addendum a “Fervono”

Si noti poi:

il fervere di cui si diceva nel post poco fa pare tutto biopticamente centrato sui “luoghi istituzionali”. Da sinistra si cerca di portare a sinistra la non-più-tanto-a-sinistra casa comune, l’istituzione collettiva, il colosseo pubblico, l’arena storica cogli armadi in rayban d i g o s, il palasport del governo, il festival del comune, i palazzi dei papi, la kermesse delle papesse. Se ci aggiungiamo i centri sociali assegnati, le case occupate assegnate, eccetera, allarghiamo il cerchio gioioso goloso dell’istituzione. Di cui nessuno negherà il senso.

Delle istituzioni si dice: sono nostre, prendiamocele, riprendiamocele.

Sì.

Ricordo soltanto che: le cose nuove nascono in posti nuovi. (Inutile citare i paesi dove questo è sempre successo e succede: non saranno i lettori italiani ad andare a controllare).

Non solo le cose interessanti succedono dove di istituzione non c’è traccia, ma proprio più in generale la gente si ritrova dove vuole, e dove non sente aria di guardie, spaccio di tessere, intellettuali filoguidati, srl gnome stampatrici,  procacciatori di minutaggio sky.

Magari quelle che hanno senso nuovo sono robe che succedono a duecento chilometri dalla città. In campagna. Con un pubblico di venti persone. La linea della ricerca può passare per una corte medievale, una masseria. [N.b., però: parlo di masserie e campagne di cui la Montatori Etitrice non sa niente].

Ovvero non per il Circo Massimo, non per il Palatrussardi. Non per le sale di Montecitorio dove periodicamente da qualche anno – per dire – si celebra a scadenze un chiatto funeralotto dell’a-capo (con verseggiatori che nessuna traccia di rossore tradiscono nel farsi annodare la cravatta e tirare un ospitale buffetto dai tenutari ossia dalla più distruttiva compagine digestiva pubblica mai vista dal tempo del fascismo).

La letteratura non ha da sfilare per forza sotto l’Arco di Costantino. (Né è granché interessante obbligarla con pedate auree a passare a tutti i costi di là).

Osservo pure che molti intellettuali che si “riprendono” quei posti lì, M’assenzio e il CampiDoglio, la superpiazza e il maniero, arrivano adesso a rivoluzionariamente pensarci (per dire: a ventuno-vendidue anni dalla Pantera) perché proprio come intellettuali essi sono già lì.

Sono già (o finalmente, nella loro ottica) entro i civili ieratici paramenti e  parametri di compatibilità – e competitività – che quei luoghi fenomenizzano, albergano e videoregistrano.

Ti riprendi quello che è tuo, caro intellettuale, non perché il fortino era stato invaso e finalmente organizzi il manipolo di genietti Pixar che con te lo espugna, ma perché tu e il tuo manipolo vi siete fatti riconoscere assai per tempo come tesserati del fortino medesimo, invaso o no che sia. Se la Pixar vi disegna, siete disegnati: è semplice. (E vi viene disegnata anche la coscienza sociale e civile. Ci mancherebbe).

Quindi entrate dalla porta principale, che dite di aver riformato in quanto ve la aprono quando bussate gentilmente. Poi, una volta dentro, sbandierate il pugno per quei gradi che il goniometro del vostro disegnatore ha deciso, e così – oltre al panino inesistente della microgloria – incassate pure il soldino di quella balda militanza che dalla glorietta pare sia – in voi – prodigiosamente non disgiunta. Che vi manca? Siete finalmente degli esempi. (O: esemplari).

Tutto risolto, o in via di risoluzione, senza ombre (come quel che scrivete, toh. Sarà un caso?).

E poi, insomma: su, è il normale gioco del quindici delle grandi e medie redazioni generaliste: ci spostiamo dai Parioli a piazza Venezia, dalla redazzzz di Repubblica al Teatro Argentina, dal palazzo storico al palazzo patrizio, poi andiamo al centro sociale, poi andiamo al Pigneto, poi ci prendiamo Mahssenzio, in mezzo c’è una fughetta in Rai.

La liberazione è virale. Come tutto facilmente si contagia… Come tutto si libera e improvvisamente, senza rendercene conto (e comunque, cavolo, sì, con grande sforzo, e eh con grande impegno e sì “sbattimento” tutti i giorni) pian piano le istituzioni sono liberate. Sono nostre. Ce le siamo riprese. O insomma siamo lì. Dentro, no? Quindi ce le siamo riprese, no? O prese: è uguale,

no?