un ulteriore importante appello della scuola contro la pulizia etnica dei palestinesi e per la difesa del diritto umanitario internazionale

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12 dicembre 2023

Siamo lavoratori e lavoratrici della scuola pubblica italiana e vogliamo unirci alle tante altre voci che in questi mesi stanno chiedendo il cessate il fuoco in Palestina.  Non accettiamo inoltre che l’istituzione della quale facciamo parte continui il suo colpevole silenzio riguardo allo sterminio del popolo palestinese in corso. Nello stesso modo non accettiamo la narrazione pubblica italiana che – a dispetto di quanto detto dall’ONU e da molte altre organizzazioni internazionali – rappresenta in modo inquinato e parziale la distruzione di Gaza e la catastrofe umanitaria che lo Stato di Israele sta causando. 

Siamo insegnanti e tutti i giorni siamo in classe o lavoriamo per gli studenti. Molte delle vittime palestinesi hanno l’età delle nostre studentesse e dei nostri studenti: secondo l’Onu delle 18 mila persone uccise a Gaza dall’esercito israeliano, quasi 8000 sono minorenni, 69 quelli uccisi in Cisgiordania dal 7 ottobre ad oggi. Non si conta il numero dei minorenni dispersi ancora sotto le macerieTrecentotrentanove scuole, più della metà delle scuole della striscia di Gaza, sono state colpite dall’inizio delle operazioni militari israeliane. L’Università islamica di Gaza è stata rasa al suolo, il suo rettore ucciso. Secondo l’Ufficio per gli affari umanitari dell’Onu, 3117 studenti e 183 colleghi insegnanti sono morti, 4613 studenti e 403 colleghi insegnanti sono rimasti feriti. Questa è la situazione finora e al momento niente ci dà speranza che i numeri non continuino a salire. Nessuno dei 625 mila studenti di Gaza può alzarsi la mattina e venire a scuola. 

L’Organizzazione delle Nazioni Unite denuncia quotidianamente il massacro in atto, l’annichilimento del popolo palestinese e delle sue possibilità materiali di esistenza, denuncia il rischio di genocidio. Noi vogliamo mettere i nostri studenti e le nostre studentesse nelle condizioni di sapere e di provare a capire: capire cosa succede e capire le ragioni storiche e politiche che hanno portato a questa carneficina. Per questo, nei due mesi trascorsi molti di noi hanno cercato di parlare in classe dei bombardamenti israeliani sulla striscia di Gaza, del disastro umanitario in corso, dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, ma anche, più in generale, del sistema coloniale e dell’oppressione ai danni del popolo palestinese, della sua diaspora e in generale di quello che è successo negli ultimi settant’anni in quel pezzo di Mediterraneo. Per farlo abbiamo studiato, cercato fonti attendibili e strutturato lezioni. Nel dibattito pubblico, nei media e nelle istituzioni invece è mancata e manca la volontà di raccontare con chiarezza quello che succede e di “dire tutta la verità senza timori o favori, usando termini precisi e ben definiti, come apartheidpulizia etnica genocidio”, così come scrivono numerosi giornalisti in un loro appello. 

La scuola addirittura non ne parla: se tanti singoli insegnanti su propria iniziativa hanno deciso di provare ad aprire il discorso in classe e fra colleghi, la scuola come istituzione non ne parla. Secondo noi però è parte centrale del ruolo della scuola e del mestiere di insegnante non lasciare soli gli studenti e le studentesse nel tentativo di conoscere e comprendere la realtà.

Per queste ragioni, come già hanno fatto numerosi accademici e accademiche:

Chiediamo al governo di adoperarsi per il cessate il fuoco. In particolare chiediamo al Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Antonio Tajani di fare tutto il possibile per assicurare il rispetto dei diritti umani e di adoperarsi nelle istituzioni internazionali per rendere efficaci i valori di pace, di giustizia e di risoluzione diplomatica dei conflitti, scritti nella nostra costituzione e nel diritto internazionale in cui lo Stato italiano si riconosce. 

Il diritto internazionale è calpestato, gli organi internazionali sono ignorati, i principi fondativi della costituzione e dell’Unione Europea smentiti nelle scelte di politica internazionale. Di fronte a tutto ciò i valori che la scuola pretende di diffondere sono parole vuote; che valore ha l’educazione civica e quello che dobbiamo insegnare a proposito di Diritti Umani, Unione Europea, costituzione e diritto internazionale?

Chiediamo al Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara di prendere una posizione di chiara condanna dello sterminio in atto del popolo palestinese e di tutelare e promuovere spazi di approfondimento e discussione a scuola.

Il ministro durante una manifestazione a Milano il 4 novembre ha detto: “la cultura del rispetto verso la vita, la libertà, la dignità, la sicurezza di ogni essere umano deve partire dalla scuola.” Giusto, proprio per questa ragione, proprio per costruire questa cultura, è necessario che tutta l’istituzione scolastica si occupi direttamente e nelle forme adeguate di questa questione fondamentale. Non vogliamo sentirci soli nel condannare i massacri dei civili, non vogliamo sentirci soli nel ricostruire la storia. Non vogliamo dubitare della correttezza del nostro operato quando ci proviamo: da più parti è stato lasciato intendere che qualsiasi condanna delle azioni di Israele sia antisemitismo. Noi non siamo antisemiti, non lo siamo mai stati e condanniamo l’uso di questa accusa come strumento per difendere e giustificare le azioni israeliane e per demonizzare qualsiasi discorso che le chiami con il loro nome, cioè massacri di civili.

Nella stessa manifestazione il Ministro Valditara ha inoltre aggiunto di “evitare prediche e pratiche di violenza” a scuola. Restare in silenzio a scuola di fronte a quello che succede al popolo palestinese è una scelta politica, violenta perché complice di questi crimini. Durante l’invasione russa dell’Ucraina, la scuola ha giustamente speso parole e gesti di solidarietà per le vittime. Lo stesso non succede ora. Come spieghiamo questo silenzio ai nostri studenti? Come lo spieghiamo agli studenti e alle studentesse palestinesi e in generale a tanti e tante di famiglia araba che ogni mattina sono in classe con noi? Crediamo che il colore della pelle, la lingua e la religione contino in questa scelta.

Questo silenzio è inoltre una scelta didattica sbagliata: fa passare il messaggio che oggi una crisi umanitaria di questa grandezza non sia argomento di scuola. Come insegnanti rivendichiamo il nostro ruolo di costruttori di coscienza e conoscenza e non di tecnici dell’educazione preoccupati solo di griglie, scadenze e voti. 

Unendoci all’appello dei giornalisti, chiediamo ai mass media, alle redazioni di giornali, radio e televisioni una narrazione più veritiera e parole più chiare.

Anche i media e non solo la scuola hanno una responsabilità nel raccontare quello che accade, anche nei confronti dei nostri studenti e delle nostre studentesse.
Gli studenti e le studentesse hanno accesso a informazioni, immagini e video sui social network che spesso mostrano macerie di case e ospedali, decine e decine di corpi ammassati, persone in fuga, uomini e donne che piangono disperati. Vedono queste immagini agghiaccianti ma faticano a capirle. D’altra parte, studenti e studentesse di famiglia araba invece hanno accesso ad altri canali di informazione e a una narrazione che, a differenza di quella italiana, non annulla “le prospettive palestinesi e arabe”. Anche loro non capiscono perché in Italia il racconto sia tanto diverso. Quello che noi proviamo a rispondere loro è invece in aperta contraddizione con la narrazione dominante nella stampa. 

Tutti e tutte loro, però, hanno diritto a un’informazione chiara e che li aiuti a conoscere e che non giustifichi la pulizia etnica dei palestinesi in atto. 

Queste cose chiediamo, perché siamo insegnanti, lavoratori e lavoratrici della scuola. 

Per firmare clicca qui: https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSdQHz5GAsshPrz9bTfkU4jB_2Hj7GOHKaBf2-9rF44cmraxPA/viewform?usp=sf_link