Fabio Teti @ EX.IT – Materiali fuori contesto, Albinea 12-14 aprile 2013 :
http://eexxiitt.blogspot.it/2013/08/fabio-teti-exit-il-video.html
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Fabio Teti @ EX.IT – Materiali fuori contesto, Albinea 12-14 aprile 2013 :
http://eexxiitt.blogspot.it/2013/08/fabio-teti-exit-il-video.html
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Sul tema della scrittura o dellE scritture di ricerca si dibatte in questi giorni in diverse sedi, in rete. A contributi già offerti su Slowforward (e lì individuabili, volendo, anche grazie alla mappa nella nuova pagina “temi & tag”), aggiungo gli spunti che si possono ricavare dal lavoro fatto collettivamente con gli incontri di EX.IT – Materiali fuori contesto
EX.IT 2013 : un’anteprima con alcune pagine del libro si può vedere all’indirizzo
http://issuu.com/ex.it/docs/ex_it_2013_anteprima_libro?e=7688436/2116102
(per richiederlo :
http://eexxiitt.blogspot.it/p/modulo-ordine-libro-exit-2013-materiali.html)
DOSSIER EX.IT :
http://eexxiitt.blogspot.com/search/label/EX.IT%202013%20:%20dossier
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http://mariangelaguatteri.wordpress.com/2013/08/08/intervista-radiofonica/
In onda l’estratto audio del video 2 0 1 2 e lettura da Casino Conolly [in EX.IT 2013 – Materiali fuori contesto]
Punto Radio Città Futura – Intervista a cura di Gianluca Garrapa, 7 agosto 2013
[http://www.puntoradio.fm/]
[http://www.mixcloud.com/QuestaSera/a-questa-sera-lartista-mariangela-guatteri-e-il-cantante-dei-massaroni-pianoforti-782013/]
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Lo scorso anno si sarebbero dovuti tenere in una casa privata dei seminari (di “lettere grosse“) sulla “prose très prose“, sulla prosa breve, sulla scrittura di ricerca. Qui a Roma. Una serie di imprevisti ha dirottato e poi reso irrealizzabile il progetto, ma lo schema di massima di quel che si sarebbe andati a fare e dire era grosso modo questo:
#1 cambio di paradigma
Fénéon non è Fargue. Ponge non è Michaux. Beckett non è Char. Tarkos non è Bonnefoy. Tutti leggiamo con passione Fargue, Michaux, Char, Bonnefoy. Ciò non toglie che in alcune scritture si sia verificato – o sia non illogicamente ravvisabile – un cambio di paradigma.
#2 googlism non è googling
Come funziona un sought text.
#3 alcuni luoghi comuni sfatati
Sfatiamo l’idea che l’asserzione sia il male. Che i testi freddi siano tutti “dopo il paradigma”. Che i testi freddi siano “anaffettivi” (o stupiderie simili). Che funzionino sempre. Che Costa scriva le stesse cose di Spatola. Che Costa scriva le stesse cose scritte da tutti gli autori di Tam Tam. Che la scrittura di ricerca sia tutta cut-up. Che cut-up e googlism siano sinonimi. Che cut-up, googlism e poche altre tecniche siano solo “tecniche”, e che rappresentino l’intero della scrittura di ricerca. Che il non detto, l’ombra e l’allegoria non possano essere “dopo il paradigma”. Che Corrado Costa sia giocoso (Costa è tragico, dunque è anche giocoso). Che l’opera di Giuliano Mesa sia risolvibile interamente entro i parametri del Modernismo. Che ci sia una qualche necessaria contraddizione fra tragedia e scritti “dopo il paradigma”. Che post-paradigma e postmoderno siano sinonimi. Che tutte le basi della scrittura “dopo il paradigma” siano state gettate dalle avanguardie vecchie e nuove. Che tra Gruppo 63 / Tel Quel e scritture nuove ci sia filiazione diretta e pacifica. Che la scrittura di ricerca sia “focused on language”. Che le scritture nuove siano sempre o spesso metatestuali.
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Alessandro Broggi @ EX.IT – Materiali fuori contesto, Albinea 12-14 aprile 2013 :
http://eexxiitt.blogspot.it/2013/08/alessandro-broggi-exit-il-video.html
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thanks to Susana Gardner: http://www.dusie.org/gunlesstea.pdf
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mi sono fatto le matte risate a rileggere i commenti al post http://www.nazioneindiana.com/2010/01/15/da-giornale-del-viaggio-in-italia/
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Quella qui riprodotta è una delle fotografie che, mostrate in sequenza, costituivano la sigla d’apertura dello sceneggiato tv La traccia verde, 1975. Bisogna immaginare una sigla intera tutta strutturata, o meglio destrutturata, o forse sospesa, in questo modo. Semplici fotografie, in una sequenza che durava oltre un minuto, accompagnata da una musica straniante di acuti (moog?).
Sigla pensabile oggi? A mio avviso no. In ogni caso, ho ritrovato abbastanza recentemente lo sceneggiato, che decisamente non è tra i migliori trasmessi in quegli anni dalla Rai, e che tuttavia mi ha dato occasione di riflettere una volta di più sulla costituzione e percezione di ombra, di non detto, di inesplicito, di latenze narrative, di indugio, attesa, che a far tempo dagli anni Sessanta e Settanta erano non l’eccezione elitaria ma quasi le regole della comunicazione generale, collettiva, delle cose, o almeno ‘potevano’ esserlo, visto che perfino la tv di massa (lo sceneggiato, appunto) ascriveva ombre e tempi dilatati e latenze, ampiamente, al linguaggio e al silenzio condivisi, e infine arrivava a registrarle nella rubrica della massima diffusione popolare.
Intendo suggerire che la percezione normale delle cose ‘comprendeva’ (= capiva, e includeva) la latenza, il non – interamente – detto, esplicitato, spiegato. E l’indugio.
Detto lateralmente, sommessamente: non tutti – nella generazione che ha formato il proprio linguaggio e le proprie visioni e ossessioni già negli anni Ottanta – possono forse dire la stessa cosa. Con la fine degli anni Settanta, almeno al livello della cultura diffusa, le cose cambiano profondamente. Alcune trasmissioni televisive, poi anche radiofoniche, e alcuni autori, alcune ricerche, non possono proprio materialmente più avere spazio, e spazio di ascolto ed espressione.
Il tipo di retoriche e di strutture, e di dissipazione di strutture, cambia dalle radici. Non si verifica più che uno spettatore si trovi di fronte a lunghissimi piani sequenza muti, nella tv generalista. Una sigla di un minuto intero fatta di foto o fermoimmagini di piante (come nello sceneggiato citato), diventa economicamente impensabile per la televisione della fine del millennio. (Parlo non di una sola sigla, ma di molte, strutturate in modo analogo, lungo l’arco che arriva a coprire interamente gli anni Settanta).
E dunque: quando lo stesso individuo che nel 1975 a sei anni vedeva La traccia verde si trova nel 1983 (ora a quattordici) a leggere Julio Cortázar, bisogna capire che oggettivamente ‘non può’ non sentirsi a casa. Non può non ritrovare parte della propria identità in racconti come Il fissatigre, o Casa occupata, o nelle vicende dei cronopios e dei famas. Non può non sentire vacue e fuori luogo, per non dire cretine, le domande che alcuni gli fanno e si fanno, circa il ‘perché’ di certe narrazioni cortazariane, circa il loro “significato”.
(Amici, replica, che senso ha la vita? Avete sempre bisogno di didascalie? Non campate senza? Non ne scrivete voi stessi, sempre, semplicemente vivendo?)
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