l*** artists put in danger, menaced, threatened.
people who do not harm.
res. //////////// low res.
l*** artists put in danger, menaced, threatened.
people who do not harm.
res. //////////// low res.
Heidelberg, 7 ottobre ‘906
Non volevo ringraziarvi del vostro libro prima di averlo letto; ed in questo momento ho finito di leggerlo. E’ un capolavoro sotto ogni punto di vista, come pensiero logico e come organismo estetico.
(Carteggio GAMMM-Vossler, Laterza, Bari 1951, p.95)
oggi è (sarebbe) il quarto compleanno di “bina”. cade nel silenzio del(l’a)periodico. non è un silenzio ‘grave’! ma c’è.
si interromperà ma non è chiarissimo (ora) quando. c’è molto molto lavoro da fare; e testi da diffondere.
nei prossimi mesi speriamo di attenuare l’aperiodicità, di tornare a parlare più spesso.
intanto quattro candeline assolutamente semplici, riunite in una – fotografata a Genova, qualche giorno fa.
ms, mg
gentile *,
devo confessare di non riconoscermi nelle indicazioni ‘sociologiche’ offerte in http://www.poliscritture.it/article.php3?id_article=82
sono un commesso di libreria di 5° livello (=soglia di sopravvivenza), dunque non mi sento osservato o nominato se – tra gli autori inclusi nell’antologia – <<un occhio sociologico nota una cresta di docenti universitari, una corona di dottorandi e collaboratori dell’editoria, uno spruzzo d’insegnanti di scuole medie e una rara avis “proletaria” (la Grisoni)>>.
le segnalo inoltre che in quell’antologia ci sono anche (e almeno) un disoccupato e un precario. dico questo senza polemica.
cordialmente
Marco
Il Dialogo a più voci continua sul n.3 di Quaderni per una critica futura, a cura di Andrea Inglese e Biagio Cepollaro.
Vi si possono leggere gli interventi 01-04 usciti fin qui, e i successivi: di Davide Racca, Giulio Marzaioli, Marina Pizzi, Carlo Dentali, Giuliano Mesa, Gherardo Bortolotti.
Continua la pubblicazione degli interventi del Dialogo a più voci (qui i primi due). Questa settimana le lettere di Biagio Cepollaro (03) e Giorgio Mascitelli (04).
03. Biagio Cepollaro
Caro Marco,
certo, la poesia di ricerca non si identifica con la poesia di progetto. Ma per me la poesia è sempre di ricerca se ha una qualche possibilità di diventare poesia di risultato nell’interazione con un lettore che la riconosca come tale…Solo che troppo spesso la dicitura di ‘ricerca’ ha sacrificato la reale complessità della poesia: tra tutte le sue componenti, si sono spesso privilegiate quelle formali, retorico-linguistiche, diventando alibi formalistico per chi non ha nulla da dire, nulla da aggiungere – neanche un microscopico contributo – alla ricchezza di senso di cui abbiamo bisogno. Continua a leggere
È appena uscita “bina” 66, con un testo inedito di Vincenzo Ostuni, La sgranatura.
Chi lo desidera può inviare una mail all’indirizzo bina_posta [at] yahoo [dot] it specificando “Desidero ricevere regolarmente la vostra lettera (a)periodica bina al mio indirizzo email”.
A partire da una sollecitazione al dialogo di Marco Giovenale in occasione di un mio post, si è avviato un dialogo a più voci sui temi della ‘ricerca’. Contemporaneamente su più blog queste voci dialogheranno con una cadenza settimanale. Per ora sono stati ricevuti gli interventi di Giorgio Mascitelli, Davide Racca, Giulio Marzaioli, Marina Pizzi, Carlo Dentali, Giuliano Mesa. Il lavoro finale sarà raccolto in un e-book di Poesia Italiana E-book.
Biagio Cepollaro
*
Qui di séguito i primi due momenti del dialogo: (01) Poesia di ricerca e poesia di risultato, e (02) Alcuni punti su “poesia di ricerca”. In dialogo con Biagio.
01. Biagio Cepollaro
Poesia di ricerca e poesia di risultato Continua a leggere
Alcuni imprevisti informatici hanno ritardato gli inserimenti (di post e aggiornamenti vari) su alcuni siti, incluso Slowforward, in questi giorni.
Ma presto alcune novità o variazioni.
Intanto – cliccando sulla copertina dell’antologietta gammm qui a lato – si va sulla semplice pagina web nata per parlare di Felix.
Caro Biagio,
in effetti leggo e rileggo il tuo editoriale, il mio intervento, e la tua risposta, e sento che mi manca qualche elemento essenziale. Non mi ci raccapezzo. Nel senso che: CONDIVIDO TOTALMENTE quel che scrivi nella risposta!
Ma è precisamente quanto dicevo nell’intervento del 5 dicembre. Ossia: per te – come per me – non è in gioco l’area “sociologica” della scrittura; sì quella (comunemente detta) “estetica”.
O meglio ancora, sintetizzando: quello che va premiato è il testo bello, sensato. Ecco. Questo intendevo dire. Molto semplicemente.
E articolavo: in ordine alla formazione della bellezza, mi sembra che in giro si vedano tanti testi che non la raggiungono, che cadono nel banale, nell’ovvio, nel calco inconscio, ingenuo, nella trasandatezza, proprio per via di un loro puerile abbandono al too simple, all’ingenuità, a schemi e stilemi che non solo non arrivano a una complessità di alcun genere (molteplicità di piani) o – volendo – ad alcuna “linguisticità”; ma talvolta nemmeno a una lingua, a una cognizione del sistema di segni che pure tentano di usare.
Detto ciò, è per me assolutamente pacifico che molta scrittura puramente contorta e irrisolta (altro disvalore) non possa – in definitiva – “funzionare”. È pur sempre la sola produzione di senso a fare testo. L’intreccio dei piani e un certo grado di opacizzazione del dettato non sono come tali (ossia per il semplice fatto di esser posti) risolutivi di alcunché.
Ma, poiché questo può esser detto di qualunque ‘caratteristica’ del testo (del clus insufficiente come del leu insufficiente, come del narrante insufficiente, eccetera), mi domando se non sia più proficuo dirigere la critica proprio verso quelle scritture che sono ‘quantitativamente vincenti’, ultrarappresentate.
Ci torneremo. Il nostro discorso mi piace, semplicemente; e credo che proseguirà, mettendo a fuoco sempre meglio questioni che altrove (in post recenti) si sono potute solo accennare.
Con l’amicizia e la stima che sai,
Marco
Caro Marco,
sono d’accordo con te. Non con una sola parte del tuo discorso ma in tutto. E allora qual è il problema?
È che sul tema della linguisticità, mi sembra, tu sottolinei con più determinazione un aspetto sociologico, io un aspetto estetico, di valore sostanziale della poesia , della singola poesia, di risultato. E con questo non puoi non essere d’accordo: bisogna avere qualcosa da dire se si scrive, proprio realizzando in quella forma ciò che non sarebbe possibile dire in altro modo. Questa è la famosa necessità della poesia, credo. Così detto, alla grossa, tra noi. Continua a leggere
caro G***,
la sequenza di poesie Superficie della battaglia viene in qualche modo da un film, in verità. Nel senso che è nata mentre vedevo (o specchiavo in un modo strano, mentalmente) il film. Lo sognavo guardandolo: ne producevo varianti verbali, poi cose totalmente altre. Decisamente le poesie prescindono dalle scene, deviano – in fine. Semmai (me ne sono reso conto mesi dopo) si legano naturalmente a battaglie con avversari reali, non letterari, e con ammassi di oggetti, nevrosi non mie, trasloco, accumulo, dissoluzione; con l’ossessione di esaustione e con l’ossessione di dissipazione che in fondo fanno da radici a tante delle cose che càpita di pensare, fare, ‘vedere’ (ri-produrre: in immagini).
Kafka è il Classico tra i classici. Forse il solo autore moderno che si possa mettere in dialogo con i greci, con Cervantes. Le sue serpentine nel buio sono fuga e prigione (lo shelter, insomma). Una cosa molto ‘ebraica’, anche. (Il ghetto). Avverto questa cosa. Come nella traccia di Derrida/Adorno in http://slowforward.wordpress.com/2014/01/27/dal-2004/ (link precedente: http://www.slow-forward.splinder.com/1098026070#3173418).
La struttura del titolo “Superficie della battaglia” ha colpito anche me, qualche giorno fa, riflettendo proprio sul libro di Sartori; anche se è una prossimità non cercata né pensata […].
L’immagine di copertina è foto (elaborata) di un’installazione assurda che svetta su tutto il disastro delle masserizie, delle stanze. Sta per finire, tra l’altro: il giorno *** è la data ultima decisa per lasciare la casa. Quella sera mio padre non dormirà lì, […].
Finisce una vicenda iniziata nel 1967, circa. Sono quasi quarant’anni. Non è facile per me; immagino per lui. (Ma lui non ha fatto altro che seguire un suo piano meticoloso di disfacimento delle cose attraverso il loro accatastarsi. Me ne rendo conto e so anche che non posso aiutarlo; soltanto limitare i danni concreti che questa prassi ha portato nel tempo …).
Perdona tutte queste parole. Ma è che mi rendo conto che questa Superficie, prima e più ancora delle cose scritte prima del trasloco, dello scasamento, codifica qualche verità che non mi aspettavo.
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