Il libro di Laura Pugno, La mente paesaggio, pubblicato quest’anno da Giulio Perrone nella collana inNumeri, viene forse a occupare, nel complesso dell’opera in versi dell’autrice, un posto di particolare densità tematica e insieme – senza paradosso – di marcata rarefazione e misura testuale. Ripercorrendo l’itinerario dei libri di poesia di Pugno, da Tennis (NEM 2002, con Giulio Mozzi) a Il colore oro (Le Lettere 2007) a gilgames’ (Transeuropa 2009, che anticipa una sezione qui presente, come pure fa madreperla, già nel Decimo quaderno di poesia contemporanea, Marcos y Marcos, 2010), si può osservare come il libro ultimissimo, ampio, da una parte confermi la misura e sapienza della sequenza di poesie brevi, in versi scolpiti in lettere minuscole, e dall’altra offra una prova ulteriore e felicemente estrema di raffreddamento, di asciuttezza, che va nel senso di un più inciso taglio (scavo nella sofferenza mai esibita) nel tessuto delle vicende attraversate.