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goethe-institut (roma), “l’inarchiviabile. radici coloniali, strade decoloniali”: mostra prorogata fino al 18 maggio

Roma – KunstRaum Goethe
Goethe-Institut Rom
Via Savoia 13/15 – Roma

Le tracce e le eredità del colonialismo continuano a infestare la nostra quotidianità come dei fantasmi assenti-presenti, non solo nei musei, nelle architetture o nell’odonomastica, ma dentro la nostra quotidianità, nelle nostre case, nel nostro modo di parlare, nei nostri affetti più profondi. L’aspetto più potente di questo processo è la sua apparente trasparenza, la sua quasi invisibilità, legata alla percezione di una abitudinarietà che fa da sfondo al nostro vivere quotidiano.

L’inarchiviabile, un progetto del Goethe-Institut Rom a cura di Viviana Gravano e Giulia Grechi, espone le opere di Luca Capuano / Camilla Casadei MaldiniLeone Contini, Binta DiawDélio Jasse ed Emeka Ogboh. Artiste e artisti hanno lavorato intorno ai temi delle ritornanze e delle iconografie coloniali e neo-coloniali. Luca Capuano / Camilla Casadei Maldini e Délio Jasse hanno prodotto lavori ad hoc per la mostra, realizzati in site specific all’interno dei depositi del MuCiv Museo delle Civiltà, che ospitano le collezioni dell’ex Museo Coloniale di Roma, e all’interno della collezione fotografica ISIAO conservata alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma.

In collaborazione con:

  • Routes Agency
  • MuCiv Museo delle Civiltà di Roma
  • AMM Archivio delle Memorie Migranti

Il Catalogo della mostra (in formato pdf) è liberamente scaricabile in rete.

Per chi lo desidera: VISITA GUIDATA il 28 aprile 2022. Qui il modulo di partecipazione:
https://www.goethe.de/ins/it/it/sta/rom/ver/online-anmeldung-mostra.html

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archivio ugo ferranti, roma 1974-1985

Sandro Ricaldone

ARCHIVIO UGO FERRANTI
Roma 1974-1985
a cura di Maria Alicata
MAXXI – Roma
19 novembre 2021 – 30 aprile 2022

Per la prima volta il MAXXI dedica un focus all’archivio di una galleria, concesso in comodato d’uso al MAXXI per volontà di Maurizio Faraoni. Lettere, manoscritti, fotografie, inviti, manifesti e pubblicazioni restituiscono i vari aspetti del lavoro di Ugo Ferranti: gli scambi con artisti e critici nonché la tessitura di rapporti professionali e di amicizia con gallerie italiane e internazionali che dureranno negli anni.

La galleria aperta da Massimo d’Alessandro nel 1974 si afferma subito come luogo di riferimento per l’arte concettuale europea e statunitense. Dai documenti esposti emerge il dialogo delle opere con lo spazio espositivo, nato proprio dalle riflessioni della metà degli anni Settanta intorno all’architettura radicale, all’arte minimalista e ambientale. Il focus presenta momenti e figure centrali dell’epoca tra cui: Richard Nonas, Niele Toroni, Richard Tuttle, Mario Schifano, Christo, Marcia Hafif, Giulio Paolini, André Cadere, Maurizio Mochetti, Domenico Bianchi, Bruno Ceccobelli, Gianni Dessì, Giuseppe Gallo, Daniel Buren, Cy Twombly, Sol LeWitt, Jannis Kounellis.

Il progetto prevede inoltre un focus espositivo nella galleria 1 dedicato a Richard Nonas, primo omaggio di una istituzione italiana al grande artista americano recentemente scomparso. Oltre a questi due momenti espositivi, sono in programma una serie di incontri di approfondimento sulla scena artistica degli anni Settanta e primi Ottanta. Il progetto nel suo insieme intende restituire uno scenario ricco di protagonisti e fermenti, in cui la spinta al rinnovamento politico e sociale e le nuove aperture culturali si intrecciavano strettamente con le vicende dell’arte.

Immagine: Pubblico siede sulla scultura Plow (Roma) all’inaugurazione della mostra di Richard Nonas, Roma, ArtePer, 20 giugno 1974. Foto Mimmo Capone

roma, da oggi al 24 ottobre, al cimitero acattolico: “sleepwalkers”, di francesca vitale

fino al 24 ottobre al Cimitero acattolico, Roma, Testaccio/Piramide

imago sanguineti

una mostra virtuale del 2020 tutt’ora visitabile, che è opportuno vedere o rivedere, qui:

http://imagosanguineti.altervista.org/index.html

@ entr’acte,
a cura giuliano galletta e erminio risso
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l’estate del settantasei – un ridicolo romanzetto di formazione / alberto d’amico. 2021

Viene a prendermi sotto casa Sandra, noto l’accostamento tra una camicia rosa cipria e un maglione verde muschio, un accordo cromatico ormai per me un caposaldo estetico. Camminiamo vicino all’ufficio postale progettato da Adalberto Libera, Sandra, i due Maurizii e Laura. Sandra dice, riferendosi a me, qualcosa del tipo – Vedi, lui non si vergogna di nulla, potrebbe anche spogliarsi per strada davanti a tutti. – Non so se fosse un complimento oppure no, fatto sta che la presi in parola e iniziai a togliermi la camicia patchwork che mi aveva regalato mio zio e la maglietta della salute che ancora portavo, fermandomi appena dopo aver slacciato i bluejeans. In quei giorni stiamo organizzando un concerto nella terrazza di fronte alla Piramide, proprio come i fab four appena sette anni prima, non per nulla il nome del nostro gruppo era The Spiders. Tre ragazzini tredicenni, due di nome Maurizio e uno che si chiama Alberto, una formazione semplicissima, basso, chitarra e batteria e un pubblico di amici e parenti. Non sapevo suonare un granché, come confermò l’espulsione dal gruppo di qualche mese più tardi. Ma la serata andò bene, anche perché oltre al pubblico menzionato venne anche la polizia, chiamata da qualcuno infastidito dallo smiagolamento degli strumenti elettrici e dalle mie percussioni. Dopo una breve ramanzina i due agenti se ne vanno, ma tanto avevamo già finito il repertorio e poter dire di avere avuto le forze dell’ordine a interrompere il concerto era fico. Poi alla fine di Giugno eccomi a Spoleto con la mia famiglia, come di consueto nel periodo del festival dei due mondi. Mio zio durante il festival prendeva in affitto anche un locale dove esponeva i suoi quadri. Quell’anno divise lo spazio della galleria con Sergio Ferrero di Muresanu, artista, campione di windsurf e playboy, autore di dipinti in stile naif su vetro. Ero in fibrillazione perché si preannunciava la visita di una sua fiamma, l’attrice francese Annie Belle, di cui avevo visto incredibili foto con capelli cortissimi biondo platino. Sergio Ferrero ci portava in giro per la cittadina umbra con un’incredibile Mercedes d’epoca. Quell’anno avevo appeso al muro nella grande cucina il manifesto di James Dean che regalava Ciao 2001. Quell’anno avevo appeso il manifesto di Dyane, l’auto in Jeans.

Quell’anno sempre in cucina era appeso il manifesto del festival, firmato da David Hockney. Quell’anno in casa era appeso anche un altro poster con la pippa di Khalil Gibran che iniziava con: I tuoi figli non sono tuoi, sono i figli e le figlie della vita stessa … – Quell’anno a Spoleto c’era anche Monther Al Soltan, artista iraqueno che prepara uno splendido riso alle melanzane. Quell’anno mio nonno recita le sue filastrocche e io le registro con il Philips a cassette regalo della cresima. Nella pagella di terza media i miei insegnanti (dovrei dire le mie insegnanti perché l’unico maschio era quello di educazione fisica), scrivono che sono molto portato per il disegno suggerendomi studi artistici. Non nego che ci rimango male, educazione artistica è veramente una delle materie meno importanti, avrei preferito che parlassero della mia predisposizione all’italiano e alla storia oppure alla matematica e alle scienze, consigliandomi il classico o lo scientifico. Però mio zio era un pittore e la sua vita, tra donne e mondanità varie non era per niente disprezzabile. Certo non mi sentivo bravo come lui ma proprio quell’anno mi lanciai in una serie di ritratti dei miei familiari che venivano da loro apprezzati. La mia famiglia era nel pieno della tragedia della malattia di mia madre ma quell’anno dei sette non fu certo il peggiore. A Spoleto si mangiano gli strangozzi al tartufo dal Panciolle, si seguono al Caio Melisso i concerti di mezzogiorno con l’aperitivo in piazza, si assiste agli spettacoli di balletto al Teatro Romano. Quell’anno a Spoleto c’è Andy. Con i capelli lunghi, la chitarra e il sacco a pelo in spalla, insieme alla sua compagna di cui non ricordo il nome viaggiava per l’Europa. Forse era di Edimburgo ma non ne sono convinto, forse anche no, come si dice ora. Per me era un mito, un vero hobo giramondo. I suoi capelli oltre a essere lunghi erano anche con i boccoli e striati di biondo, gli occhiali erano tondi come pretendeva la moda alternativa e il gilè a contatto con le sue spalle nude e abbronzate. Il concerto di Andy nella galleria fu un suo regalo dello zietto per me, con il Philips registrai i brani ma le pile erano scariche, quindi una volta cambiate la voce correva molto veloce. Ricordo Cat Stevens, i Rolling e poi la sua versione di Let it be, che cantammo tutti insieme, con Giulia e un altro musicista che aveva suonato addiritura con il Perigeo. In quei giorni arriva anche in moto da Roma Gigi Di Sarro, grande amico di mio zio, pittore e medico insegnava anatomia all’Accademia di Belle Arti. Le possibilità di proseguimento degli studi seguendo l’indirizzo artistico per me erano due, iscrivermi all’Istituto d’arte oppure all’artistico a via Ripetta, Gigi, dopo aver riflettuto, con quel suo modo caldo, appassionato, leggermente enfatico e molto affettuoso mi dice, se t’iscrivi all’Istituto t’insegneranno le tecniche per dipingere e decorare, se invece scegli il liceo artistico puoi diventare intelligentissimo oppure matto. Cosa poteva scegliere un povero ragazzo disperatamente alla ricerca di qualcosa che gli fornisse un po’ di fascino di cui si sentiva sprovvisto? La casa di Spoleto era un continuo porto di mare, Anna la bionda biologa fidanzata con mio zio, Viviana, Mario e, mia zia con Mariolina. E poi arrivò Sandra. Lei frequentava gli scout, era abituata a dormire nel sacco a pelo e scelse di dormire nella nostra cucina. La cucina della casa di via Aurelio Saffi era una perfetta stanza degli ospiti, con letti di fortuna. Mi accorgo ora che l’atmosfera di quella vacanza la ritrovai in parte nel film di Bertolucci, e Sandra somigliava un po’ alla protagonista, quella che ballava da sola. I brevi giorni in cui Sandra rimase con noi furono per me carichi di turbamento. Un pomeriggio io e Sandra andammo al ponte, lo attraversammo e ci sedemmo sui ruderi. A un tratto inizia a piovere, lei era in hot pants. La prima goccia le bagna la gamba. Coraggiosamente inizio con il dito a spandere quella goccia e dopo qualche secondo immobile nel tempo, simile alla scena di Jep che nuota nel flashback a Capri, c’incamminiamo verso casa per non bagnarci. Tornammo a Roma in macchina, io e lei eravamo seduti dietro e l’accompagnammo a casa di sera. Ho il vuoto di cosa accadde dopo, probabilmente come sempre andammo in Abruzzo, ma il primo Settembre morì mia nonna paterna e tornammo a Roma di corsa. Nonna Maria mi voleva molto bene, mi trascinava su una coperta per il corridoio di casa sua, mi canticchiava filastrocche ormai demodé, conservava un accento romano ormai storico, diceva “ciavo” invece di ciao, e la mattina diceva “vado a Roma”, memore di quando la sera chiudevano la porta San Paolo e le mura delimitavano la città dalla campagna. Soprattutto ho il ricordo indelebile di quando andavamo a trovare nonno Alberto al San Camillo dopo l’operazione alla cataratta o forse il secondo infarto e prima di entrare lei mi compra Devil numero undici.

Durante il funerale inizio a sentire dolori molto forti all’addome e mi trovo dopo poco in ospedale, operato la sera stessa per un’appendicite quasi peritonite. Il mio primo ricovero non fu affatto male, una vita in comune, nelle camerate del Regina Margherita a Trastevere, con il suo bel chiostro. Lì conobbi uno un po’ più grande, forse un sedicenne, che oltre a iniziarmi alla lettura di Linus mi mise a parte dell’informazione che noi potremmo sopravvivere solo cibandoci di latte e arance, una strampalata teoria, una delle tante diffuse in quegli anni, eravamo immersi in uno spirito ingenuo e bizzarro che molti anni dopo vidi descritto nel film Idioti di Lars von Trier e nella strana docufiction Anna di Alberto Grifi. Venne Sandra a trovarmi e mi portò Sulla strada, che lessi con una certa difficoltà devo ammettere, forse avevano fatto bene a non suggerirmi il classico. Dimesso dall’ospedale mi ritrovai con il peso al mio minimo storico, sotto i sessanta chili, con felicità, perché ho sempre invidiato la magrezza al pari dei capelli mossi.
A settembre mio zio riunì tutta la banda di Spoleto nel suo giardino a piazza Bologna, Andy e la compagna di passaggio a Roma, Giulia Pignatelli e venne anche Sandra. In una foto con sguardo mesto penso ai casi miei, al profumo dei tigli nella Spoleto deserta del dopofestival, nella mia camicia pachwork, probabilmente sto pensando ai cambiamenti in arrivo, il liceo, l’abbandono della batteria come strumento in favore della chitarra ma soprattutto una scelta che si stava palesando come radicale, abbandonare la riga da un lato che conservavo fin dall’asilo in favore della riga in mezzo, come John Lennon.

Alla fine dell’estate e ancora oggi serbo il ricordo del profumo inebriante dei tigli di Spoleto

Il festival finì come ogni anno e noi, tornati a Spoleto, potevamo inebriarci dell’odore dei tigli.