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recensione a “Il noto, il nuovo”
Recensione a A.Broggi, “Coffee-table book”
Oggi in rete la recensione al libro di Alessandro Broggi.
Qui l’incipit:
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Su “Semicerchio”: recensione a Shelter e a Storia dei minuti
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in «Semicerchio», n. XLIII, fasc. 2010(2), lug. 2011, pp. 103-104:
Cecilia Bello Minciacchi, recensione a Shelter (Donzelli)
Daniele Claudi, recensione a Storia dei minuti (Transeuropa)
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Su “Semicerchio”
in «Semicerchio», n. XLIII, fasc. 2010(2), lug. 2011, pp. 103-104:
Cecilia Bello Minciacchi, recensione a Shelter (Donzelli)
Daniele Claudi, recensione a Storia dei minuti (Transeuropa)
Olivier Favier, “Il guardare universale. Le lezioni di fotografia di Luigi Ghirri”
Gli amanti della fotografia ricordano Niente di antico sotto il sole, che raccoglieva tutti gli scritti –saggi, prefazioni, articoli – del grande fotografo emiliano Luigi Ghirri. Questo libro, purtroppo esaurito e irreperibile, ha rivelato, qualche anno dopo la morte precoce del suo autore, un uomo dalla curiosità insaziabile come un’artista rinascimentale che sarebbe sopravissuto all’epoca delle neo-avanguardie. Oltre a un discorso nuovo sul ruolo della fotografia – un rapporto col reale non sottomesso alle regole del giornalismo –- ci faceva intravedere un lettore, un melomane, uno spettatore felice anche senza camera, circondato da amici scrittori, musicisti, cantanti, interessato sia alla pittura che all’architettura, attento anche alla generazione successiva, la quale, del resto, non l’ha dimenticato. Non a caso, dopo di lui, Reggio Emilia è divenuta la capitale della fotografia in Italia.
Lo stesso sguardo insaziabile percorre queste Lezioni di fotografia tenute nel 1989 e il 1990 all’Università del Progetto di Reggio Emilia. La scrittura ovviamente è più quotidiana – non si tratta di un testo scritto per essere pubblicato – ma la sua voce ci risulta incredibilmente vicina. È la voce di uno che si è dato lo scopo di far scoprire a una classe di giovani poco sperimentati un mestiere vissuto come rapporto complessivo col mondo, senza nessun intento accademico. Ci si potrà stupire ad esempio che uno come Mario Giacomelli, che potrebbe essere giustamente considerato, insieme a Luigi Ghirri, il maggiore esponente del secondo novecento, anche se molto diverso, non sia citato tra i maestri della fotografia italiana. Ma la stessa irriverenza diviene luminosa quando l’autore, per tracciare la storia della fotografia, include certi pittori settecenteschi, e spiega come, fotografando, ha rintracciato certi percorsi fatti dal Canaletto a Venezia. Con lui, la fotografia esiste prima del mezzo fotografico, e diviene un modo di percepire il mondo. In un capitolo successivo, ci ritroviamo nella sua collezione di LP. Certo, Luigi Ghirri ha realizzato numerose copertine – ne vediamo alcune nel libro, insieme a una scelta molto curata di fotografie e documenti diversi – sia per l’amico Lucio Dalla che per musicisti classici. A Ghirri però, non piace mettersi troppo in mostra. Quindi, al di là del suo lavoro, sviluppa soprattutto un discorso intorno alla realizzazione dell’oggetto-disco, del carattere artigianale ormai minacciato del prodotto, che risulta dall’associazione sottile della musica, del testo e dell’immagine. Siamo ancora negli anni d’esordio del CD, e si pensa, per forza, alla rivoluzione digitale, a quello che sarebbe divenuta l’opera di Ghirri nel nuovo rapporto col colore che induce l’abbandono della pellicola, per lui che considerava la fotografia un “giocattolo magico”. Quelle sono però considerazioni tecniche di cui Ghirri sottolinea chiaramente i limiti, invitando gli studenti a lavorare nella semplicità, senza troppo preoccuparsi della scelta della macchina. Ci rifaremo quindi a quello che diceva di lui un suo amico, il poeta Carlo Bordini: “Dietro a questo suo mostrare il mondo come avrebbe dovuto essere, dietro questo suo essere classico, (c’era) una fortissima polemica, una fortissima posizione politica, una fortissima protesta verso ciò che il mondo è e ciò che lo stiamo facendo diventare; ed è questa (…) la sorgente di questa sua classicità, di questa sua classicità così profondamente ‘italiana’”.
In questo senso, le lezioni di Ghirri sono anche lezioni di vita, e meritano di essere lette sia dai fotografi che dai non-fotografi, se accettiamo, con lui, l’idea che fotografia e poesia non sono nient’altro che uno sguardo semplice e acuto sul nostro mondo.
Olivier Favier
Luigi Ghirri, Lezioni di fotografia, Quodlibet Compagnia Extra, Macerata, 2010. A cura di Giulio Bizzarri e Paolo Barbaro. Con uno scrittto biografico di Gianni Celati.
gilgames’, di Laura Pugno (recensione sul “manifesto” del 1 apr. 2010)
Recensione a G.Marzaioli, “Suburra”
Esce, nella collana inNumeri curata da Giancarlo Alfano per Giulio Perrone Editore, una raccolta di Giulio Marzaioli che lega la sequenza poetica Suburra (in nove “atti” / misure spaziali nell’antica Roma) che dà il titolo al volume, e la sequenza teatrale o «atto unico» intitolato Ipogei. Per amore di precisione, va detto che “sotto la città” (questa l’etimologia della parola suburra che identifica poi un quartiere di Roma) e “sotto la terra” (= ipogeo) sono due momenti – in sequenza anche nel tempo – della scrittura dell’autore. Sono segnati da differenti scelte formali. Il primo porta il segno di una rarefazione del verso come dissipazione verbale delle res, caratteristica di una prima stagione del suo lavoro. Il secondo, aperto alla prosa, si qualifica come intenzionato ad accogliere dall’interno dell’orizzonte infittito delle righe (e però nella forma già disintegrata in advance dalle identità teatrali rese con lettere dell’alfabeto) le slogature e sfocature del reale.
Le due sezioni, tuttavia, non si fronteggiano come entità estranee, anzi – sia pure per contrasti – si rimandano echi puntuali.
«Alla verticale aerea di Suburra segue l’orizzontalità ctonia di Ipogei» (Alfano). Di fatto Suburra è tessitura rastremata monologica – dal taglio anche visivamente percepibile in tal senso, dato da una colonna di versi brevissimi sulla pagina – mentre Ipogei tende alla dimensione estesa e giocoforza dialogica (teatrale). Altre differenze sono già nel titolo. Singolare il primo, plurale il secondo: etimologicamente centrato sullo spazio urbano il primo, ampiamente tellurico-terreno-terrestre il secondo (e però, in sostanza: “urbs” è formicaio-pluralità; mentre Terra è blocco). Il singolare-plurale si inverte e reinverte nel corpo dei testi: Suburra è voce singola suddivisa in “atti”, Ipogei è “atto unico” diffratto in voci.
Lo stillare (Alfano) versale della prima sezione, a sua volta, denso di rinvii sonori, rime, ricorrenze, affida a una “poesia di parola” (pura-impura) un gioco serio e coraggioso con una biografia elusa, sottratta prima di esser data (“ogni / punto / di fuga / è fissato”, “toglimi / da queste / mani / da queste / unghie”), tuttavia in bilico costante su elementi di pericolo (caduta, peso del corpo) che ostinatamente si rifiutano all’aneddoto, alla concrezione nominale, ma anche – più in generale – alla storia.
La poesia di Marzaioli ha sempre in effetti avuto la caratteristica di un lavoro sulla minuta tessitura linguistica, a volte generosamente giocata in anfibologie, doppi percorsi semantici, senza accedere al peso-gravitazione dell’evento o personaggio o oggetto stagliato, detto, inusuale o meno, comunque concretato. Una tangente sonora soffia via il testo sempre un istante prima che le dita possano stringerne i dati, i punti narranti. Se in alcuni autori contemporanei il momento di fuga avviene dopo, nello scompigliare e togliere dalla pagina quello che pure era stato il primo arredo di nomi, materiati; in altri come Marzaioli la spoliazione del palco visibile è anticipata, si dà quasi come precondizione della scrittura. Questo dà invariabilmente luogo a una (quasi) sensazione di “premonizione sonora” di eventi e cose. Uno scandaglio in rime e ricorrenze, iterazioni, ritorni-riscontri, a cui non fa seguito l’esibizione della fonte, della massa che di quelle onde sonore era senz’altro il sagomato originale.
Tale meccanismo, spesso si fa portatore di sorprese. Ma il turning point in Suburra è semmai, penso, proprio la sezione Ipogei, dunque la parte di prosa teatrale.
Una cascata (non più un gocciare) di nominazioni, ben circoscrivibili, fa qui la sua comparsa, per essere appunto mescolata e ritratta, sottratta, fatta incerta, ma successivamente alla sua apparizione. (E così ricodificata). Sulla carrozza di metropolitana di Ipogei, entrano nel dialogo tra i compagni di corsa: l’idea di un viaggio al mare, o «in montagna», verso «laghi»; una voce che avvisa della «presenza di borseggiatori»; un’ipotesi di cena «sul pontile» (nell’immaginabile viaggio in progetto); l’odore di «un misto di pioggia, erba e … stanza chiusa»; la «linea gialla» della banchina in stazione; «gli oligoelementi […] per il buon funzionamento del metabolismo»; «le proprietà cicatrizzanti dello zinco»; «liquido scivoloso sulla banchina»; la descrizione abbastanza particolareggiata della struttura delle rotaie del treno; una «paga sicura»; «il fischio dei freni»; e molti altri dettagli. Nomi, cose. Afferrate in una tela di battibecchi fra identità e voci che non prendono definizione ma pure si affidano appunto agli attriti fra ricorrenze, esortazioni a scendere, insulti, scartamenti, ironia.
È dunque forse in questo secondo momento della raccolta (e della scrittura) di Marzaioli, che viene ad affiorare il continente di nominazioni che una prima stagione circoscriveva per impulsi radar di forma vigilatissima e spoglia. Si tratta dunque di un passo ulteriore del laboratorio di un autore che come pochi altri oggi si dispone alla metamorfosi e alla crisi sempre implicite nella scrittura di ricerca affrontata con rigore.
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recens. pubblicata su «l’immaginazione»,
a. XXVI, n. 252, gen.-feb. 2010, p. 57
segnalo
… sul numero del “verri” ora in distribuzione (n.42, febbraio 2010), una bella recensione di Biagio Cepollaro a La distrazione, di Andrea Inglese (Sossella, 2009)
sul “manifesto”: recensione alla plaquette di Laura Pugno
Con il titolo Il Gilgamesh rivisitato in versi da Laura Pugno si può leggere sul «manifesto» di oggi, giovedì 1 aprile 2010, a pag. 12, una mia recensione alla recente plaquette di L. P. (il cui titolo è appunto gilgames’ — anche se “rivisitato” è parola non esatta) pubblicata da Transeuropa nella nuova collana Inaudita.
Recensione a breve anche leggibile sul sito del quotidiano.
recensione a “Suburra”
segnalo, su questo numero (252, gen.-feb. 2010) de “l’immaginazione”,
una mia recensione a G.Marzaioli, Suburra (Giulio Perrone Editore)
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leggibile anche su http://giulioperroneditore.it/node/365