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riccardo cavallo: 66 ieri

ieri sarebbe stato il sessantaseiesimo compleanno di Riccardo Cavallo, scrittore, critico, studioso, scomparso nel 2016.

Riccardo Cavallo online: https://slowforward.net/2018/01/05/riccardo-cavallo-on-line/
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un’intervista su Satisfiction:
https://slowforward.net/2023/04/10/unintervista-a-riccardo-cavallo/

e altri link:
https://slowforward.net/2022/12/24/cut-up-prosa-ecc-riccardo-cavallo-su-compostxt-nel-2010/

https://slowforward.net/2018/06/18/da-soggetti-riccardo-cavallo-1991/

https://slowforward.net/2017/11/15/dertritte-grimm-una-serata-per-riccardo-cavallo/

https://slowforward.net/2020/04/16/leda-and-the-swan-riccardo-cavallo-1984/

https://slowforward.net/2016/11/09/omaggio-a-wsburroughs-riccardo-cavallo-2007/

https://slowforward.net/2013/11/24/intervento-di-riccardo-cavallo-a-ivrea-su-pensare-oltre-lostacolo-della-parola/

http://trancriptiones.blogspot.com/2014/01/eexxiitt-gita-cnosso-iii.html

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Riccardo Cavallo (Cuneo, 1957-2016), scrittore, artista, critico d’arte, consulente editoriale e traduttore dal cinese, ha pubblicato prose, versi, testi su arte, letteratura e filosofia per diverse riviste e antologie italiane ed estere. Dal 2007 ha curato i blog recognitiones.blogspot.comrecognitiones-ii.blogspot.comcompostxt.blogspot.com, con successiva creazione di folioline.tumblr.com, microblog dedicato a visual poetry, scrittura asemantica ecc. Redattore di eexxiitt.blogspot.com, è presente in vari siti con installazioni verbo-visive ed asemantiche. Nel 2009 ha avviato una propria attività editoriale on-line: issuu.com/recognitiones.

oggi come tutti gli anni si inaugura il nuovo 1957 della poesia italiana: buon eterno ritorno!

Eccoci di nuovo nell’invariabile 1957 della poesia italiana, con Pasolini da una parte e Sanguineti dall’altra. Ma bando alle chiacchiere, e inauguriamo il 1957 con 

Carosello

(In verità alcuni autori continuano a scrivere come nel 1911 o come negli anni Trenta, ma il celebre principio illuminista noto come tolleranza del monnezzone ci spinge felicemente a mettere anche costoro nello scatolo con su scritto “Poesia”, maiuscolo)

“dada magazines. the making of a movement”, by emily hage

Sandro Ricaldone

DADA MAGAZINES
The Making of a Movement
by Emily Hage
Ava Publishing, 2022

Dada magazines made Dada what it was: diverse, non-hierarchical, transnational, and defiant of the most fundamental artistic conventions. This first volume entirely devoted to Dada periodicals retells the story of Dada by demonstrating the centrality of these graphically inventive, provocative periodicals: Dada, New York Dada, Dada Jok, and dozens more that began crossing enemy lines during World War I. The book includes magazines from well-known Dada cities like New York and Paris as well as Zagreb and Bucharest, and reveals that Dada continued to inspire art journals into the 1920s. Anchored in close material analysis within a historical and theoretical framework, Dada Magazines models a novel, multifaceted methodology for assessing many kinds of periodicals. The book traces how the Dadaists-Marcel Duchamp, Tristan Tzara, Dragan Aleksic, Hannah Höch, and many others-compiled, printed, distributed, and exchanged these publications. At the same time, it recognizes the journals as active agents that engendered the Dada network, and its thematic, chronological structure captures the constant exchanges that took place in this network. With in-depth scrutiny of these magazines-and 1970s “Dadazines” inspired by them-Dada Magazines is a vital source in the histories of art and design, periodical studies, and modernist studies.

luigi bonfante su duchamp, “fountain”

Gli elementi della rivoluzione duchampiana che portano alla realizzazione sia del Grande Vetro che dei readymade sono dunque gli stessi: il rifiuto della pittura, che è fatta con l’occhio e la mano, l’innovazione radicale, lo humour e l’ironia, l’indifferenza estetica, il gioco di parole, il caso. E tutti puntano verso una stessa direzione, paradossale per un artista: mettere in dubbio l’arte; o meglio, «farla finita con l’arte», «privare l’artista della sua aura», «sminuire il suo status all’interno della società». «La parola arte significa fabbricare, fare con le mani […]. Anziché farla, io la ottengo già fatta. […] è un modo per negare la possibilità di definire l’arte.»
L’Orinatoio vuole dunque rendere impossibile definire l’arte. E lo fa mettendo in cortocircuito l’utopia della libertà assoluta d’innovazione: se si elimina qualunque autorità estetica con il motto “niente giuria, niente premi”, s’impedisce sì, nel modo più drastico, che il passato limiti la libertà creativa, ma si legittima anche l’idea che chiunque possa essere artista e qualunque cosa egli proponga possa essere “opera”. Negli anni sessanta l’eredità di Fountain produrrà anche slogan come quello del movimento Fluxus “Tutto è arte e chiunque la può fare”, che troverà forti risonanze nello spirito di quel tempo e in molte esperienze artistiche coeve. Per esempio in Joseph Beuys, che criticherà Duchamp per aver abbandonato l’arte senza aver tratto la logica conclusione del suo gesto, cioè che «ogni essere umano è un artista».
Ma Duchamp era un dandy ironico e un individualista radicale, estimatore dell’Unico di Stirner. Basta pensare al Grande Vetro per capire che la sua produzione, così esoterica, enigmatica e sfuggente, ha ben poco a che fare con l’utopia di Beuys. Del resto, lo dirà esplicitamente: «L’individuo artista esiste, è esistito ed esisterà sempre, ma in quantità molto ristrette».
Anche se la rivoluzione di Duchamp (come quella di molte avanguardie del Novecento a partire dal Dadaismo) ha come conseguenza il dissolvimento del confine tra arte e vita, con Fountain egli non vuol dimostrare che tutto è arte e che quindi tutti possono essere artisti. Il suo primo, evidente intento è la dissacrazione dell’arte, di quell’arte che riteneva troppo “retinica” e troppo legata alla figura demiurgica dell’artista e al gusto. Il gusto è un’abitudine, diceva: «Se si ripete più volte qualcosa, si trasforma in gusto». Per questo si era messo a fare cose che sarebbe stato impossibile o assai difficile rinchiudere in qualche abitudine di pensiero, in qualche significato prestabilito. L’Orinatoio è l’esito più esplicito, caustico e ironico di questa dissacrazione dell’arte. Una dissacrazione che non corrisponde però all’antiarte del Dadaismo, perché l’antiartista, per Duchamp, è come un ateo: crede in negativo. Invece lui è uno scettico ironico, una mente cartesiana e corrosiva che dubita di tutto e non prende niente sul serio, a cominciare dall’arte stessa, che non vuole distruggere, ma appunto dissacrare: toglierle l’aura di superiorità, il carisma spirituale. Per questo ama definirsi “anartista”. A questo punto è evidente che l’opera più influente del Novecento non è un’opera d’arte, innanzitutto perché non rientra nel significato di “arte” elaborato dalla nostra cultura, per il quale bellezza ed emozione estetica sono concetti essenziali. Invece di suscitare emozione estetica, Fountain stimola domande di tipo filosofico: cosa fa di un oggetto un’opera d’arte? È davvero indispensabile che siano la mano, l’occhio e il gusto soggettivo dell’artista? Non potrebbe essere semplicemente il gesto mentale di scegliere qualcosa? (In fondo anche i tubetti di colore, arriverà a dire Duchamp, sono dei readymade scelti dal pittore.) In questo senso, anche se ironia, paradosso e ambiguità rendono inafferrabile il gesto di liberazione del readymade, si potrebbe dire che Fountain non è un’opera d’arte perché è un’opera sull’arte, un oggetto che stimola riflessioni sulla natura e il senso dell’arte stessa.

Luigi Bonfante CATASTROFE UNO. Duchamp e la spora aliena. Fountain, 1917-1963, in Catastrofi d’arte. Storie di opere che hanno diviso il Novecento, Johan & Levi editore, 2019

rai radio techetè: marcel duchamp

Rai Radio Techetè, dal 12 al 14 settembre in onda lo speciale

Marcel Duchamp L’Anartista

a cura di Francesca Vitale

h. 6:00, 14:00 e 22:00

@ Raisound_ Radio Techetè_ PALINSESTO

“In Italia la linea più breve tra due punti è l’arabesco”
(Ennio Flaiano)