Ha anticipato di sessant’anni l’A.I. con Tape Mark I, facendo ricombinare brani di altri autori a un computer IBM 7070, grosso come una stanza, e facendo incazzare tutti perché una macchina (il calcolatore elettronico) non poteva fare, pensare, scrivere poesia. Ben 600 righe al minuto rimescolando testi topici come Diario di Hiroshima, di Michihito Hachiya; Il mistero dell’ascensore, di Paul Godwin; Tao Te Ching, di Lao Tse. Ma ora ci siamo, mentre quando arrivi in anticipo sui tempi la comprensione è scarsa o nulla.
Si è chiusa la splendida mostra di Nanni Balestrini Altre e infinite voci, curata da Marco Scotini alla Galleria Michela Rizzo di Venezia, che propone un nucleo di opere degli anni Sessanta. È in parte la ricostruzione di un’alleanza a due e più voci, quella di Balestrini con Luigi Nono, realizzatasi nella composizione per nastro magnetico Contrappunto dialettico alla mente (1968) che intreccia suoni e parole smozzicate contro la guerra in Vietnam, lo sgomento per l’omicidio di Malcom X, i rumori del quotidiano e frammenti di frasi fornite dal poeta. La mostra è un viaggio tra le parole scure della stampa, “detournate” e ricollocate in paesaggi colorati presi da riviste, oppure riprodotte su tela come oscuri orizzonti di petrolio. È già chiarissima, in quegli anni Sessanta che danno i natali al Gruppo 63, la poetica di Balestrini che preleva dalla “realtà mediatica” (ossimoro) gli elementi di costruzione del presente/futuro. La nostra vita – come teorizzò negli stessi anni Guy Debord – è infatti completamente pervasa dall’informazione, dalla propaganda, dai cellulari e dalla pubblicità che sono le sbarre invisibili, le serrature e i secondini del mondo occidentale. Le moltitudini e l’interdisciplinarietà di Balestrini sono ancora oggi il detonatore per una resistenza collettiva risvegliata, ad opera di un immortale guerrigliero della cultura.
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