[r] _ poesia e ‘oggetto estetico’

Forse non lo riscriverei così, o non parola per parola, ma insomma rivedendo questo articolo del 2005 trovo che ha forse qualche numero per risultare ancora utile. Era uscito su “YIP” nel 2003 e poi in Italianistica On Line (26 maggio 2005): http://www.italianisticaonline.it/2005/poesia-e-oggetto-estetico/

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Quando nel testo poetico entrano, a fare struttura, inaggirabili, flussi di cifre, cartine, calchi paleografici, oggetti, video, voci, e ancora differenti elementi “estranei”; e se questo accade nell’arco non di pochi anni, ma per decenni ricodificandosi – regola o eccezione – in autori distantissimi tra loro; allora metro e ritmo, come sintassi e spezzatura, possono e forse devono sentirsi chiamati a un lavoro di ridefinizione e discussione, e di confronto anche mediato – ma inevitabile – con le arti. Questo lavoro, per il secondo Novecento, non è forse neppure agli inizi.

Se la pagina 11 del Conte di Kevenhüller è la riproduzione anastatica di un avviso settecentesco; se le opere di Zanzotto sono costellate di disegni, frecce, abrasioni; se quasi l’intero lavoro di Emilio Villa è uno stemma di sconfinamenti e sovrascritture reciproche fra le arti; se – oggi – un “riporto” epigrafico conclude il poemetto Spostamento, di Giovanna Frene; (per tacere – ma perché tacere? – di decenni di poesia concreta, o delle esperienze di riviste come «Testuale» e «Anterem»); può essere ancora pensata – e come? – una diversa mappa della metrica del secolo ormai concluso? E poi: della sola metrica?

In verità molti parametri sono inadatti a toccare e descrivere cento anni di letteratura segnati già dal principio dai gesti di Tzara, o dalla voracità inclusiva e anarchica dei Cantos. Le opere-mondo sono così, funzionano così.

Ma la prosa in generale, banchetto interminabile, è per sua natura così, funziona così. (Il romanzo, solida istituzione borghese, ne è brevetto: fabbrica di fabbriche).

Se è vero che la prosa fascia e trattiene tutto, era logico fosse lei, nell’Ottocento a vapore, a prendersi la briga di divorare e far sua la poesia medesima, sovrapponendosi e facendo intreccio. (Per un resoconto – estenuato – cfr. A.Berardinelli, La poesia verso la prosa). Ma questo, ormai smascheriamoci, nemmen troppo fini ironisti, è solo l’involucro del problema. La buccia. La storia.

Quel sovrapporsi e intrecciarsi è il precipitato inventariabile di una nube assai più estesa, che non si può afferrare. Non tenerne conto significa elidere dal panorama il novanta per cento dell’arte contemporanea mondiale.

Il XX secolo sancisce molte dissipazioni: tra tante, quella dell’oggetto estetico.

“Estetico”: è termine che semmai, a tutto campo, attiene all’esperire in generale, alla traccia di un passaggio di senso, o alla verifica di un passaggio possibile di senso. E: se è sulla possibilità che l’obiettivo esercita la messa a fuoco, ecco che nessun oggetto appare privilegiato, o pre/visto. Il bello “in senso estetico moderno” si scioglie in entità mutevoli, su cui sembra che solo il tempo vanti talvolta un occasionale successo, ma per mera descrizione. Dopo qualche anno, l’auctor si profila: inquadrabile. Ha modificato il paesaggio, tutto prima e dopo di lui è differenza (da lui, grazie a lui).

Questo stato di cose è il logico sviluppo, su cui qui non si indugia, di un iter tematizzato – in forma esemplare – da Kant, ma avviato secoli prima.

Ora, dal primo orizzonte di un secolo addirittura Ventunesimo, è il momento di osservare poesia e prosa non come fossero due falene attratte una dai riflessi ed enigmi dell’altra. Si può forse azzardare e suggerire che il poème en prose in definitiva non è lo sperso sistema orbitale di due pianeti che, avendo smarrito il sole dei rispettivi generi (La Poesia vs La Prosa), ruotano lanciati nello spazio.

«Poesia in prosa» è semmai uno tra i sintomi di assai più vasto movimento; o: è un segno complesso, e un’endiadi.

È traccia o puntura formale di quel tessuto delle arti che all’estremo vede spiccare – sismografo o sisma lui stesso – Emilio Villa, o il fuoritesto Carmelo Bene; o – più “classificabili” – gli spazi metrici di Amelia Rosselli, le stringhe orizzontali – «incerti frammenti» – di Zanzotto, la pagina-proteo di Nanni Balestrini. Ma pensiamo anche a un testo-gesto poetico e politico come Le descrizioni in atto (1969), di Roberto Roversi.

Del secondo Novecento è propria una sensibilità cresciuta e crescente, verso quelle che non sono più avvertite come “ibridazioni” o “doppi codici”, bensì vere coesioni (cointeressenze?), parti gemellari, di testi-nelle-arti. O controtesti. Vanno allora citati i deliri razionali di Tommaso Ottonieri (magma plastico e veglia di prosa e poesia …e cd); il flusso ininterrotto di scritto ed esecuzione, performance, in autori-attori come Rosaria Lo Russo; l’oscillazione tra generi e lingue di Gabriele Frasca; il tessuto sonoro realizzato da Giuliano Mesa con il compositore Agostino Di Scipio, per Tiresia; l’opzione “lineare” (non versale) di Florinda Fusco.

Sono solo alcuni nomi. Di autori che sperimentano si direbbe definit(iv)amente in forma normale (nel senso di: logica, non conquistata, bensì “di partenza”) i passaggi tra generi e forme e codici – e così il continuo slittamento della prosa nella poesia, e viceversa. (Ma è bene insistere: questo moto recursivo è un tassello del dialogo più ampio con le arti, sempre testualizzato; nel contesto di una ridiscussione profonda di quello che fino a qualche decennio fa si definiva “senso estetico moderno”).

Staccare poesia da prosa, o legarle in coppia cioè dualismo appena ricomposto in semiritmi, così come sciogliere il lavoro degli autori citati da musica-teatro-videoarte… non è dato. È fattibile ma costituirebbe forse un’ennesima operazione integralmente “letteraria”: non illegittima, però incompleta e imprecisa anche entro i confini della propria legittimità.

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Testi citati (o sottintesi)

  • Giorgio Caproni, Il Conte di Kevenhüller, Garzanti, Milano 1986.
  • Giovanna Frene, Spostamento, Lietocollelibri, Como 2002.
  • Franco Moretti, Opere mondo – Saggio sulla forma epica dal Faust a Cent’anni di solitudine, Einaudi, Torino 1994.
  • Umberto Eco, Il segno della poesia e il segno della prosa, in Sugli specchi e altri saggi, Bompiani, Milano 1985.
  • Alfonso Berardinelli, La poesia verso la prosa, Bollati Boringhieri, Torino 1994.
  • Emilio Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, Garzanti, Milano 1992.
  • Amelia Rosselli, Spazi metrici (1962), ora in Le poesie, a c. di E.Tandello, Garzanti, Milano 1997 (ma: correz. 1998).
  • Roberto Roversi, Le descrizioni in atto (ciclost.1969, poi in varie ed., l’ultima per la Coop Modem, Bologna 1990).
  • Tommaso Ottonieri, Elegia Sanremese, Bompiani, Milano 1998.
  • Rosaria Lo Russo, Comedia, Bompiani, Milano 1998.
  • Gabriele Frasca, Rive, Einaudi, Torino 2001.
  • Florinda Fusco, linee, Zona, Lavagna 2001.
  • Giuliano Mesa (con Agostino Di Scipio), Tiresia, prima esecuzione dell’opera a L’Aquila, 12 dic. 2001, Festival “Corpi del Suono”; regia del suono, Agostino Di Scipio; voce, Giuliano Mesa; elementi visivi, Matias Guerra.

[ Testo già comparso a stampa in «YIP – Yale Italian Poetry», volumes V-VI, 2001-2002 (distrib. dal novembre 2003), pp.415-416 . Titolo dell’articolo originale: Appunti verso risposte all’Inchiesta internazionale sulla prosa poetica promossa dalla rivista «YIP» ]


Questo articolo si può citare nel seguente modo:
Marco Giovenale, Poesia e ‘oggetto estetico’, in «Italianistica Online», 26 Maggio 2005, http://www.italianisticaonline.it/2005/poesia-e-oggetto-estetico/