Archivi tag: Christophe Tarkos

messaggi ai poeti (#24)

vediamo se riesco a spiegarmi:

http://littéralité.com

tarkos

http://littéralité.com

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pagine estive (o quasi) che vanno bene anche per l’autunno _ (16) corrispondenza privata : appunti sparsi sul glitch

– (Il concetto di deviazione e scarto può essere inteso non esclusivamente come interno a microintervalli, ma anche nel senso – scientifico – di “tempo profondo”: come, potremmo domandarci, è storicamente “glitch rispetto a noi” la pittura rupestre?) (Per dire). (!).

– Il glitch e altre pratiche nominate in varie occasioni (googlism, scrittura asemantica, ecc.) direi di considerarle sempre in qualche modo all’interno della cornice di quel qualcosa di indefinibile e spiazzante che in forma insoddisfacente grezza e abbreviata tenderei tutt’ora a definire scrittura dopo il “cambio di paradigma”. In questa area smarginata – e da studiare ancora – è molto problematico osservare una “necessità” e un'”opera” nel senso e nei modi in cui queste venivano individuate nelle stagioni o aree (temporalmente non finite) del modernismo e del postmodernismo (ammesso che quest’ultima categoria esista non solo come camera di compensazione di qualcos’altro, come credo).

– L’estrema volubile semi-interminabile variabilità e starei per dire volubilità del testo “dopo il paradigma” non esclude il concetto di necessità, ma ne assottiglia i parametri di definizione. Siamo meno vicini di prima a capire che cosa è un testo necessario, o perché è tale. (Ho in cantiere, su questo, un fascio disordinato di annotazioni che partono dal saggio in più parti, di Giuliano Mesa, Il verso libero e il verso necessario, in cui colgo una contraddizione temo inaggirabile in taluni elementi della proposta interpretativa). Continua a leggere

pagine estive (o quasi) che vanno bene anche per l’autunno _ (15) corrispondenza privata : assertivo / non assertivo

1.

Sull’idea (imprecisa e da verificare) di non assertività, legata a quanto oltrepassa la linea del cambio di paradigma, linkerei daccapo il testo Riambientarsi (ma anche difendersi), in http://slowforward.wordpress.com/2012/09/29/riambientarsi-ma-anche-difendersi (e qui), nel quale forse in modo prolisso – ma proprio per questo estesamente – è esplicitato cosa si può intendere per scritture nuove, non assertive, appunto. (Traendo esempi, in particolare, da Corrado Costa, Christophe Tarkos, Ida Börjel). (Con ciò relativizzando, giocoforza, l’aggettivo “nuove”, come più volte spiegato).

E aggiungo: c’è un’assertività su cui si può (diciamo così) concordare, di cui si può prendere anche felicemente atto, pur facendo essa riferimento a un “prima” del cambio di paradigma. È l’assertività di chi scrive egregiamente in modo “modernista”, tutt’ora, a cambio di paradigma avvenuto. Cioè è l’assertività di una qualche lirica (o antilirica) che funziona, che lavora in direzioni note ma con acquisizioni interessanti e ben più che semplicemente interessanti. (Per dire: alcune cose di Giuliano Mesa, principalmente il Tiresia). (Mentre già Quattro quaderni è assai poco modernista, è evidentemente oltre/dopo il paradigma, in un modo del tutto inedito/isolato rispetto ad esperienze di altri autori). A me sembra percorso affascinante e produttivo; talvolta, sicuramente, rischioso (nel senso che è facile, percorrendo una strada simile, non spostarsi da una determinata linea di preorientamento o previsione dell’assenso del lettore). (Attraverso la struttura e l’architettura complessiva del testo, se non attraverso i meccanismi interni, microtestuali, consueti: rima, omofonie, a-capo significativi, isotopie, ..).

C’è poi, invece, Continua a leggere

corrispondenza privata_ (2) : appunti sparsi sul glitch

– (Il concetto di deviazione e scarto può essere inteso non esclusivamente come interno a microintervalli, ma anche nel senso – scientifico – di “tempo profondo”: come, potremmo domandarci, è storicamente “glitch rispetto a noi” la pittura rupestre?) (Per dire). (!).

– Il glitch e altre pratiche nominate in varie occasioni (googlism, scrittura asemantica, ecc.) direi di considerarle sempre in qualche modo all’interno della cornice di quel qualcosa di indefinibile e spiazzante che in forma insoddisfacente grezza e abbreviata tenderei tutt’ora a definire scrittura dopo il “cambio di paradigma”. In questa area smarginata – e da studiare ancora – è molto problematico osservare una “necessità” e un'”opera” nel senso e nei modi in cui queste venivano individuate nelle stagioni o aree (temporalmente non finite) del modernismo e del postmodernismo (ammesso che quest’ultima categoria esista non solo come camera di compensazione di qualcos’altro, come credo).

– L’estrema volubile semi-interminabile variabilità e starei per dire volubilità del testo “dopo il paradigma” non esclude il concetto di necessità, ma ne assottiglia i parametri di definizione. Siamo meno vicini di prima a capire che cosa è un testo necessario, o perché è tale. (Ho in cantiere, su questo, un fascio disordinato di annotazioni che partono dal saggio in più parti, di Giuliano Mesa, Il verso libero e il verso necessario, in cui colgo una contraddizione temo inaggirabile in taluni elementi della proposta interpretativa). Continua a leggere

corrispondenza privata _ (1) : assertivo / non assertivo

1.

Sull’idea (imprecisa e da verificare) di non assertività, legata a quanto oltrepassa la linea del cambio di paradigma, linkerei daccapo il testo Riambientarsi (ma anche difendersi), in http://slowforward.wordpress.com/2012/09/29/riambientarsi-ma-anche-difendersi (e qui), nel quale forse in modo prolisso – ma proprio per questo estesamente – è esplicitato cosa si può intendere per scritture nuove, non assertive, appunto. (Traendo esempi, in particolare, da Corrado Costa, Christophe Tarkos, Ida Börjel). (Con ciò relativizzando, giocoforza, l’aggettivo “nuove”, come più volte spiegato).

E aggiungo: c’è un’assertività su cui si può (diciamo così) concordare, di cui si può prendere anche felicemente atto, pur facendo essa riferimento a un “prima” del cambio di paradigma. È l’assertività di chi scrive egregiamente in modo “modernista”, tutt’ora, a cambio di paradigma avvenuto. Cioè è l’assertività di una qualche lirica (o antilirica) che funziona, che lavora in direzioni note ma con acquisizioni interessanti e ben più che semplicemente interessanti. (Per dire: alcune cose di Giuliano Mesa, principalmente il Tiresia). (Mentre già Quattro quaderni è assai poco modernista, è evidentemente oltre/dopo il paradigma, in un modo del tutto inedito/isolato rispetto ad esperienze di altri autori). A me sembra percorso affascinante e produttivo; talvolta, sicuramente, rischioso (nel senso che è facile, percorrendo una strada simile, non spostarsi da una determinata linea di preorientamento o previsione dell’assenso del lettore). (Attraverso la struttura e l’architettura complessiva del testo, se non attraverso i meccanismi interni, microtestuali, consueti: rima, omofonie, a-capo significativi, isotopie, ..).

C’è poi, invece, Continua a leggere