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glitches brew

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1. uno dei problemi o forse solo luoghi della scrittura, nello spazio di sovrapposizione degli insiemi cartaceo e digitale, è quello della trascrizione.

2. un autore con formazione nata in contesto gutenberghiano può realizzare testi in primis in formato cartaceo, come inventati e scritti a mano, o – indifferentemente o meno – come appunti tratti da fonti diverse e semplicemente presi da queste. in entrambi i modi, sia che si tratti di rilavorarli perché solo a penna, o di rielaborarli perché ‘rough’, deve spostarli da un contesto grafico a un altro, da un sistema di segni idiomatici e strettamente legati all’identità, a un contesto astratto e comunque riconfigurante, come è quello della pagina elettronica. senza questo spostamento è quasi impossibile pubblicare (se non nella forma della pagina manoscritta fotografata) il testo.

3. la trascrizione è una traduzione. (come tradurre è in assoluto trascrivere assai male). (tanto male da cadere in un’altra lingua, … infine in qualche modo contortamente pertinente).

4. nella traduzione, come nella trascrizione/edizione e rielaborazione di un testo ‘handwritten’, possono intervenire errori, deviazioni, anche tradimenti coscienti, e riscritture. manipolazioni – volontarie o meno – di segni che diventano altro da una pura traslazione linguistica A–>B.

5. traduciamo continuamente, e continuamente spostiamo di campo e di luogo tracce, segni. Continua a leggere

lost in translation

per dire.

una volta c’era (dodici anni fa circa) il sito Lost in translation, che usava Babelfish per tradurre e ritradurre un tot di volte (passando per varie lingue) un testo base in inglese e riportarlo daccapo infine in inglese, distorto battuto sfigurato trasformato.

tutti ci abbiamo lavorato o lavoricchiato (su differx io nel 2006, mi pare: cfr. le varie uscite del testo La signorina dell’ortottica). (installazione testuale, non testo in senso stretto).

adesso ecco:
http://gizmodo.com/5977267/listen-to-call-me-maybe-after-its-been-put-through-google-translate-over-and-over-again.

anche chi traffica non per forza con la letteratura e la ricerca letteraria ma generalmente si muove e gioca nel sistema rete (http://www.gizmodo.it/ non mi pare altra cosa) logicamente fa uso in forma del tutto normale di cut-up, traduzione multipla, frammentazione del testo. magari per divertirsi, per mettere insieme un passatempo, senza peso, ma insomma: non ha bisogno di ‘rispondere’ a intellettuali dubitosi. o di ‘giustificare’ una prassi. magari nemmeno di ‘produrre senso’.

semplicemente è già dentro un certo modo di percezione. (come tutti).

un’intera generazione e area (di mondo occidentale: sì) da oltre dieci-dodici anni è addirittura nata nel clima mentale che rende possibili certe scritture e (anti)strutture. (alcuni autori anticipavano di quasi mezzo secolo tale clima).

quando dico che molte scritture o prassi o atteggiamenti post-paradigma sono già naturalmente in uso, quotidianamente ovunque e fuori della letteratura (la digitazione di messaggi, il rapporto con un nuovo videogioco, l’avviarsi di un qualsiasi lavoro su un tablet, il nostro dialogo con la memoria, la visione, la strada) non intendo niente di diverso, in linea di massima.

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http://slowforward.wordpress.com/2012/09/29/riambientarsi-ma-anche-difendersi/
http://puntocritico.eu/?p=4446
http://puntocritico.eu/?p=4406
http://puntocritico.eu/?p=952

incontri sulla traduzione e la fiaba

Ottobre-Novembre 2012:

 Venerdì 19 Ottobre, ore 18 all’Auditorium Parco della Musica
Traduzione dalla Poesia alla Grafica: “Geopoetica: i versi in carta».

Interverranno Laura Canali di Limes, Paola Maria Minucci, Luigi Marinelli e Camilla Miglio, docenti all’Università di Roma “La Sapienza”: http://www.060608.it/it/eventi-e-spettacoli/manifestazioni/carta-canta-geopoetica-i-versi-in-carta.html

– Lunedì 22 Ottobre Sapienza Sede centrale / Martedì 23 Casa delle Traduzioni: Insegnare la traduzione letteraria?

Una giornata  e mezza di confronto tra Docenti, Studenti, Traduttori, Editori. Una iniziativa sorta in collaborazione con PETRA (Piattaforma europea per la Traduzione letteraria), STRADE (Sindacato italiano Traduttori letterari), Sapienza Università di Roma, Casa delle Traduzioni (Biblioteche di Roma), CEATL (Sindacato Europeo Traduttori letterari): http://w3.uniroma1.it/studieuropei/brochure_petra1.pdf

– Per gli interessati alle relazioni italo-tedesche dal 15 al 17 Novembre: International Conference “Italian and German Literature compared (1945-1970): Literary Fields, Polysystems, Translations», a cura di: Istituto Italiano di Studi Germanici, Roma, Humboldt Universität zu Berlin, Università La Sapienza, Roma, Villa Sciarra-Wurts sul Gianicolo:
http://h-net.msu.edu/cgi-bin/logbrowse.pl?trx=vx&list=h-germanistik&month=1206&week=a&msg=YoW7tJj19Sx2welxpHriZg&user=&pw=

Un secondo gruppo di iniziative riguarda la Fiaba,
nel bicentenario della pubblicazione delle Fiabe del Focolare dei Grimm:

Novembre – Dicembre 2012:

– 8-10 Novembre 2012: Cenerentola come testo Culturale: Un convegno (Sapienza, Villa Mirafiori, Goethe Institut) e una Mostra (Biblioteca Nazionale centrale); http://cinderellaroma2012ita.wordpress.com/

Ciclo « La Fiaba Necessaria» : 

– 14 e 24 Novembre, Casa di Goethe, ore 16-18: Laboratorio di traduzione dai Fratelli Grimm (per principianti: confronto tra traduzioni italiane); avanzati (traduzione tedesco-italiano), con Camilla Miglio: http://www.casadigoethe.it/it/offerte-studenti.html

– 30 Novembre, Goethe Institut (orario da definire), Incontro con lo studioso americano Jack Zipes e l’Illustratore Fabian Negrin, in occasione della pubblicazione del volume Principessa Pel di Topo e altre 41 Fiabe da scoprire (Donzelli editore), Introduzione di Jack Zipes, traduzione di Camilla Miglio, illustrazioni di Fabian Negrin

– 11 Dicembre, Casa di Goethe, ore 18.00, «I Grimm come non li abbiamo mai letti» – Pier Carlo Bontempelli intervista Jack Zipes sugli «inediti» dei Fratelli Grimm, modera Camilla Miglio

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in contesto: http://www.donzelli.it/libro/2403/la-fiaba-irresistibile

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jack zipes, “la fiaba irresistibile” (donzelli, 2012)

http://www.donzelli.it/libro/2403/la-fiaba-irresistibile

dalla quarta di copertina:

Se c’è un genere che sin dalla notte dei tempi riesce a far presa sull’immaginazione degli esseri umani in ogni angolo della terra, quello è senza dubbio la fiaba. Eppure, malgrado il proliferare degli studi in materia, tuttora si stenta a ricostruirne le origini, l’evoluzione e i modi di diffusione. Perché mai la fiaba esercita da sempre un fascino irresistibile, quale che sia la forma o il mezzo attraverso cui giunge fino a noi?
Uno dei massimi studiosi a livello internazionale propone in queste pagine un originalissimo approccio allo studio della fiaba, nel tentativo di spiegare le ragioni del suo inesauribile propagarsi, fino a diventare parte essenziale delle culture di tutto il mondo, duttile al punto da prestarsi a continue reinvenzioni e ri-creazioni.
Attingendo alle scienze sociali e naturali, non meno che a quelle cognitive, alla psicologia evolutiva e alla biologia, Zipes rintraccia le origini della tradizione orale della fiaba nell’antichità, e ricostruisce la sua evoluzione dapprima nel passaggio alla scrittura e alla stampa, e via via attraverso i continui adattamenti ai nuovi mezzi di comunicazione, dal teatro al cinema, dalla tv all’animazione. In questo percorso un ruolo, spesso dimenticato, hanno avuto le donne: sia le tante raccoglitrici e narratrici di storie, sia i personaggi femminili che di queste storie, non a caso, sono protagoniste. In questo volume, un vero e proprio caposaldo della storia della fiaba, Zipes restituisce dunque spazio e voce a quella dimensione orale che solo i grandi folkloristi del XIX secolo hanno saputo valorizzare. Gli esseri umani non hanno mai smesso di raccontare storie, anche dopo l’invenzione della stampa, e disporsi ad ascoltarle è il primo passo per comprendere come mai nei secoli le fiabe ci sono divenute così familiari, quasi un’abitudine di tutti i giorni.

nota non postata in facebook

nota non postata – per eccessiva lunghezza  in facebook.
(e, volendo, anche in dialogo con questo thread)

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Da trenta-quarant’anni alcuni editori (la maggioranza, e i – sedicenti – ‘maggiori’) non traducono. Anche molti moltissimi siti, recentemente, più o meno. Voglio dire: non traducono le cose ‘giuste’. Cose che volendo sono lì, in qualsiasi piccola (spesso anche grande) libreria di Londra o Chicago o New York o Parigi o Los Angeles. Arriva l’editore italiano, fa un giro tra i reparti, entra in quello di poesia, e puntualmente esce con i titoli sbagliati, o con qualche bel romanzone da tradurre.

Cioè: non sanno e non possono o non vogliono sapere quello che si fa fuori dalla lingua italiana. A loro non interessa quello che sarà (da noi) storicizzabile; e che è già storicizzato e studiato, altrove.

Così, la gente si è attrezzata da sé, da uno o due decenni; anzi da prima, attraverso parecchie riviste. (Ripescherei esempi, riportabili, volendo, ai tempi della facoltà di Lingue e letterature straniere, Villa Mirafiori, seconda metà degli anni ’80).

No news.

La gente non è scema, e se c’è una crisi della lettura è anche perché gli scaffali delle librerie generaliste sono come sono. Quelli di poesia, per esempio. I lettori forti e meno forti sanno ormai da tempo che devono starne alla larga, e che in linea di massima perderebbero tempo a compulsarli.

Dunque – dicevo – da parecchio i lettori trovano altre vie e canali. E luoghi fisici, e interlocutori. Sono migliaia le strade, i gruppi, i siti, le case editrici, le sedi di reading, nel mondo, e in Italia. È una galassia intera (e ci si vive dentro). E di fatto, stando anche semplicemente ai numeri e all’eco (anche accademico, in area non italofona soprattutto), non si tratta certo di ‘sottobosco’.

(Il sottobosco – purtroppo estesissimo – è semmai il pacchiano, il ridicolo, il provinciale; non il ‘piccolo’, l’indipendente, il non distribuito). (Altra parentesi: si direbbe semmai che pacchiana ridicola e provinciale sia molta scrittura mainstream, quasi tutta quella che si ammucchia nelle librerie di catena).

A occhi impoveriti e divorati da banalità, la galassia indipendente (non mainstream, non distribuita) non fa ‘massa critica’ e perciò – nell’opinione puntualmente banale dei manager delle case editrici a distribuzione maggiore – non merita investimenti: anche questo è un side effect della mancata familiarità dei medesimi manager e editori con quel che succede altrove. Ormai ci sono un paio di generazioni che possono dire di essere nate (e cresciute) dentro una situazione di ignoranza radicale. Che aspettarsi da loro?

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A quanto detto, aggiungerei la semplice osservazione che tutti noi usiamo linguaggi, codici, strumenti, reti (facebook, siti, cellulari, html, programmi di scrittura, di grafica, …), contrazioni/sintesi, ipotassi articolate, paratassi oscure o chiarissime e in entrambi i casi decifrabili e decifrate, opacità e iterazioni, materiali, citazioni, giochi e nuove regole in cui nuotiamo e da cui riusciamo a costruire testi che formano senso, lo trasmettono. Non parlo di letteratura, dico nella vita, semplicemente. Facciamo questo nella vita quotidiana. Ogni sms che digitiamo, ogni videogioco o app in cui impariamo istintivamente a muoverci, ogni ricerca in rete che sappiamo interpretare con successo, ogni conversazione de visu o su skype, ogni minima interazione umana (destreggiarsi nel traffico, fare un biglietto del treno, orientarsi in un aeroporto, in una lingua straniera), ogni insofferenza verso idiozie tv che critichiamo, ogni dialogo minimamente complesso o scherzoso tra amici, ogni calembour e iterazione e battuta, ogni analisi politica articolata che elaboriamo, ogni film e plot che percorriamo, ogni buon gioco di squadra, ha ed è una sintassi a cui siamo abituati. Che parliamo normalmente e afferriamo al volo. Che ci impegniamo a fare nostra (perché in qualche modo sentiamo e vediamo che già lo è).

Però – mistero – quando apriamo un libro di poesia pescato dallo scaffale generalista, d’improvviso piombiamo nella Firenze degli anni del consenso. Tutto deve ancora succedere. Dopo il Trio Lescano, il buio.

Di una situazione simile le case editrici, alcuni critici, le facoltà universitarie, gli editor, eccetera, non devono rispondere più a una comunità coesa/conflittuale, forse anche perché questa comunità si è disseminata in migliaia di soggetti a volte non in contatto tra loro. (Ma, prima ancora, perché la struttura del capitalismo degli ultimi decenni ha tra le proprie pietre angolari la distruzione radicale della facoltà critica – e delle sedi per esercitarla rigorosamente – a tutti i livelli). È un fatto.

In compenso (e azzardando sopra le righe): costoro – editori e critici, alcuni, molti – probabilmente ne rispondono o risponderanno “davanti alla storia”, se è vero che continuerà a essere scritta – come stolidamente insisto a credere – una storia dei linguaggi, dei codici, delle occasioni di senso (letterarie, e multicodice). Del resto, abbiamo un’opinione piuttosto precisa di alcuni editori, intellettuali e critici, e del loro ruolo, nell’Italia degli anni Trenta, e – non diversamente – sappiamo cosa pensare di tanti personaggi contemporanei. Alla fine le prassi e le scelte si pagano tutte, penso, nel bene e nel male.

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