ready-made texts + ready-made pictures
la c., vol. 16, 2018
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la c., vol. 16, 2018
Ancora per una settimana si può visitare la mostra di Michele Zaffarano da AOCF58 Galleria Bruno Lisi, via Flaminia 58 Roma. È l’occasione per avvicinarsi alla sua poesia passando per la concezione di uno spazio e, all’interno, per l’immagine del corpo che si offre allo sguardo sgombro di ogni interpretazione, come nel video che Zaffarano ha realizzato avvalendosi della cinematografia di Angelo Marotta.
Riguardo al corpo, c’è qualcosa di più che non è incluso nella mostra, ma che inizialmente doveva esserci.
Cinque stanze tra cui il corpo è un testo che Michele Zaffarano ha scritto nel 2019 per «Rooms for Secrets», un progetto di performance ambientale ideato da Antonio Syxty e realizzato in collaborazione con Susanna Baccari e Zaffarano, per MTM – Manifatture Teatrali Milanesi. Si tratta di un teatro degli oggetti che abbatte completamente la divisione tra cose e parole, secondo una logica radicale del ready-made come metodo pratico di sintesi dei discorsi, come è consuetudine nell’arte di Syxty. Lungo questa strada, anche la voce di Zaffarano diventa una cosa, pari a un secchio, una finestra, cinque bottiglie in fila; e deve dare conto delle proprie funzioni, nella trasparenza della forma. Messa di fronte alla scrittura, questa voce-cosa non esaurisce il testo; non più di quanto possa fare il ritaglio di carta stampata (e completamente senza spazio ai bordi). Va molto veloce, per evitare la compromissione con i significati che trasporta; e la sua forma è modellata dalla ricorrenza ossessiva del possessivo, che è superfluo, che è uno spigolo senza ragione.
A ottobre 2022, negli studi di Lumi Ed. musicali, Deposito solventi ha registrato le cinque parti di questo testo: Il corpo; Il dio; I soldi; I desideri; Lo spazio.
Vedi foto nel link:
https://www.pasqualepolidori.net/deposito-solventi/syxty-con-baccari-e-zaffarano-rooms-for-secrets/
L’abitudine che ci fa usare la dizione da manuale, poesia in prosa, può far dimenticare come essa, in realtà, segni un paradosso. Ma – ha spiegato il suo maggiore studioso italiano, Paolo Giovannetti – proprio tale «ambiguità esibita» è il suo «carattere fondante». Posizione ambigua, dunque, e anche scomoda: troppo «asciugata» dal poetico per i lettori di poesia (almeno per chi si riconosce nel poetese, più che nel poetico); troppo autoreferenziale e «lavorata» – troppo «poetica», insomma – per coloro che della prosa ammettono un’unica specializzazione merceologica, quella della narrazione (e diciamo, anzi, direttamente la fiction).
Eppure la prosa come forma del limite è stata una delle poche vie di fuga che abbiano consentito alla nostra scrittura poetica, negli ultimi decenni, di non rinchiudersi nel repertorio di se stessa. Negli anni Settanta autori come Giampiero Neri, Cosimo Ortesta e Cesare Greppi hanno messo a frutto la lezione dei maestri francesi di un secolo prima; mentre è del 1989 un episodio isolato ma significativo come la silloge Viceverso, curata da Michelangelo Coviello. Né sorprende che oggi i trenta-quarantenni di Prosa in prosa guardino di nuovo Oltralpe (e Oltreoceano), mutuando il loro stesso titolo da Jean-Marie Gleize.
Quanto meno subliminalmente, l’espressione poesia in prosa rinvia poi al concetto di traduzione: un «contenuto», in sé poetico, che verrebbe «trasposto» in prosa. Ma se il «contenuto» è già prosastico, qui, che cosa viene in effetti «tradotto»? La prosa in prosa, risponde Antonio Loreto, ha qualcosa del ready-made: senza sovraccaricare la scrittura di effetti speciali (la «prosa d’arte» dalla quale i Sei si guardano bene) è mediante il suo isolamento (in lasse, blocchi, serie variamente ordinate) che se ne muta sottilmente il senso. Basta incorniciare l’oggetto, come ha insegnato appunto Duchamp, per fargli dire qualcosa di diverso – e inatteso. Qui piuttosto lo si «inquadra»: e non stupiranno, allora, i frequenti riferimenti all’universo dei media visivi, dalla fotografia allo schermo del computer.
Così facendo si segnalano, nella prosa del mondo, una serie di mutamenti inavvertiti. Come in un certo gioco enigmistico, ci accorgiamo d’improvviso di dettagli incongrui, particolari inquietanti. E finiamo per capire, insomma, come qualcosa nelle nostre vite sia da tempo mutato: a un livello microscopico, magari, ma con conseguenze non meno che catastrofiche.
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