[…] sembra sensato definire essenziale una quota alta di introiezione (e dunque dissipazione) del percorso critico-analitico, e quindi di (pregresso, precedente) abbandono al gesto stesso dell’operazione scrittoria. Banalmente: nell’atto di scrivere sta, disseminata in ogni cellula di quel che il corpo è, la sacrosanta catasta di interdizioni che una coscienza (storica, letteraria, critico-analitica, di percezione del “contemporaneo”) ha accumulato, e che non è un deposito inerte o un tool da “applicare”, ma costituisce proprio il corpo. (E: il proprio corpo; e forse: il proprio del corpo).
Insomma… le persone (tutte) sono un alveare di vicoli ciechi. Di blocchi, di interdizioni. Di restrizioni. (Questo siamo, direi).
Le interdizioni, le restrizioni, sono materia reale e necessaria se allora funzionano come corpo; non se vengono “applicate” come un tool (da un freudiano Super-Io mascherato da qualsiasi altro attore) al gesto della scrittura.
Se vengono “applicate”, i “risultati” della scrittura ne risentono. (È pressoché matematico).
Non bisogna “studiare” googlemap per andare in un posto. Bisogna “essere” (o perlomeno vedere!) googlemap. (Chiedo venia per lo sciocco parlar figurato).
(E… dico continuamente, ragionando di scrittura di ricerca, cose così: i cosiddetti “mezzi” che usiamo – Photoshop Word googlemap html sms, tutto – non sono strumenti o entità esterne al nostro corpo che improvvisamente e miracolosamente la tecnologia ci lancia addosso e noi infiliamo come tute da sommozzatori. Sono cose nate “dal” e “nel” nostro corpo: dunque esigenze che uno sviluppatore accorto ha fiutato e trasformato in un software/hardware che – toh guarda caso – poi gli utenti riconoscono e iniziano a usare. È ovvio che lo riconoscano e lo usino: è nato da loro! Da tutti. Nell’esempio di googlemap: si tratta del “senso dell’orientamento”. Non funziona diversamente il senso di orientamento nella scrittura).
In soldoni: se uno “pensa” (=pensa troppo, categorizza, lacanizza) mentre scrive, sbaglia. Vuole “usare” quello che “sa”. (Rileggendosi a distanza di tempo e con occhi esterni al contesto critico-analitico, il limite si nota subito, di solito).
[Nell’esempio di googlemap: se uno guarda la mappa mentre cammina, finisce nel tombino o sotto un tram. Detto sbrigativamente: se uno invece si orienta, cioè se per qualche benedetto motivo la mappa ce l’ha in testa, non deve pensare dove andare: va e arriva dove deve arrivare e basta, magari con qualche errore intermedio, ok, qualche circonvoluzione, presto corretta (nessuno pensa a una coincidenza crociana intuizione-espressione nell’orientamento]
Data l’introiezione di una serie di pattern (di coscienza di strade interdette, interrotte, inutili, kitsch, ridondanti, puerilmente giocose), è l’introiezione stessa (dunque un inconscio) a guidare la mano. Il che non significa scrittura automatica, ma – appunto – introiezione di limiti, di autolimitazioni, di sospetti su di sé. (Di sospetti su quel che si “sa”).
Poi c’è il tempo. Poi c’è la rilettura, e la correzione. (A volte la cancellazione, a volte integrale)…
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