Da ragazzo credevo esistesse una generazione di scrittori, critici, poeti e intellettuali precedente alla mia, dei fratelli maggiori diciamo, alla quale mi sarei dovuto rapportare, cosa che ho fatto, credendo che questa generazione avrebbe traghettato la mia e i migliori della mia, quelli che pubblicavano, verso un nuovo ambiente culturale.
A quel tempo, tra la fine degli anni ottanta e quella dei novanta, pubblicare era la cosa che più desideravo. Mi ero anche dato delle scadenze entro le quali sarei dovuto diventare il nuovo Pennac, il figlio di Benni o qualche altra porcheria che avevo in testa in quel periodo.
Vedevo lo scrittore come la persona che ce l’aveva fatta e i cui libri erano aspettati dal proprio pubblico. I romanzi uscivano come oggi uscirebbe una nuova serie Netflix e tutti ne parlavano. Questa era la percezione che avevo da ragazzino, prima della rete.
Pubblicare, prima di internet, era un sogno. Non esistevano posti dove la gente poteva leggere le tue cose. Uniche, le riviste come Il Maltese, Versodove, Il Babau, La Rosa Purpurea del Cairo, Il Paradiso Degli Orchi, Ellin Selae e altre ancora.
Adesso, passati più di trent’anni, tutto quel mondo appare come un’illusione che mi ero creato. Il panorama si è trasformato e gli idoli che avrebbero dovuto scandire con le loro uscite editoriali il mio mondo sono finiti in seconda e terza fila.
I loro romanzi e le loro poesie ingrossano la loro bibliografia su Wikipedia, quando c’è, ma sono scomparsi dall’immaginario collettivo. Sono stati sostituiti dalle serie in streaming, dai nuovi videogiochi in uscita, dalle produzioni internazionali degli eroi che – da bambini – guardavamo e leggevamo senza sapere che ci avrebbero tormentato come tafani invecchiati per decenni: Spiderman, Luke Skywalker, Iron man.
Gli editori che guardavo come marchi inossidabili oggi sono fragili golem dai piedi di fango che si scrivono sulla fronte nomi goffi che pronunciano mandando in pezzi parte del bilancio. Flipbook. Influencer. Non sanno nemmeno loro bene.
Si mangiano l’un altro, si assorbono, si divorano, si masticano e alla fine hanno tutti lo stesso gusto di mercato.
Oggi mi trovo qua a essere un giovane scrittore, non affermato, ma invecchiato. Un giovane invecchiato, più collegato a questa nuova generazione che sta arrivando che a quella che mi avrebbe dovuto precedere e dove, alla fine, tutti si sono seduti appena hanno trovato un ramo su cui farlo. Non tutti magari.
Ho avuto un sogno infantile, e questo sogno ora è la materia con cui ho a che fare in un panorama che si è completamente trasformato e che – da un certo punto di vista – mi piace anche molto di più. Ma dove il peso della letteratura, della poesia e – in genere – della cultura è stato scarificato dalla rivoluzione dei media che è ancora in corso.