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chi l’ha detto?
“Tutti i tuoi ministri, tutti i tuoi funzionari ti ubbidiscono per non essere defenestrati; ma l’intera nazione si vergogna”.
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Nelle parole
“Nelle parole si chiudono e quasi si legano le idee, come negli anelli le gemme, anzi s’incarnano come l’anima nel corpo, facendo seco loro come una persona, in modo che le idee sono inseparabili dalle parole, e divise non sono più quelle, sfuggono all’intelletto e alla concezione, e non si ravvisano, come accadrebbe all’animo nostro disgiunto dal corpo” (Zibaldone, 2584: 27 luglio 1822)
cantiere: “beckett, proust”
La memoria involontaria è esplosiva, “una deflagrazione immediata, totale e deliziosa”. Essa risuscita, e non soltanto l’oggetto passato, ma anche qualche cosa di più, perché qualche cosa di meno; di più perché isola l’utile, l’opportuno, l’accidentale, perché nella sua fiamma ha distrutto l’Abitudine e tutte le sue opere, e nella sua luce ha rivelato ciò che la falsa realtà dell’esperienza non potrebbe mai rivelare e non rivelerà mai – il reale.
Samuel Beckett, Proust (1931)
tr. it. di C.Gallone: S.B., Proust, Sugar, Milano 1962 (rist. Sugarco 1978, 1994: p.44)
cantiere: elizabeth bishop
“Credo di apprezzare l’umorismo come tutti, ma mi ha sempre molto amareggiato che al giorno d’oggi tante persone intelligenti pensino che qualsiasi cosa accada loro debba per forza essere divertente. Intanto questo atteggiamento mina la conversazione e la corrispondenza, rendendole monotone, e poi penetra in profondità, corrompe le nostre capacità di osservazione e di comprensione”
Elizabeth Bishop, In prison (1938)
tr.it. in E.B., Il mare e la sua sponda , Adelphi, Milano 2006, p. 31
cantiere: benjamin
“Lambiccarsi pedantescamente il cervello per creare prodotti – materiali visivi, giocattoli o libri – adatti ai bambini è sciocco. Sin dall’illuminismo è questa una delle fissazioni più stantie dei pedagoghi. La loro infatuazione per la psicologia gli impedisce di accorgersi che il mondo è pieno dei più incomparabili oggetti dell’attenzione e del cimento infantili. Dei più azzeccati. È che i bambini sono portati in misura notevole a frequentare qualsiasi luogo di lavoro in cui si opera visibilmente sulle cose. Si sentono attratti in modo irresistibile dai materiali di scarto che si producono nelle officine, nei lavori domestici o di giardinaggio, in quelli di sartoria o di falegnameria. Nei prodotti di scarto riconoscono la faccia che il mondo delle cose rivolge proprio a loro, a loro soli. In questi essi non riproducono tanto le opere degli adulti quanto piuttosto pongono i più svariati materiali, mediante ciò che giocando ne ricavano, in un rapporto reciproco nuovo, discontinuo”.
Walter Benjamin, Einbahnstrasse (1928)
tr. it.: Strada a senso unico, Einaudi, Torino 1983 (ed. 2006: pp. 11-12)
Non diversa potrebbe essere un’osservazione relativa non soltanto ai materiali della poesia (che ad avviso di chi scrive sono poi sostanzialmente di origine onirica: perché anche quando si sceglie ‘per cut-up’ lo si fa all’interno di un’esigenza preorientata dalla propria identità – in larga parte inconscia); ma alle stessi prassi compositive, fotografiche, artistiche, e perfino alla critica letteraria; e diciamo – in senso ampio – a tutta quella serie di deviazioni e mancanze e colpi a segno che ruotano attorno agli enigmi che chiamiamo “oggetti estetici”.
L’oggetto-soggetto di senso si ferma e forma nel fondo dello sguardo catturato da quanto di più banale si dà attorno. La scrittura di ricerca, l’esperimento, è materia di tutti i giorni. Davvero experiments = daily codes.
I codici che comunemente balzano agli occhi, per frammenti più o meno irrelati (e non necessariamente variabili in questa loro non relazione reciproca), nascono dalle esperienze più ordinarie. Un angolo formato da due oggetti, un segmento inatteso di luci all’interno della raggiera che quotidianamente si forma nella stanza, l’epifania di tre quattro frasi casuali (e per niente ‘poetiche’) còlte camminando, dettagli nel moto complessivo di una massa di persone in una via, eccetera.
La capacità di riorganizzare questi materiali (a volte autosufficienti: solo ‘in attesa’ [non ontologica; semmai data da noi] di qualcuno che li fermi e afferri) è l’attività artistica. O ne costituisce gran parte.
In absentia
Facendo un salto [avanti] di un milione di anni troviamo una delle pietre miliari della storia dell’evoluzione umana. Si tratta del cosiddetto “ragazzo di Nariokotome”, il più completo scheletro fossile mai trovato, che risale a 1,6 milioni di anni fa. È lo scheletro di un ragazzo che morì a un’età compresa tra gli undici e i quindici anni; aveva già raggiunto la statura di un uomo moderno, e lo si classifica come un esempio di Homo ergaster. Se questo ragazzo fosse nato in una delle prime civiltà, avrebbe potuto imparare a scrivere? Possiamo affermare con certezza che avrebbe sentito il bisogno di comunicare, che sarebbe stato in grado di manipolare oggetti grazie a un’avanzata abilità manuale e avrebbe compreso i punti di vista degli altri.
Per quanto capace di acquisire tali abilità, gli sarebbe però mancata, a mio avviso, la componente cognitiva più importante per lo sviluppo della scrittura, cioè il linguaggio. C’è una differenza cruciale fra le vocalizzazioni dei primati e il linguaggio umano. Il linguaggio umano non è caratterizzato soltanto da un lessico molto più ampio e da un sistema di regole grammaticali che specificano come si debbono combinare insieme le parole per esprimere significati particolari: è innanzitutto un sistema di riferimento in absentia, in quanto permette di parlare del futuro, del passato o di un altrove geografico fuori della portata visiva. Questa proprietà è di importanza capitale per lo sviluppo della scrittura.
Steven Mithen, L’arte preistorica e i fondamenti cognitivi della scrittura,
in: Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti (a cura di ), Origini della scrittura. Genealogie di un’invenzione (Bruno Mondadori, Milano 2002, pp.18-19)
Goodbye Johnny (we love you)
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from: http://www.creators.com/comics/bc.html?comicname=bc
(c) johhny hart _ creators syndacate, inc
m.foucault _ l’ordine del discorso
Wilcock / (Marlowe)
“Le didascalie sono schiettamente quelle delle prime edizioni, poche e scarne: le edizioni moderne portano molte altre didascalie aggiunte nell’Ottocento, di solito capricciose o inutili perché l’autore aveva gran cura di spiegare nei discorsi degli attori le loro azioni, quasi fosse un teatro per ciechi. E forse lo era; cioè gli attori non facevano quasi nulla, soltanto entrare, uscire o morire: l’azione era nei versi. La scena, come si sa, era nuda: se serviva un tavolo lo si spingeva avanti e poi lo si portava via. Le luci erano candele messe sull’orlo del palco; oppure la luce del giorno”.
[ J.Rodolfo Wilcock, introduzione a Christopher Marlowe, Teatro completo, Adelphi, Milano 1966, p.XVII ]
Fabio Gori 1855
Assolutamente da visitare la biblioteca digitale dell’Archivio viaggiatori italiani di Roma e del Lazio.
“Al di là del fiume si scorge un tumolo di pietre rosse che gli Schiavi conducevano per barca a Roma. Il colle è tagliato in tante bizzarre maniere che in un angolo forma una porta, ed in altri profonde grotte. Dove il tempo non lo imbrunì nelle parti meno aride i licheni vegetano e col bruno e lionato colore meschiano il proprio. Di tratto in tratto escono da quegli antri i Salnitrari che allacciati i calzoni di pelle al collo, con lunghi capelli, ispida barba ed atri cappelli sembrano tanti selvaggi se non i romani lapicìdi. Dietro al colle gira quadra la Torre del Cervaro”
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(Fabio Gori, VIAGGIO PITTORICO-ANTIQUARIO DA ROMA A TIVOLI E SUBIACO SINO ALLA FAMOSA GROTTA DI COLLEPARDO DESCRITTO LA PRIMA VOLTA DA FABIO GORI con importanti scoperte archeologiche del Medesimo Autore, Roma , 1855, Parte I)