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Un documento per la mostra del 4 ottobre: Ossidiane + Neuston


marco giovenale
 
Documento _ Per Ossidiane + Neuston, 4 ottobre 2011 _ Libreria Empiria (Roma)


La pietra ossidiana è nera, trasparente ed opaca.
Con essa si fanno degli specchi, che riflettono l’ombra
più che l’immagine degli esseri e delle cose

Roger Caillois, Pietre


A dieci anni esatti dalla prima collaborazione tra Francesca Vitale e me, intitolata La natura del mondo (presso la libreria galleria Al ferro di cavallo), che includeva fotografie e opere a base fotografica e due testi in versi (due tra le primissime ossidiane), la nascita/edizione di una sequenza più ampia di miei testi è l’occasione per immaginare una nuova mostra di FV (Neuston) che è insieme una lettura (dalla sequenza XXI ossidiane) e un’anomalia. L’anomalia è di carattere editoriale, in buona sostanza. Il fascicolo che viene presentato, infatti, è composto da 21 frammenti inediti, tratti da varie sequenze di ossidiane che nel tempo sono nate; e l’edizione che ne è stata approntata si deve a un artigiano, Stefano Verdini, che ha accolto il progetto di comporre un libro totalmente indipendente ed estraneo alle modalità di gestione del logos che normalmente la società letteraria privilegia e registra.

L’edizione è costituita da 50 esemplari in brossura, numerati: 40 sono con copertina blu, e 10 – con copertina rossa – contengono ciascuno una mia sibilla asemantica a inchiostro nero su carta inglese. Il fascicolo è stato impaginato con programmi e in caratteri open source, poi realizzato con legatura a filo. Nessun software ‘proprietario’ è intervenuto nella realizzazione del libro, che non è di fatto affidato ad alcuna catena produttiva né industria di stampa e distributiva; e tuttavia – e semplicemente – vorrebbe dimostrare con la sua esistenza (proprio per il modo in cui nasce, e non nonostante le scelte fatte) la realizzabilità di un’edizione curata di un’opera di scrittura di ricerca, non lirica.

Fino a uno o due decenni fa – e tutt’ora in paesi meno irragionevoli del nostro – queste ipotesi e prassi non erano fantasia, eccezione, né chiedevano chiose particolari. Si tratta di attività oggettivamente militanti e tendenzialmente (e intenzionalmente) fuori dal mercato. Un’esperienza come quella delle XXI ossidiane può in qualche modo funzionare anche da ponte, a unire l’idea di autoproduzione (i suoi elementi artigianali e di voluta ‘semplicità’) a quella di edizione d’arte (di cui però sono qui rifiutati rango e pretese cultuali, e cadute nel feticismo). Da questa funzione di collegamento viene un nome o sigla che non è edizione e non è collana: Ponte bianco.

Si legano a questa operazione (anti)editoriale le immagini di FV, nuovamente: così come – dieci anni fa – le due mie poesie si legavano alla complessa mostra La natura del mondo (che includeva anche musiche di Luca Conti), ora una nuova sequenza di fotografie è in esposizione presso Empiria. Viene dal ciclo in b/n intitolato Neuston, dal greco νευστός, «natante, che nuota» (sull’esempio di plancton): piccoli organismi che scorrono immediatamente sopra o sotto il velo superficiale dell’acqua: visibili/invisibili, come gli affioramenti registrati dalle fotografie di FV, come il progetto di testi autoprodotti che qui compare, e come le stesse ossidiane, catturate da un’opacità, da un’ombra senza “significato” ma non senza senso.



Da una mail a G* per “Superficie della battaglia” [giu.2006]

caro G***,

la sequenza di poesie Superficie della battaglia viene in qualche modo da un film, in verità. Nel senso che è nata mentre vedevo (o specchiavo in un modo strano, mentalmente) il film. Lo sognavo guardandolo: ne producevo varianti verbali, poi cose totalmente altre. Decisamente le poesie prescindono dalle scene, deviano – in fine. Semmai (me ne sono reso conto mesi dopo) si legano naturalmente a battaglie con avversari reali, non letterari, e con ammassi di oggetti, nevrosi non mie, trasloco, accumulo, dissoluzione; con l’ossessione di esaustione e con l’ossessione di dissipazione che in fondo fanno da radici a tante delle cose che càpita di pensare, fare, ‘vedere’ (ri-produrre: in immagini).

Kafka è il Classico tra i classici. Forse il solo autore moderno che si possa mettere in dialogo con i greci, con Cervantes. Le sue serpentine nel buio sono fuga e prigione (lo shelter, insomma). Una cosa molto ‘ebraica’, anche. (Il ghetto). Avverto questa cosa. Come nella traccia di Derrida/Adorno in http://slowforward.wordpress.com/2014/01/27/dal-2004/ (link precedente: http://www.slow-forward.splinder.com/1098026070#3173418).

La struttura del titolo “Superficie della battaglia” ha colpito anche me, qualche giorno fa, riflettendo proprio sul libro di Sartori; anche se è una prossimità non cercata né pensata […].

L’immagine di copertina è foto (elaborata) di un’installazione assurda che svetta su tutto il disastro delle masserizie, delle stanze. Sta per finire, tra l’altro: il giorno *** è la data ultima decisa per lasciare la casa. Quella sera mio padre non dormirà lì, […].

Finisce una vicenda iniziata nel 1967, circa. Sono quasi quarant’anni. Non è facile per me; immagino per lui. (Ma lui non ha fatto altro che seguire un suo piano meticoloso di disfacimento delle cose attraverso il loro accatastarsi. Me ne rendo conto e so anche che non posso aiutarlo; soltanto limitare i danni concreti che questa prassi ha portato nel tempo …).

Perdona tutte queste parole. Ma è che mi rendo conto che questa Superficie, prima e più ancora delle cose scritte prima del trasloco, dello scasamento, codifica qualche verità che non mi aspettavo.

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