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alla voce “sottobosco” (poetico)

Ogni tanto leggo in rete una qualche rivalutazione del sottobosco. Ma più spesso una definizione del tutto scorretta: il sottobosco sarebbe il cumulo degli autori semplicemente non ancora affermati. Al loro affermarsi, ecco che per magia perderebbero l’epiteto di sottobosco.

INVECE, a quanto ritengo e ricordo (e stando a quanto spesso e volentieri sosteneva con energia Giuliano Mesa, per dire), il sottobosco è altra cosa. Si tratta dei cattivi poeti –  privi di elementi di qualsivoglia evoluzione promettente. Poeti e scrittori pacchiani, kitsch, inconsapevolmente ridicoli, spesso tonitruanti, altre volte miti e appartati (per fortuna).

Al sottobosco (lirico, sperimentale, neoimpegnato, cinico, realista, tuttista) in questi ultimi decenni è stato offerto più di un passaggio in ascensore. Se ne contano molti, di autori illeggibili traghettati verso il timbro di “poeta” dall’editoria maggiore, media, minore e minima (ma di qualità, mi raccomando).

Questo però esula dalla questione nomenclativa, che mi premeva qui registrare.

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flarf.it, una storia itala (post fb del giugno 2020) / differx

Anni fa mi ero inventato il blog flarf.it per scrivere manipolare escogitare o semplicemente riportare (come oggetti trovati) materiali flarf, kitsch, pacchiani, traslabili dalla / reperibili nella realtà dei quotidiani di carta e nelle conversazioni. E nella italica poesia naturalmente. Come dimenticarla?

Poi con il tempo e col crescere delle sidebar di repubblica.it ho dovuto osservare che la realtà della comunicazione generalista era già di per sé interamente flarf, oltre l’immaginabile, overwhelmingly.

Produceva di suo. Macinava spazzature in quantità irrappresentabili, e in crescita esponenziale. E, inversamente proporzionale (rima inclusa), decresceva nei lettori la più semplice, immediata, tattile, capacità di vederlo, il kitsch.

[Di qui il ritorno serio serissimo del tragico, del sublime, del lacrimante, del lacerante, dell'”impeggnato”, dall’iperbole all’iperbato, da Heine a Merini, sui cavallucci, tra le frasche, all’ombra dei cipressi e dentro l’urbe, con e senza grazie, new & old age, tutti scardanelli, il paese degli scardanelli, però come burle, e però non avvertite come tali, anzi fitte di assertivissimi like].

Così, pure in versi e scritture, facebook stava dando visibilità a slavine di flarf irriflesso, incosciente, busti di similgesso pitturato con l’evidenziatore, cartelli e frecce alti levàti, colla scritta “qui poesia”, kitsch involontario quanto divertente, a volte addirittura inconsapevolmente funzionante come vettore di (sorridevole) senso.

Ho chiuso il blog, amen, e vari anni dopo ho poi svogliatamente ma con intenzionale tonta fiducia aperto una pagina flarf.it su facebook: https://www.facebook.com/flarfitalia/

Leggermente più memoriale, più ‘archivistica’ che militante. (Ormai non la battaglia ma la guerra è persa).

Bon.
Nel frattempo l’esplodere del meme come (saltuariamente) mattoncino di flarf isolato, oppure esperimenti come quelli di Luca Rizzatello con falsi autori e false copertine di libri iperlirici o comunque iperconnotati, ri-viralizzavano (meglio che rivitalizzare) tutta la faccenda, assai felicemente credo. (Barlumi di intelligenza contro il Lete+Cocito generalista).

Vero è però che oggidì (e tuttodì), tutto, id est editoria, rete, clip di pop, plop di chip, toletterie per cani, pubblicità partitiche o meno, ministri e ministeri, cinesi e romanacci inversaciti, madonnari, nonsolopizza, cartoni, videogiochi e film, cantautori e grigliate condivise nel passato o nel futuro, erano sono saranno una festa del cattivo gusto. Pesanti o levissimi.

(Continua)

FINE

exortatio 1 aprile – ma non per ischerzo

Coraggio, o critici, appena tre esempi fra tanti altri Franti infanti:

https://www.oscarmondadori.it/libri/i-nomi-e-le-voci-roberto-mussapi/

https://www.oscarmondadori.it/libri/non-finiro-di-scrivere-sul-mare-giuseppe-conte/

https://www.oscarmondadori.it/libri/apocalisse-amore-davide-rondoni/

La critica non è una cretinata. Volete iniziare o no a spiegare ai lettori che inevitabilmente tra una manciata di anni si ragionerà dello Specchio e di costoro e di tanti altri nei termini in cui si parlava e parla di Romano Battaglia, Vespa, Moccia e Coelho?

Coraggiho, ce la potete Farhe.

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[dal post, leggermente diverso, uscito il
1 aprile 2021 su mgiovenale.medium.com]

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ma chi avrà spostato il formaggio? e ora i topi come fanno? / differx. 2020

kitsch e flarf irriflesso

Anni fa mi ero inventato il blog flarf.it per scrivere manipolare escogitare o semplicemente riportare (come oggetti trovati) materiali flarf, kitsch, pacchiani traslabili dalla / reperibili nella realtà dei quotidiani di carta e nelle conversazioni.

Poi con il tempo e col crescere delle sidebar di repubblica.it ho dovuto osservare che la realtà della comunicazione generalista era già di per sé interamente flarf, oltre l’immaginabile, overwhelmingly.

Produceva di suo. Macinava spazzature in quantità irrappresentabili, e in crescita esponenziale. E, inversamente proporzionale (rima inclusa), decresceva nei lettori la più semplice, immediata, tattile, capacità di vederlo, il kitsch.

[Di qui il ritorno del tragico, del sublime, del lacrimante, dall’iperbole all’iperbato, da Heine a Merini, a saggisti e traduttor de’ traduttor balenghi, sui cavallucci, tra le frasche, all’ombra dei cipressi e dentro l’urbe, con e senza grazie, new and old age, tutti scardanelli, il paese de(gl)i scardanelli, però come burle, però non avvertite come tali, però fitte di like, una diarea likea].

Così, pure in versi & scritture, facebook stava dando visibilità a slavine di flarf irriflesso, incosciente, busti di similgesso pitturato con l’evidenziatore, cartelli e frecce alti levàti, colla scritta “qui poesia”, kitsch involontario quanto divertente, a volte addirittura inconsapevolmente funzionante come vettore di (sorridevole) senso.

Ho chiuso il blog, amen, e vari anni dopo ho poi svogliatamente ma fiduciosamente aperto una pagina flarf.it qui su facebook: https://www.facebook.com/flarfitalia/

Leggermente più memoriale, più ‘archivistica’ che militante. (Ormai non la battaglia ma la guerra è persa).

Bon.
Nel frattempo l’esplodere del meme come mattoncino di flarf isolato, oppure esperimenti come quelli di Luca Rizzatello con falsi autori e false copertine di libri iperlirici o comunque iperconnotati, ri-viralizzavano (meglio che rivitalizzare) tutta la faccenda, assai felicemente credo.

Vero è però che oggidì tutto, editoria, rete, clip di pop, plop di chip, pischiatrie, lotterie, toletterie per cani, pubblicità partitiche o meno, ministri e ministeri, cinesi e romanacci inversaciti, madonnari, nonsolopizza, cartoni, videogiochi e film, cantautori e grigliate condivise nel passato o nel futuro, erano sono saranno una festa del cattivo gusto. Pesanti o lievissimi.

E…

(Continua).

Fine.

(s)finito il novecento

In poesia (dato che alla poesia insiste disperatamente ad abbarbicarsi) il mainstream pare non avere più carburante. (Qualcuno lo aiuti). È finita un’epoca, è finito un rimario, un giacimento, una vena. Un secolo, è finito.

Il mainstream non lo sa, o se lo sa (da buon malato) se lo nasconde. Vuole “vivere”. (Come tutti gli agonizzanti, del resto).

Il mainstream in questo decennio recente poteva o attingere dal sottobosco kitsch-alato che da venti anzi trent’anni lo scimmiottava e corteggiava, o aprirsi alle nuove scritture e ammettere che proprio tecnicamente tutta la baracca modernista e neomodernista non aveva e non ha risorse al suo interno per continuare (meglio: per fingere lo spettacolo di una qualche continuità dotata di senso). E bon. Ha scelto la prima via: aprirsi al sottobosco. Far salire il sottobosco in ascensore. Elevarlo. Ciò che ne consegue è la pletora di uscite in collane anche prestigiose o ex prestigiose o semplicemente volenterose.

Il mainstream ha preferito danneggiare la letteratura che se stesso. Ha preferito la crisi di tutti alla crisi del proprio modello. In perfetta sintonia con la prassi politica del nostro paese (e non solo del nostro), prima dell’unità, dopo l’unità, con il fascismo, con la repubblica (prima e seconda). Nessuna contraddizione.

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notilla

il kitsch è scatenato. in questi anni (cosa detta e ripetuta) la rete ha messo uno specchio davanti a ogni possibile detto e scritto; e ha portato moltiplicazione e crescita esponenziale di cose di sottobosco. (quanto lavoro implicano, e – perciò – quanta ‘fede nel prodotto’…). (il disastro grafico e quello testuale sono legati: il non-gusto, prima che il cattivo gusto, li genera e ne è l’esito educante, educato). (netiquette, facebook oblige).

certo, si direbbe: “niente di nuovo”. invece no: in termini di percezione è nuova, quantitativamente e dunque poi qualitativamente, questa roba. tanta. materializzazione del: kitsch, pacchiano irriflesso.

l’aria comune la somatizza. ne fa fonofanìe, figurette, youtube, monomanie, pop-lit, shit-lit. (litless).

e –  questo – raddoppia il problema: mainstream critico-letterario da una lato, sottobosco kitsch dall’altro. con frequenti passaggi e prestiti da un’area all’altra. (dieci-venti anni fa sarebbe stato impossibile o rarissimo leggere la spazzatura che ultimamente addirittura major o case editrici piccole-e-di-qualità diffondono, gettano nelle catene distributive generaliste).

d’altro canto, non solo (molt)i critici non segnalano quello che sta succedendo o è già successo, ma benedicono/cooptano voci in iniziative, riviste, testi. hanno già somatizzato. sanno che dovrebbero riprendere a leggere e giudicare, per poter selezionare nella (e contro la) quantità pura. lasciano allora il filtro all’utile (loro). non è necessario leggere chi già ti sta servendo, basta che serva.