Fervono

Fervono in rete discorsi di sinistra. Fervono relativamente alla letteratura, e all’organizzazione di quel che ne resta, in termini di pubblica esposizione della medesima. (Intendo in verità: esposizione dell’organizzazione, ché la letteratura – sempre magra – pare dietro quest’ultima sparire).

Ora.

Io una vorrei una solo una dire una sola una cosa, una, che non comunicherò alle persone che dibattono, direttamente, perché ho in odio il dispiacere altrui. Né amo che altrui patire debba (da un mio taglio, inferto frontalmente).

Dunque indirettamente e però chiaramente dirò, anzi dico: non mi interessa organizzare, vorrei non dover (sempre o spesso) organizzare; quando lo faccio o farò, tuttavia, devo e dovrò impormi la direzione dell’affinità.

Tribolato è già il sopravvivere, travagliatissimo (quand’anche dato) l’organizzare. Non pensabile sarebbe congegnare alcunché di quanto detto con chi non calamita induce sollecita solletica soffia ispira in me la minima affinità. O con chi – peggio – attrae a sé da me gradi cangianti fra indifferenza e disistima.

(Anche perché molti, ma moltissimi, tra i discettanti e ferventi, hanno loro strade, vie, ricoveri, piazze, festival, editori, gazzette, radio e tv: cosa mi chiedono? che vogliono da me?).

Se dunque non c’è modo di intervenire, se dunque per me non c’è e non vuol esserci modo di intervenire con loro, mi scuseranno, i militi che recentissimamente scoprono la maleducazione di assessori e portabisacce, nonché del “pubblico romano” (ma perfino non romano). Se è a interlocutori del genere che loro pensano, pensano a specchi che non sono mai passati per queste stanze.

(Né vedo perché introdurveli adesso che veleggio quasi verso il mezzo secolo).