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museo: teorie, pratiche, politiche

Sandro Ricaldone

MUSEO. Teorie, pratiche, politiche
a cura di Giorgio de Finis
edizioni Bordeaux, 2021

Negli ultimi anni il museo è stato costretto a ripensare le sue pratiche attive e ad aprire uno spazio di discussione e di riflessione sul futuro stesso dell’istituzione museale. La critica ha definito con precisione la pars destruens, ma a essa va accostata con urgenza una nuova e originale pars construens. Le riflessioni nate nell’ambito delle attività del MACRO Asilo di Roma (2018-2019) diretto da Giorgio de Finis, museo “ospitale”, relazionale, inclusivo, partecipato, autogestito e metalinguistico, vengono qui raccolte e ampliate con interventi di studiosi, docenti e artisti.

Contributi di
Alberto Abruzzese, Maria Letizia Adani, Alexander Alberro, Ilaria Arcangeli, Carmelo Baglivo, Simonetta Baroni, Ilaria Beltramme, Adonay Bermudez, Manuel Borja-Villel, Nicolas Bourriaud, Orietta Brombin, Alberta Campitelli, Sabrina Casset, Fabio Cavallucci, Carlo Cellamare, Cristiana Collu, Stefania Crobe, Valter Curzi, Marisa Dalai Emiliani, Gianfranco D’Alonzo, Giorgio de Finis, Arianna De Simone, Serena Di Giovanni, Irene Di Noto, Paolo Di Vetta, Tiziana Ferrante, Patrizia Ferri, Alberto Garutti, Piero Gilardi, Daniele Jalla, Franco La Cecla, Juan José Lahuerta, Vito Lattanzi, Alice Isabella Leone, Emmanuele Lo Giudice, Adele Maresca Campagna, Gianluca Marziani, Grégoire Mayor, Serena Melandri, Lucilla Meloni, Sofia Francesca Miccichè, Nicholas Mirzoeff, Caterina Modesti, Veronica Montanino, Diletta Moscatelli, Chantal Mouffe, Antoni Muntadas, Valentino Nizzo, Vincenzo Padiglione, Daniele Pappalardo, Antonio Pavolini, Claudia Pecoraro, Gabriele Perretta, Mario Petriccione, Isabella Pezzini, Domenico Piraina, Anna Pironti, Michelangelo Pistoletto, Jacques Rancière, Giorgia Rochas, Claudio Rosati, Ilaria Rosu, Marco Scotini, Giorgio Silvestrelli, Calum Storrie, Gabriela Urtiaga, David Vecchiato, Andrea Viliani, Peter Weibel, Paola Zanini.

[replica] _ spettri che parlano

La letteratura, come la politica, conta più corpi di quanti ne identifichi l’ordine poliziesco. Tutte e due includono nelle loro invenzioni dei quasi-corpi che non sono che “spettri” per lo sguardo dell’ordine dominante del visibile.

Jacques Rancière, Ai bordi del politico
(1998, tr. it. Cronopio, Napoli 2011, p. 16)

C’è un elemento, carattere o segnale politico nelle scritture? In alcune scritture? Diremmo che affiora o si nasconde sempre in tutte, e che sta in qualsiasi articolazione del linguaggio. Ma si tratterà solo di un carattere frontale, esplicitante, della pagina? Un carattere assertivo? Non si incarnerà piuttosto, tale carattere, in strategie formali diverse, in tracce diverse, e differenti aperture al lettore?

            Vorrei suggerirlo. Vorrei anche solo accennare al proficuo scompiglio portato nell’«ordine dominante del visibile» da quei graffi e grafie che abitano fuori dal vocabolario del dominio (assertivo), e fuori dall’incasellamento matematico e poliziesco nei generi letterari. Vorrei dunque, magari in parentesi, lateralmente, anche solo installare una freccia che indica alcune scritture degenerate. (Come di un frumento, anche, si dice che può essere deglutinato, privato di un coesivo che si rivela non essere unico né indispensabile).

                Chi ha ancora bisogno di rastrellare e tenere sotto controllo ogni possibile emissione di nuove pagine entro il recinto di un centro di permanenza temporanea, in attesa di smistarle nei campi dei generi letterari, inizia solitamente col catalogarle secondo quei parametri con i quali ha pacificamente o conflittualmente già fatto i suoi conti. Ne parlerà dunque come di “poesia”, decapitando ogni differenza; oppure ne parlerà come di testi che vengono dal periodo/eredità delle “avanguardie” o delle “nuove avanguardie”. Dirà: a volte sembrano tali, ‘ergo’ sono tali.

                A nessuno pare venir in mente che Continua a leggere

spettri che parlano

La letteratura, come la politica, conta più corpi di quanti ne identifichi l’ordine poliziesco. Tutte e due includono nelle loro invenzioni dei quasi-corpi che non sono che “spettri” per lo sguardo dell’ordine dominante del visibile.

Jacques Rancière, Ai bordi del politico
(1998, tr. it. Cronopio, Napoli 2011, p. 16)

C’è un elemento, carattere o segnale politico nelle scritture? In alcune scritture? Diremmo che affiora o si nasconde sempre in tutte, e che sta in qualsiasi articolazione del linguaggio. Ma si tratterà solo di un carattere frontale, esplicitante, della pagina? Un carattere assertivo? Non si incarnerà piuttosto, tale carattere, in strategie formali diverse, in tracce diverse, e differenti aperture al lettore?

            Vorrei suggerirlo. Vorrei anche solo accennare al proficuo scompiglio portato nell’«ordine dominante del visibile» da quei graffi e grafie che abitano fuori dal vocabolario del dominio (assertivo), e fuori dall’incasellamento matematico e poliziesco nei generi letterari. Vorrei dunque, magari in parentesi, lateralmente, anche solo installare una freccia che indica alcune scritture degenerate. (Come di un frumento, anche, si dice che può essere deglutinato, privato di un coesivo che si rivela non essere unico né indispensabile).

                Chi ha ancora bisogno di rastrellare e tenere sotto controllo ogni possibile emissione di nuove pagine entro il recinto di un centro di permanenza temporanea, in attesa di smistarle nei campi dei generi letterari, inizia solitamente col catalogarle secondo quei parametri con i quali ha pacificamente o conflittualmente già fatto i suoi conti. Ne parlerà dunque come di “poesia”, decapitando ogni differenza; oppure ne parlerà come di testi che vengono dal periodo/eredità delle “avanguardie” o delle “nuove avanguardie”. Dirà: a volte sembrano tali, ‘ergo’ sono tali.

                A nessuno pare venir in mente che Continua a leggere