Archivio mensile:Ottobre 2008
Visione, voce, dovere. Il TIRESIA di Giuliano Mesa
La Camera verde pubblica Tiresia, di Giuliano Mesa, in un’edizione in cui il testo italiano è accompagnato dalle traduzioni in inglese, francese, tedesco e spagnolo; dalle opere visive di Matias Guerra; e da un cd in cui Mesa legge non il solo poemetto ma anche una serie di altri testi precedentemente pubblicati.
Tiresia è opera uscita in riviste più volte, e presentata in festival in Italia e all’estero. Questo libro, multilingue, costituisce così un’edizione di riferimento.
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1.
Il primo verso del poema dedicato all’indovino cieco inizia con «Vedi», non per paradosso. L’indovino cieco sa, vede e di fatto intende meglio che attraverso una percezione puramente ‘retinica’. La sua è conoscenza del male della città: «La città è malata» (Antigone).
I sovrani sono cause o concause del guasto, e hanno logicamente in odio la verità. Così l’esortazione di Tiresia cieco allo sguardo diretto è senza mezzi termini anche un incitamento politico – a difesa della polis – alla voce: «tu, se sai dire, dillo, dillo a qualcuno» (ultimo verso del secondo testo). Riferire (dire + ferire ancora): vedere/dire o vedere=dire: un verbevoir che Emilio Villa avrebbe salutato con favore.
2.
Il poemetto procede per brani intitolati oracoli e riflessi. Gli oracoli sono cinque: “ornitomanzia”, “piromanzia”, “iatromanzia”, “oniromanzia”, “necromanzia”. Vi si affrontano eventi come la frana in una discarica di Manila; l’incendio di una fabbrica di bambole a Bangkok dove ragazzine lavorano in stato di schiavitù; gli esperimenti con materiali radioattivi svolti su civili ignari; l’espianto di organi dai bambini; e il tema dei campi di morte, delle fosse comuni.
Non si ‘divina’ nulla ‘attraverso’ tali ‘strumenti’. Perché strumenti non sono; non riportano un futuro; invadono semmai in pieno il presente e il passato, e la parola. Sono i contenuti della visione. Il cieco Tiresia non preconizza, testimonia. L’ornitomanzia fa leggere – nel volo degli uccelli affamati di spazzatura e di cibo, che devastano una baraccopoli e aggrediscono gli abitanti a loro volta travolti da una frana – il risvolto della società dello spreco. Può esistere scialo di ricchezze solo perché e in quanto esistono milioni di poveri. Attivamente il nostro stile di vita fabbrica la discarica di Manila. Siamo noi a generare la devastazione. È la nostra vita – “vedi” – quella che determina questo presente.
«Prova a guardare, prova a coprirti gli occhi» (conclusione del primo oracolo) significa allora: fa’ un tentativo, osserva, e – poi – prova a coprirti gli occhi, se ne sei capace.
3.
Pensiamo a un altro Tiresia, quello di Eliot. L’epigrafe da Petronio che apre La terra desolata dice: «Del resto la Sibilla, a Cuma, l’ho vista anch’io coi miei occhi pendere dentro un’ampolla, e quando i fanciulli le chiedevano: “Sibilla, che vuoi?”, lei rispondeva: “Voglio morire”».
I fanciulli scherniscono Sibilla, così come – sulla scena del poema eliotiano – i vari borghesi sfaccendati, o Mr. Eugenides e le dattilografe e le sweet ladies che vi compaiono scherniscono l’occidente che si disfa e rovina. Ma è un ghigno amaro quello che ne viene, e tragico. Sibilla, veggente, vuole davvero la propria morte, di fronte al disastro. Il poeta-Sibilla-Tiresia, affannato e vecchio, cieco distrutto ma vedente, vuole – vorrebbe – attivamente scomparire, morire, non per estetismo ma materialmente. Non tollera la visione, come la vita, come la voce. Questo, in Eliot.
Il testo di Mesa – al contrario – capovolge ciò che comunque è svantaggio, «discapito» indesiderato, in segno etico, positivo, in dovere di visione/voce come vita. In responsabilità, cura: impegno. (Per quanto arduo).
Si diceva che la prima parola di Tiresia è «Vedi». Non è esatto.
A specchio e rovescio della Sibilla eliotiana, che vuole morire, la primissima riga che si incontra aprendo il libro, l’epigrafe del poemetto di Mesa, recita: «Devi tenerti in vita, Tiresia, / è il tuo discapito». La prima parola del Tiresia è dunque «Devi», anagramma di «Vedi».
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Articolo pubblicato con il titolo Le cinque tragedie previste dal Tiresia di Giuliano Mesa in «il manifesto», 12 ott. 2008, p.14.
(La presente versione è riveduta. E anticipa un intervento più ampio in uscita online)
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saint-ex
fossi in voi
fossi in voi comprerei “L’Espresso” di questa settimana.
raccapricciante questo paese.
Baldus + Ottonieri
eIghT-pAGE pREss
il 4 ottobre continua
il 4 ottobre continua:
l’appuntamento è a Roma: per l’assemblea nazionale del 25 ottobre alle 10:30 (luogo da definire)
dove si discuterà delle prospettive del comitato promotore nazionale…
Sconfinamenti
‘The Right to the City’
October 20, 2008
‘The Right to the City’
Speakers:
Shuddhabrata Sengupta,
Philippe Rekacewicz
MIT Visual Arts Program Lecture Series
265 Massachusetts Avenue
Cambridge, MA 02139, USA
Bldg N51-337, 3rd floor
Adjacent to the MIT Museum
(Entrance is on Front Street)
Shuddhabrata Sengupta is a member of Raqs Media Collective and Sarai.net, New Delhi, India, co-curator of manifesta7, Bolzano, Italy. Philippe Rekacewicz is a geographer and cartographer for Le Monde Diplomatique, France.
This is the third in a cross-disciplinary lecture series hosted by the MIT Visual Arts Program that includes speakers from art, architecture, urbanism and related research fields from around the world. These speakers will pose questions in order to start a discussion about imagining tomorrow’s urban ‘everyday life’- a topic that calls for a discourse beyond just formal disciplines. The series is free and open to the public. Mondays 7 – 9 p.m. Continua a leggere
DROP CAPS / by K. S. Ernst
Drop Caps by K.S. Ernst
2008, 5″ x 8″, 62 pgs, color.
ISBN 1-438279-68-X | EAN-13 978-1-43827968-8
http://xexoxial.org/is/drop_caps/by/ks_ernst
K.S. Ernst’s Drop Caps is an alphabet book, a Pandora’s box of verbo-visual treasures, a crate of sculptures, a litany of of the textual imagination, and a pure delight for the eye. Combining the eye of a painter, the ear of a poet, and the hand of a typographer, Ernst examines the power of text through color, cancellation, eradication, shape, torquing, humor, pathos, and a dry sense of humor and seriousness that surprise on every page. Beginning as an alphabet book that swerves from frame to frame with visual legerdemain and grace, the book ends with a flickering set of even greater experimentations, each of which on every page are haunted by individual capital letters of the alphabet, often askew, the dropped capitals that give the book its name.
—Geof Huth
martedì 21 si inaugura poe.mi
Fifty Fluxus Characteristics
Fifty Fluxus Characteristics
Compiled by Don Boyd, 1976
- Intermedial
- Unformal
- Unpurist
- Mostly non-visual training
- Content over form
- Blasé, personal subject natter
- Bypass traditional media of art – anything goes
- Art for the masses (low cost multiples)
- Slice of life
- Favors Xerox over representational drawing or painting
- Don’t show off craftsmanship
- Blasé about galleries
- Intercommunication within group
- Free with help and information
- Mail art
- Nonsense
- Not entirely negative like Dada
- Collaboration
- Fresh eye approach
- Strong use of literary-poetry concrete
- Photo printmaking process
- Diagramatic drawings
- Photo and gestural paintings
- Not always repulsive to be daring
- Natural activities in performance or dance
- Revolutionary social concerns
- Controversial but not too much so
- Not concerned with beauty per se
- Involve all senses in one work
- Comprehensive, world view
- Expands the concept of art
- Personal symbols
- Uses instaprint and Xerox
- Uses rubber stamps
- Heightens everyday experience
- Performance scores
- Natural foods interest
- Mix Eastern and Western culture
- New ways to reach public
- Nudity in a natural way
- Decontrol of performers by director, audience participation
- Take theatre to audience
- Use of boredom as content
- History of ideas, not just art history
- Not necessarily leftist in social ideas
- Mostly apolitical
- General education – not art school
- Not overly concerned with art taste
- Love of classics
- Highly disciplined, use of chance





