Archivio mensile:Agosto 2012

promemoria: oggi “in rebus” a radio3 suite, alle ore 22

lettura da In rebus, OGGI, martedì 28 agosto,

su Radio3 Suite, intorno alle ore 22:00

*

stay tuned

http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/PublishingBlock-75f01c8d-9c4a-4ef4-ba21-a99e56c9c3c7.html

http://www.editricezona.it/inrebus.htm

extra bianco (linea e invia)

o lato delle cose come questione di natale, è su quello. in realtà hanno ottenuto cosa? le speranze del programma. è stato citato. brano compatibile. probabilmente ancora di più, o per l’avvio.

questo gioiello vi si addice, donna, per conquistare la debolezza del cordless. puzzava come l’altra metà dell’elenco. si potrebbe tentare il volto venalità.

quante cose ha perso per ottenere i corticosteroidi, la manutenzione, dritti e ganci.

può ricostruire molto della somma soggetto. l’asterisco ha scritto la diffamazione contro questi esseri eseguibili. era la prossima volta. veniva prima della prossima sequenza. solo un ambiente di interazione.

così saldamente impiantato nel perché.

sarebbe più facile?

7 segmenti e paragrafi su scritture “dopo il paradigma”

Art instead of being an object made by one
person is a process set in motion by a group
of people. Anything one says comes back
eventually as a mistake. There’s no use in
keeping accounts or records. If it’s
a good idea, it results in a permanent change.

Barrett Watten, Plasma (1979)

(1)

Ipotesi di definizione (perfettibile, già per logica): scritture estensive piuttosto che intensive. Di denotazione, non di connotazione, di oggetti più che di soggetto. (Di oggetti condivisi più che di soggetto dettante).

Scritture che hanno a disposizione sia un set o molti set di procedure, sia il comune handwriting. (O l’ascolto, il riuso, la citazione, l’assemblaggio eccetera).

§

(2)

Si potrebbe (o dovrebbe poter) dire che un titolo (di merito, anche) può essere:

poter prescindere dai ‘picchi’ di senso

(Di fatto, il senso è intenzionato dal lettore, il quale dunque è libero e non deve ammirare pose plastiche altrui). (O pose sadiane, tutte contro di sé).

Anche: sfrondando determinate isotopie o ricorrenze in un testo che pure le presenta, quel testo rimane o può (=è capace di) rimanere ugualmente godibile. Di per sé. Le isotopie non lo “giustificano”. (Possono certo essere ricchezze ulteriori, sì). (È forse qui il vecchio paradigma che avvalora coi propri ‘mezzi’ il nuovo).

§

(3)

Un classico delle divertenti vicende del paranormale: il registratore acceso nella stanza vuota cattura i bubbolii il respiro i soffi o la voce franca del fantasma. Continua a leggere

walk like an egyptian

and all my train,” quoth she,~Unless my 16 X| preserve and shield,~And for it nearer 33 XVII| canst descry.~ ~ IV~When Egypt from the Greekish emperor~ 34 XVII| squadrons first the men of Egypt show, “till Egypt’s lord~In aid of ooon’s 30 XVII| Seventeenth book~ Egypt’s great host in battle-ray 31 XVII| dada’s realm,~The Prince of Egypt war ‘gainst you prepare,~To Egypt’s king himself he close 14 X| meant to take his way,~Should us disarmed 22 XII| maids,~No plant in Pharaoh’ 5 II| stranger came he late to Egypt land,~Built near the sea,~Shall fill all Asia 18 X| Nor aught but aid from Egypt land is left:~ ~ XXXVI~” 19 X| that Egypt’s promised succors fail 20 X| hour~That it be raised by Egypt’s aid and power.~ ~ XLIV~” 21 X| Whose guide,~Or other nations that 11 V| And kill their kings from Egypt unto Inde, Vafrin the spy~Entereth 38 XVIII| well did know~The host of Egypt to be proaching near, the world the field,~From Egypt come they all,siege I well foresee~From Egypt will the Pagans succored 2 I| spial was assured,~Egypt the headland is, and 35 XVII| land the plough to bide,~To Egypt then conducted safely see~ 23 XIII| them vanquish first, then Egypt’s crew~Destroy them quite,~Go thou to Egypt,~Till Egypt’s host come to renew the 17 X| prince that shall in fertile Egypt won,~From Egypt’s king ambassadors they 4 II| That now his branches over Egypt spread, 32 XVII| Strong garrison the king of Egypt placed,~ 8 II| walk by night, as men to Egypt ride, 24 XIII| Like those which priests of Egypt erst instead~Of letters 25 XIII| seven-mouthed Nile that yields all Egypt drink,~I saw him 10 V| soon, this lets 13 IX| which availed him naught,~From Cynthia’ 12 V| bears the load uneath, a baron bold to Egypt’s king,~To quench their thirst 26 XV| And setting sail behold on Egypt’s coast~The monarch’s ships 27 XV| half his bands.~ ~ XIII~”Of Egypt only these the forces are,~The host of Egypt comes, if forces come from Egypt land,~Where Egypt’s king assembled all his 15 X| XI~”But now to visit Egypt’s mighty king,~In four troops,~And there advanced 6 II| acts,~So Egypt still increased, where heaped 7 II| and gold,~The answer 9 III| court of France~When I from Egypt went ambassador, within 36 XVII| seemed it so much grain~In Egypt grew as to sustain them 37 XVIII| forest old,~To, I at Sion stay,~ 28 XV| they from Syria pass to Egypt land:~The sterile coasts 29 XVI| hence,~That Egypt’s King was forward on his 3 II| friendship in their face

mimesi / benjamin

 

La natura produce somiglianze. Basta pensare al mimetismo animale. Ma la più alta capacità di produrre somiglianze è propria dell’uomo. Il dono di scorgere somiglianze, che egli possiede, non è che un resto rudimentale dell’obbligo un tempo schiacciante di assimilarsi e condursi in conformità. Egli non possiede, forse, alcuna funzione superiore che non sia condizionata in modo decisivo dalla facoltà mimetica.
Ma questa facoltà ha una storia, e in senso filogenetico come in senso ontogenetico.
[…] Bisogna tener presente che né le forze mimetiche, né gli oggetti mimetici, sono rimasti gli stessi nel corso dei millenni. Bisogna invece supporre che la facoltà di produrre somiglianze – per esempio nelle danze, la cui più antica funzione è appunto questa –, e quindi anche quella di riconoscerle, si è trasformata nel corso della storia.
[…]
Tutto ciò che è mimetico nel linguaggio può […] – come la fiamma – rivelarsi solo in una sorta di sostegno. Questo sostegno è l’elemento semiotico. Così il nesso significativo delle parole e delle proposizioni è il portatore in cui solo, in un baleno, si accende la somiglianza. Poiché la sua produzione da parte dell’uomo – come la percezione che egli ne ha – è affidata, in molti casi, e soprattutto nei più importanti, a un baleno. Essa guizza via. Non è improbabile che la rapidità dello scrivere e del leggere rafforzi la fusione del semiotico e del mimetico nell’ambito della lingua.
«Leggere ciò che non è mai stato scritto». Questa lettura è la più antica: quella anteriore a ogni lingua – dalle viscere, dalle stelle o dalle danze. Più tardi, si affermarono anelli intermedi di una nuova lettura, rune e geroglifici. È logico supporre che furono queste le fasi attraverso le quali quella facoltà mimetica che era stata il fondamento della prassi occulta fece il suo ingresso nella scrittura e nella lingua. Così la lingua sarebbe lo stadio supremo del comportamento mimetico e il più perfetto archivio di somiglianze immateriali: un mezzo in cui emigrarono senza residui le più antiche forze di produzione e ricezione mimetica, fino a liquidare quelle della magia.

Walter Benjamin, Sulla facoltà mimetica, in Angelus Novus,
a c. di R.Solmi, Einaudi, Torino 1962, 19939, pp. 71-74.



L’archivio delle somiglianze, dopo il cambio di paradigma, si sposta dal versante grafico e fonico a quello dei rapporti invisibili frasali e di paragrafo/periodo? È un’ipotesi. Continua a leggere

scritture di ricerca: dopo il paradigma

Marco Giovenale

[…]

I. Per datare i cambiamenti: alcuni indizi

da una mail del 17 aprile 2012
a Jennifer Scappettone
[…]
I.0.
In questi giorni sto rileggendo Lacan, soprattutto Dei Nomi-del-Padre, e vado smontando e ricombinando (tenendo presente Rosselli) varie teorie o letture critiche, sulla base dei testi. Già quasi in incipit (p. 15 dell’edizione italiana a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi 2006): «Vediamo […] che cosa succede quando un nevrotico giunge all’esperienza analitica. Comincia anche lui a dire delle cose. […] In un primo momento crede di dover fare lui stesso il medico e di dover informare l’analista. Va da sé che nella vostra esperienza quotidiana lo riporterete al suo piano, dicendogli che non si tratta di questo, ma di parlare, e preferibilmente senza cercare di mettere un ordine, di dare un’organizzazione, vale a dire senza cercare di mettersi, secondo un ben noto narcisismo, al posto dell’interlocutore».
È proprio quanto fa, secondo un ben noto narcisismo, lo scrittore che non intende ragioni e vuol stare con entrambi i piedi al di qua del cambio di paradigma. E vuole (sadicamente: impone di) essere seguito dal lettore sul proprio terreno di regole e gioco. Incede nella propria retorica e chiede a gran voce il patto di reciproca illusione tra autore e lettore. Come se tutto fosse fisso, come se Lord Chandos fosse seppellito per sempre, e tutto si desse chiaro, stabilito: identità dei parlanti, di chi ascolta, del mondo nominato, variabili e costanti della comunicazione, linguaggio, metri e stili, accordi pregressi di codici, tutto coeso, tutto senza domanda. Al limite, questo narciso non ha bisogno di interlocutori, d’altro canto il “pubblico della poesia” è fatto (quasi tutto) di narcisi come lui.  (Anch’essi auctores, non a caso).

I.1.

L’impressione è che da circa mezzo secolo noi tutti siamo fuori da un “paradigma”. In occidente, almeno. (Paradigma è vocabolo sentito alternativamente o troppo invadente o troppo poco inclusivo, eccessivamente blando; dunque lo si assumerà come signum arbitrario da variare; al momento lo uso come puro termine convenzionale, e provvisorio).

Se un cambio di paradigma c’è stato (perfino in Italia), di fatto ci troviamo adesso in un altro/differente (o entro una serie di altri), che invece appunto ci include e determina. Siamo (nati) in un diverso paradigma che include/informa percezioni reazioni relazioni nel contesto o panorama occidentale, e nei testi che vi si producono. Tutto o moltissimo è cambiato intorno a noi e in noi anche per via di quel che è stato scritto e sentito e percepito e fatto e detto dall’inizio degli anni Sessanta. A me sembra che si sia pienamente (e contortamente) dentro un mutamento, o mutazione avvenuta e ancora in atto: ci siamo letteralmente nati, è stato la nostra placenta.

Eviterei di parlare di Modernismo come di Postmoderno. Anche se parlare, invece, di paradigmi è quanto meno fumoso. Ma qui non scrivo un “saggio”; qui semmai si dà per avviata (con puntini di sospensione all’inizio e alla fine) una sequenza di ipotesi e domande, più che risposte; si ragiona operando su un terreno che il ragionamento stesso tenta di preparare a un viaggio verso definizioni in larga parte da elaborare.

I.2.

Il cambio di paradigma sembra essere iniziato al principio degli anni Sessanta. Rosselli scrive Spazi metrici nel 1962, Antonio Porta Aprire nel 1960-61, Corrado Costa le prime poesie sul «verri» in quegli stessi anni. (Ma gli esempi sarebbero dozzine). Esce nel giugno 1962 Opera aperta, di Eco.

Rosselli chiude e castra razionalmente/musicalmente il metro italiano forzandolo in SPAZI metrici, Antonio Porta raffigura sì un delitto (dalle annotazioni ad Aprire, testo che conclude I Novissimi), la cui vittima è una donna (che è immaginabile lui tema); ma, pur facendo così, smembra l’io proprio, parlante: è totalmente preso dal disintegrare e disinnescare sia il racconto sia l’io che narra la storia. Corrado Costa è già al dopo, è collocabile in una diversa percezione, una diversa modulazione di testualità. Questo in verità sarà evidente soprattutto al principio degli anni Settanta, con Le nostre posizioni (1972). Costa a me sembra la figura centrale di una specie di consolidamento di posizioni poetiche, insieme a Spatola e a tutta l’area di scritture (non necessariamente rapite dalla sirena metatestuale) che formavano la costellazione sfrangiata delle neoavanguardie e delle tante linee di ricerca in quegli anni (spesso riunite in riviste effimere, contraddittorie: tutte però significative di una situazione).

Quelli di Rosselli e Porta sono testi ben diversi da quelli che poteva scrivere Sanguineti tra 1951 e ’61. Molto lontani. Continua a leggere

david merritt + landroverfarm press

from https://www.facebook.com/notes/the-david-merritt-poetry-experience/interview-notes-2012/235999886507110

1. How have you developed your practice as a poet and street merchant?.

Hmmmm. I started as a poet in the mid eighties when I moved down to dunedin. I already had a love of the photocopier machine by then – from the time they filled entire rooms.

I started to write stuff and then later had the audacity to read them out to audiences. Sometime later I developed a method of randomising the order of the poems by letting audience decide numerical sequences – this kind of kept me on my toes and quashed the performing dog syndrome.  I released collections of poems almost annually from 1986 to 1992 as short-run chapbooks in a variety of guises and as a bewildering array of presses – Gung Ho, Onecent Press, Fivecent Press, Kitchentable Press….. I edited and produced  other poets and writers works, was active in arts collectives 1987-1993 (Chippendale House / Super 8) – usual stuff.

Anyway, to cut a long preamble short, in 2009  I did a short tour with a cabaret troupe and started to make books as merchandising to sell and give away at readings. Geek Prayers had been published a few months earlier by Kilmog Press in dunedin and sold out so I started with that one first. Got a set of ISBN numbers.  Worked out that there was a continual (for now) tide of old books such as Readers Digest Condensed novels that were clogging the waste stream.  I bench tested in Wellington one weekend and it hasn’t stopped since.

Now, nearly 4 years later,  I have over 50 things in print, maybe 30-40 publications available at one time.  Mostly they are single sheet poems, A3 sized, glued inside an inside out old RD cover, badly stapled together and then crudely the covers are title-stamped with the rubber stamp pad set. There are 5 collections in that first  list of publications – Mixture of Wishes, Kibble, Grist, a reprint of In Overdraft at the Bank of Human Kindness and a soon to hit the streets new collection called Barcode. There’s other projects now on the go too, the Mirror City Letterpress with Rob and Kitty in Oamaru, which is where I will be semibased for a while and the inevitable recording with Chris in NEV…..

The street merchant thing is part of the evolving poetical practice. The readings are now evolving into events where people read 25-50 or so items in multitasking peace.  This means I can theoretically be doing readings in many places at once.

The sit on a bench making chapbooks, the public or street poet – these are historic cliches based around earlier poetical arts practice dating back to the 16th century. They help me posit my workplace into a historical context.

I’m anti consumerist and anti mass production – especially of our own cultures. I occupy a niche poetical world where the normal economics suck. I’m not off to a creative writing course any day soon  or want / desire an academic outlook.  The bench making process is transparent, requiring  only commonly available materials and a degree of gumption to face a public. I’m copyleft and not likely to lawyer up over just about anything – everything I make has the ability to be recontexuralised – either re-copied, reused etc.

Street merchantism is hard obviously. I look homeless and poor. Councils harass you for merchandising and not busking (I say I am a street installation artist). I can’t charge a price for the books on the street for that reason so suggest donations or koha or big coins / small notes . Some places are no go zones  – Queen Street in Auckland is not allowed but K Road, a mile up the road, is supportive and ok, in Cuba Street I can’t use a bench, etc. Thats why I’m now developing point of sale bricks and toast racks at selected retail outlets.  The folks my age don’t get it to see me making/selling on a bench but in a shop the books do fall into the norms of the shopping / buying experience, Street selling is like fishing. Good and bad days. Conversations and no sales, the WTF looks, the starethroughs, the invisibility as you get older and more looking like a refugee from a kurdistan province.

You can read more of this interview at http://puehu.tumblr.com/post/26944239513/david-merritt-an-interview

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Landroverfarm press
https://www.facebook.com/pages/Landroverfarm-press/154520814607201