ipotesi di prossimità: l’installance come opera abbandonata e persa (differx) secondo la lezione dei Sassi nel Tevere, di Emilio Villa (1949), e l’opera che si realizza quando manca, come nelle “zone di sensibilità pittorica immateriale” di Yves Klein (1957: cfr. il dattiloscritto delle Règles rituelles de la cession des zones de sensibilité picturale immatérielle, qui ovvero qui), o nella auto-destructive art di Gustav Metzger, o nel cubo nel cilindro invisibile di Gino De Dominicis (1969: terza foto in questa sequenza); o quando è distrutta ed eventualmente ‘recuperata’ in frammenti, cfr. Jean Tinguely (Homage to New York, 1960), e John Baldessari (Cremation Project, 1970); o infine irrecuperabile (Robert Barry, 1969).
poi ecco la dichiarazione di Stefan Brüggemann, sopra mostrata; ma è utile ricordare anche il lavoro di Cesare Pietroiusti, prima di Banksy. oppure le azioni di Angelo Pretolani, come quelle incluse nella serie Sotto il selciato c’è la spiaggia.
“[…] During its brief operation, a meteorological trial balloon inflated and burst, colored smoke was discharged, paintings were made and destroyed, and bottles crashed to the ground […]”
(https://www.moma.org/collection/works/81174)
Guarda che siamo di Eleusi. […] Qui il più severo e il più vero inventore sono io, che ho inventato la poesia distrutta, data in pasto sacrificale alla Dispersione, all’Annichilimento: sono il solo che ha buttato il meglio che ha fatto: quello che s’è consumato nella tasca di dietro dei calzoni scappando di qua e di là, quello scritto sui sassi buttati a Tevere, quello stampato da un tipografo che non c’è più, quello lasciato in una camera di via della croce. Solo così si poteva andare oltre la pagina bianca: con la pagina annientata.
Emilio Villa, da un appunto (“risalente alla fine degli anni Settanta o all’inizio degli Ottanta”, cfr. A.Tagliaferri, Il clandestino. Vita e opere di Emilio Villa, DeriveApprodi, Roma 2004, p. 183)
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Da “Il clandestino. Vita e opere di Emilio Villa”, di Aldo Tagliaferri (DeriveApprodi, Roma 2004, p. 206)
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“E nel 1980, avendo esposto in una galleria di Brescia le mûra di t;éb;é (poesie scritte in greco antico su lastre di plexiglas), [Emilio Villa] ha tagliuzzato i testi della sua traduzione in italiano e ne ha messo i frammenti entro sacchetti che poi ha appeso accanto alle lastre. Dunque ha scritto in una lingua morta, ha tradotto in una lingua stentatamente viva, e ha esposto la morta, la lingua impossibile, nascondendo sotto gli occhi di tutti la viva, facendo tornare indietro il senso di quelle parole, impedendole a noi, lasciando ogni cosa inascoltata”.
Nanni Cagnone, in Cognizione di Emilio Villa [1989],
in Emilio Villa poeta e scrittore, a cura di Claudio
Parmiggiani, Milano, Mazzotta, 2008, p. 336
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Cecilia Bello Minciacchi nell’introduzione all'”Opera poetica” di Emilio Villa, da lei curate per L’Orma, Roma 2014
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«Beyond self, auto-destructive art entails a loss of the artist’s ego»