narrativi, ma senza nessun realismo e nessun “romanzo”. (le poesie di Shelter danno conto di questo lavoro; ma anche quelle di Criterio dei vetri, che uscirà per Oèdipus – e che adesso è leggibile in una selezione su “Poesia” di questo mese).
– scrittura della frammentazione e di cut-up, citazione, sovrapposizioni di codici (anche visivi e sonori), random-texts, google/flarf poetry, e altri procedimenti di disintegrazione dei materiali o ipersemplificazione dei messaggi. (ma anche: massicce steli e volumetrie alfabetiche debordanti, cataste di segnali: installazioni).
su queste basi non necessariamente si scrive un‘opera. più facilmente uno sciame di testi che si intrecciano e talvolta si sovrappongono.
arrivo in ogni caso (trafelato) alla lettura del 23 novembre non potendo portare uno o più oggetti testuali che chiariscano una volta per tutte – o anche solo questa volta – che “cosa” intendo per scrittura di ricerca. né che “cosa” è la mia scrittura.
necessariamente, nel contesto dell’opera-di-opere, la scrittura è le scritture, è l’impianto di deviazioni a cui siamo sottoposti, è l’avventura saggistica, a volte (come qui, come altrove), è un flowchart di formazioni – niente affatto tutte deliranti – che chiedono ascolto, ramificandosi come frattali, allo stesso tempo: dunque problematizzando quello stesso ascolto. chiamandone in causa alcuni presupposti. ridiscutendoli