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un fuori sincrono, forse “il”

Rapido accenno allo strepitoso fuori sincrono della nostra letteratura in versi rispetto ad altri segmenti della produzione di senso (tipo: arte contemporanea, tecnologie) su questo pianeta. In questo frangente storico.

Sembra a me che il flarf irriflesso italiano, il materiale poetico kitsch e gioiosamente assertivo che facebook e i blog immettono in rete – specie sotto lo stendardo populista della chiarezza e della “comunicazione” – gareggino con la politica italiana nel mettersi in luce davanti agli storici (e al boato delle risate) che verranno.

Se in Francia, in Olanda, in Svezia, negli USA o in Inghilterra entriamo in un negozio di telefonini o in una galleria d’arte, e facciamo lo stesso in Italia, possiamo avvertire “tra qui e lì” uno scarto di qualche grado di gusto, un gap di qualche mese in avanti o indietro (senza fissità e certezze da storicisti vecchia maniera).

MA se entriamo in libreria lo scarto diventa di trenta-quarant’anni e più.

Ci sono zone della libreria italiana in sincrono con la libreria straniera (i greci, i latini, l’arte, l’architettura, perfino il romanzo), e zone fuori sincrono (la poesia).

Quelle fuori sincrono da noi sono infinitamente imbarazzanti. E – noto – riguardano precisamente il pubblico dei leggenti, perfino la “classe dei colti”.

Gli altri, i lettori occasionali (che pure hanno in tasca un iPhone complessissimo, e magari al cinema sono abituati a trame intricate con effetti 3D, e se vanno al Pompidou o al MoMa non per forza escono urlando di scandalo) sono esclusi anche dall’accedere a questo fuori sincrono. Addirittura a questo.

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