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scritture di ricerca: dopo il paradigma

Marco Giovenale

[…]

I. Per datare i cambiamenti: alcuni indizi

da una mail del 17 aprile 2012
a Jennifer Scappettone
[…]
I.0.
In questi giorni sto rileggendo Lacan, soprattutto Dei Nomi-del-Padre, e vado smontando e ricombinando (tenendo presente Rosselli) varie teorie o letture critiche, sulla base dei testi. Già quasi in incipit (p. 15 dell’edizione italiana a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi 2006): «Vediamo […] che cosa succede quando un nevrotico giunge all’esperienza analitica. Comincia anche lui a dire delle cose. […] In un primo momento crede di dover fare lui stesso il medico e di dover informare l’analista. Va da sé che nella vostra esperienza quotidiana lo riporterete al suo piano, dicendogli che non si tratta di questo, ma di parlare, e preferibilmente senza cercare di mettere un ordine, di dare un’organizzazione, vale a dire senza cercare di mettersi, secondo un ben noto narcisismo, al posto dell’interlocutore».
È proprio quanto fa, secondo un ben noto narcisismo, lo scrittore che non intende ragioni e vuol stare con entrambi i piedi al di qua del cambio di paradigma. E vuole (sadicamente: impone di) essere seguito dal lettore sul proprio terreno di regole e gioco. Incede nella propria retorica e chiede a gran voce il patto di reciproca illusione tra autore e lettore. Come se tutto fosse fisso, come se Lord Chandos fosse seppellito per sempre, e tutto si desse chiaro, stabilito: identità dei parlanti, di chi ascolta, del mondo nominato, variabili e costanti della comunicazione, linguaggio, metri e stili, accordi pregressi di codici, tutto coeso, tutto senza domanda. Al limite, questo narciso non ha bisogno di interlocutori, d’altro canto il “pubblico della poesia” è fatto (quasi tutto) di narcisi come lui.  (Anch’essi auctores, non a caso).

I.1.

L’impressione è che da circa mezzo secolo noi tutti siamo fuori da un “paradigma”. In occidente, almeno. (Paradigma è vocabolo sentito alternativamente o troppo invadente o troppo poco inclusivo, eccessivamente blando; dunque lo si assumerà come signum arbitrario da variare; al momento lo uso come puro termine convenzionale, e provvisorio).

Se un cambio di paradigma c’è stato (perfino in Italia), di fatto ci troviamo adesso in un altro/differente (o entro una serie di altri), che invece appunto ci include e determina. Siamo (nati) in un diverso paradigma che include/informa percezioni reazioni relazioni nel contesto o panorama occidentale, e nei testi che vi si producono. Tutto o moltissimo è cambiato intorno a noi e in noi anche per via di quel che è stato scritto e sentito e percepito e fatto e detto dall’inizio degli anni Sessanta. A me sembra che si sia pienamente (e contortamente) dentro un mutamento, o mutazione avvenuta e ancora in atto: ci siamo letteralmente nati, è stato la nostra placenta.

Eviterei di parlare di Modernismo come di Postmoderno. Anche se parlare, invece, di paradigmi è quanto meno fumoso. Ma qui non scrivo un “saggio”; qui semmai si dà per avviata (con puntini di sospensione all’inizio e alla fine) una sequenza di ipotesi e domande, più che risposte; si ragiona operando su un terreno che il ragionamento stesso tenta di preparare a un viaggio verso definizioni in larga parte da elaborare.

I.2.

Il cambio di paradigma sembra essere iniziato al principio degli anni Sessanta. Rosselli scrive Spazi metrici nel 1962, Antonio Porta Aprire nel 1960-61, Corrado Costa le prime poesie sul «verri» in quegli stessi anni. (Ma gli esempi sarebbero dozzine). Esce nel giugno 1962 Opera aperta, di Eco.

Rosselli chiude e castra razionalmente/musicalmente il metro italiano forzandolo in SPAZI metrici, Antonio Porta raffigura sì un delitto (dalle annotazioni ad Aprire, testo che conclude I Novissimi), la cui vittima è una donna (che è immaginabile lui tema); ma, pur facendo così, smembra l’io proprio, parlante: è totalmente preso dal disintegrare e disinnescare sia il racconto sia l’io che narra la storia. Corrado Costa è già al dopo, è collocabile in una diversa percezione, una diversa modulazione di testualità. Questo in verità sarà evidente soprattutto al principio degli anni Settanta, con Le nostre posizioni (1972). Costa a me sembra la figura centrale di una specie di consolidamento di posizioni poetiche, insieme a Spatola e a tutta l’area di scritture (non necessariamente rapite dalla sirena metatestuale) che formavano la costellazione sfrangiata delle neoavanguardie e delle tante linee di ricerca in quegli anni (spesso riunite in riviste effimere, contraddittorie: tutte però significative di una situazione).

Quelli di Rosselli e Porta sono testi ben diversi da quelli che poteva scrivere Sanguineti tra 1951 e ’61. Molto lontani. Continua a leggere

Antonio Porta, “Piercing the Page: Selected Poems 1958-1989”

JUST OUT. Antonio Porta, “Piercing the Page. Selected Poems 1958-1989”
Edited and with an introduction by Gian Maria Annovi. And an essay by Umberto Eco
(Los Angeles: Otis Books/Seismicity Editions, 2012).
Translations by Anthony Baldry, Rosemary Liedl, Paolo Martini, Anthony
Molino, Lawrence R. Smith, Paul Vangelisti and Pasquale Verdicchio

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Piercing the Page: Selected Poems 1958-1989

Translated from the Italian by many hands. Edited with an introduction by Gian Maria Annovi and with an afterword, “Porta: Rhythm and the Poetic List,” by Umberto Eco. PIERCING THE PAGE is an extensive selection of Antonio Porta’s poetry, from 1958-1989, representing one of the highest and most intense achievements of postwar Italian Literature. One of the five original members of the Novissimi (anthologized in the groundbreaking 1961 volume I Novissimi: Poetry for the Sixties), Porta remains one of the most important figures in the literary movement known as the Neo-Avant-garde; his work exhibiting a relentless desire for change and articulation. Porta wrote for several major newspapers in Italy, as well as having a more than thirty-year career as an editor for publishing houses in both Milan and Rome. Although several collections of Porta’s work have been published in the US since 1978, PIERCING THE PAGE represents the culmination of a lifetime in poetry.

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Antonio Porta, pseudonym of Leo Paolazzi, was born in Vicenza in 1935, but lived in Milan most of his life. In addition to his noteworthy career as a member of the Italian Neo-Avant-garde, specifically a founding member of Gruppo 63 and the Novissimi, he wrote literary criticism for various newspapers and magazines, and taught literature at the Università di Bologna, the Università di Pavia and the Università di Roma, La Sapienza, as well as Yale University. He died of a heart attack in Milan in 1989.

http://www.spdbooks.org/Producte/9780984528950/piercing-the-page-selected-poems-19581989.aspx?rf=1

Emergenze / Antonio Porta. 1985

Il primo giorno è la sfida, il secondo giorno di neve la sfida continua e si fa rischiosa. Comincia una sorta di ebbrezza, preludio della depressione, lieve, del terzo giorno. Il quarto giorno si avvertono i primi sintomi di soffocazione e la stanchezza dei muscoli: non si è allenati a camminare con scarpe di peso almeno doppio o triplo dell’usuale. Lo stupore arriva al quinto giorno quando il cumulo della neve fa capire che la sfida è perduta e che era, tutto sommato, insensata.

Sfidare la neve è pericoloso. Con la nostra cultura da dilettanti del nord, è come andare all’assalto dei carri armati con la cavalleria, patetico eroismo da polacchi nell’ultima guerra. Il sesto giorno, quando si ricomincia a pensare, si precipita in vertiginose irritazioni constatando l’universale assenza di pensiero. Nessuno è preparato a comportamenti alternativi e allora si comincia a imprecare contro la «cosa pubblica» che non risolve le situazioni di emergenza. Più che non risolvere ci si rende conto che la «cosa pubblica» (stato o municipalità) ormai incapace di pensiero e di decisioni giace k.o., succuba dell’ideologia dell’emergenza. l giornali sottolineano, non si sa se compiaciuti o patetici, che «arriva l’esercito». L’irritazione a questo punto comincia ad avere più fondamenti. Ci si domanda: ma come, di fronte a un’emergenza reale si chiamano a soccorso entità irreali, dai movimenti difficili a volte goffi, come l’esercito? Si mandano i carri armati Leopard a spazzare la neve? Tutti possono constatare che i carri armati Leopard sono più adatti a forare l’asfalto. Continua a leggere