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4 settembre, roma, social street art

Sabato 4 Settembre il Centro di Cultura Ecologica ospita Social Street Art, un evento vincitore del bando Estate Romana in V Municipio.

In occasione della manifestazione i servizi della Biblioteca “Fabrizio Giovenale” saranno sospesi per l’intera giornata.

Social Street Art e’ un festival di arti urbane che racchiude “arti di strada” e temi sociali.
Spettacoli, performance di breakdance, graffiti e video proiezioni che affrontano tematiche sociali, quali il valore della diversita’ ed i diritti umani interpretandole con un linguaggio contemporaneo;
ospita il B-BOY EVENT, contest di richiamo Internazionale, giunto alla sua 11a edizione che portera’ a Roma ragazzi provenienti da tutta Italia e dall’estero; reinterpreta per l’occasione il concetto di aerosol art e per tutta la durata dell’evento verranno proiettate sull’edificio di Casale A.L.B.A.-3 spot e campagne sociali nazionali ed internazionali;
ha una sezione GRAFFITI interamente curata da Walls. Walls e’ tutto quello che riguarda le forme espressive che usano come scenario la citta’. Un team di professionisti supportati dai migliori artisti e designer italiani; ospita l’istallazione Kilyka’, il corpo che genera musica, progetto trainante della BCCA. Kilyka e’ un’installazione che nasce dall’integrazione di una tecnologia di motion capture markerless e di vari motori di rendering. L’immagine, l’espressione ed il singolo movimento dell’artista si trasformano in musica, immagini e interattivita’. Gli artisti ad improvvisare con “Kilyka’” saranno i Badu
Rhythm e Shea99.

Leggi tutta la notizia e il programma della manifestazione

“more money in your pocket” _ l’industria del cibo negli USA

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http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Flash&d_op=getit&id=13546

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Cibo s.p.a. è un documentario che descrive la trasformazione radicale dell’industria alimentare avvenuta negli USA negli ultimi decenni. Vedere da vicino ciò che è successo in America è sicuramente importante per capire quello che rischiamo di veder succedere anche da noi molto presto.

Nonostante il consumatore venga illuso di avere a disposizione una grande varietà di marche e prodotti diversi, in realtà questi fanno tutti capo ad un numero molto ristretto di super-aziende alimentari, che poi li immettono sul mercato con nomi e sotto marche diversi. Ancora più inquietante è il fatto che, indipendentemente dal produttore, uno degli ingredienti principali rimanga il granoturco, nelle sue forme più disparate.

La sua estrema economicità, ottenuta in modo artificiale, grazie a pesanti incentivi pubblici, ha portato ad utilizzarlo anche come mangime per i bovini, al posto dell’erba che dovrebbe essere il loro nutrimento ideale.

Gli allevamenti di bestiame hanno raggiunto dimensioni enormi ed i mattatoi sono diventati catene di montaggio ad altissima efficienza, dove gli animali al massacro sono trattati poco peggio degli stessi dipendenti, che vengono usati come “macchine umane”.

Tale ciclo lavorativo porta con se altre deleterie conseguenze quale un altissimo rischio di infezioni e contaminazioni dei prodotti, che devono quindi essere sottoposti a fasi di lavorazione che includono una forte sterilizzazione.

Non manca infine il capitolo dedicato alla tristemente famosa Monsanto, che a seguito della recente possibilità di brevettare forme di vita (vegetali o animali) sta cambiando radicalmente il settore agricolo, e impedisce di fatto agli agricoltori di svolgere il loro lavoro con le metodologie che da sempre hanno caratterizzato la loro attività.

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link: http://ilporticodipinto.it/content/cibo-spa


un post di commento alla riflessione di C. Mismetti Capua

commentando — rapidamente ma non distrattamente — questo post:

sono osservazioni necessarie, quanto dure, queste; direi indispensabili.

è difficile per ‘noi occidentali’ ri-conoscere il disagio, l’assenza di garanzie.
(come italiani, siamo costruiti, organizzati, calzati e vestiti da un insieme di garanzie magari imperfette ma per le quali qualcuno ha combattuto prima che nascessimo, e che diamo ingenuamente per scontate).

a volte ri-conosciamo solo ciò che conosciamo già.
funziona allo stesso modo per Continua a leggere

delle cose che avrebbero diritto ad avere e non hanno

 

Vorrei potervi spiegare, ma non so se riesco.

Ricevo molte lettere e commenti da voi, cittadini di Asterix arrivati qui ognuno a modo suo, per ragioni del cuore che ignoro, attraverso strade di pixel.

Mi chiedete dei ragazzi, della legge italiana, di come li tratta, di come li trattiamo, di cosa fanno, di come stanno, se soffrono, di cosa hanno. Vi ringrazio di queste domande, di questi pensieri. Anche di quelli sbagliati.

Mi accorgo che esattamente come me, il giorno che li ho incontrati sul bus, non sapete niente. Molti immaginano che ci siano scuole organizzate per loro, psicologi, lezioni di italiano extra, qualcuno che paga i loro libri, un centro dove giocare o essere ascoltati, che ci sia qualcosa.

Non c’è molto, e quello che c’è è un po’ sbrindellato e cialtrone, e qualche volta anche ladrone, come siamo noi.

Per questo — non c’è niente di male nel non sapere niente — vorrei potervi spiegare, ma non so se ci riesco. E’ troppa roba tutta insieme: dovrei spiegarvi come mai li accogliamo, e quando invece li lasciamo annegare nei barconi.

Dovrei spiegarvi dei loro documenti, di cosa c’è scritto, e di come glieli diamo, e delle cose che avrebbero diritto ad avere e non hanno.

Dovrei spiegarvi dei centri di accoglienza, di come sono fatti quelli per bambini e quelli per adolescenti, di come alcuni sembrino un carcere, e di quelli per adulti dove devi uscire la mattina alle otto e tornare alle sei, anche se non sai dove andare e dove mangiare a pranzo. Fuori. Dovrei spiegarvi che li chiamano per numero.

Queste cose sono troppe, lunghissime, infinite, non so come spiegarvele: immaginatevi una cosa piccola, che date per scontata, una stupidata, che so i biglietti dell’autobus o i calzini o la merenda: ecco, per loro è un problema.

Vorrei allora almeno potervi spiegare cosa significa essere soli come lo sono loro, cosa significhi non conoscere nessuno in città, non incontrare mai nessuno che appartenga alla propria vita, ma solo estranei più o meno gentili, più o meno distratti. Non un bar dove vi conoscono, non una scuola dove siete andati da piccoli, non un giardino dove conservate il ricordo di qualcosa di bello, non una sola persona a cui citofonare in tutto il continente.

E cosa significhi non avere una casa dove tornare e trovare le proprie cose, le nostre cianfrusaglie al loro posto, le facce, l’odore di casa, il pane, i rumori di sempre. Vorrei potervi spiegare cosa significa guardarsi intorno ogni mattina, ogni giorno, e non essere a casa propria. Cosa significa emigrare quando si è solo uno stormo di ragazzi soli, confusi e tenaci

Tutte queste cose che ora so le ho imparate da loro.
Gliele vedete negli occhi, se guardate bene: occhi tristi qualche volta, occhi dubbiosi, occhi che ce la mettono tutta.
Ammiro i ragazzi, perché ce la mettono tutta.
Non è per niente facile la loro vita con noi.
Noi, così distratti, così incapaci di immaginare la loro vita.

 

Carlotta Mismetti Capua

http://lacittadiasterix.blogspot.com/