“La vita in versi” va in onda sabato 3 e domenica 4 e sabato 10 e domenica 11 marzo, alle 10:50 su Radio3 http://www.radio3.rai.it/dl/radio3
Metti la vita in versi. Così inizia una poesia di Giovanni Giudici che resta memorabile Continua a leggere
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Metti la vita in versi. Così inizia una poesia di Giovanni Giudici che resta memorabile Continua a leggere
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Inizia oggi la mia attività nella sezione Scrittura del sito di “Private”, rivista di fotografia a cui ho in varie occasioni collaborato, nel tempo (direi dal ’95 circa). Ringrazio Oriano Sportelli per l’ospitalità data ai testi. La sezione pubblica inoltre anche materiali curati da Alessio Zanelli e Franck Bijou.
La mia intenzione è privilegiare, per quanto possibile, la prosa. In particolare quella prosa in prosa di cui — da qualche tempo, e giustamente — si parla in rete e nelle letture (e che ha fra l’altro dato il titolo a un libro pubblicato da Le Lettere).
Ho quindi pensato di categorizzare il genere marcando i testi così connotati — proprio sullo spazio online di “Private” — con l’etichetta o appunto categoria di “Prosa in prosa”. Se non vado errato, è la prima volta che una rivista accoglie questa categoria come tale, accanto a “Racconti brevi” e “Poesia”, per esempio. Anche di questo devo esser grato all’editore.
In ogni caso, logicamente, collaborando alle pagine di Scrittura, non mancherò di dare spazio anche a poesie e narrazioni brevi. Per tutte le proposte, l’indirizzo a cui fare riferimento (per inviare materiali inediti, possibilmente anche in traduzione inglese e/o francese) è il consueto account mg_img[at]yahoo[dot]it
First issue. Il primo post che vedete pubblicato in rete — oggi — è un brevissimo testo di Roberto Cavallera. Altri autori — noti o meno a chi segue l’area della prosa in prosa — seguiranno.
Buona lettura
MG
La componente di non-assertività della scrittura di ricerca che GAMMM persegue, e che il libro collettivo Prosa in prosa ha tra i suoi vari possibili fondamenti, è cruciale per marcare una distanza tra tali o analoghe esperienze di scrittura (recenti) e quelle di alcune avanguardie storiche – specie in riferimento al futurismo.
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A.
Ma altri elementi possono essere elencati, e confini tracciati, anche attraverso alcune coppie oppositive: per GAMMM si parla di
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B.
Se ci riflettiamo, il futurismo ha sostituito una serie di valori a un’altra serie di valori, lasciando inalterata l’assertività e il reticolo di garanzie autoriali che sottostanno all’operazione letteraria.
Ha sostituito la velocità all’indugio, l’esplosione alla suggestione, la linea stagliata alla nuance, colori e neri alle ombre, la dichiarazione alla domanda, la retorica delle maiuscole a quella delle minuscole, la grafica pubblicitaria all’ordine tipografico stabilito, il rumorismo all’onomatopea, l’umorismo alla melanconia, la frantumazione al metro, l’insistenza uninominale alla sintassi, le parole in libertà del parlato alle griglie retoriche del discorso scritto, la simultaneità alla sequenza, l’elettricità al vapore, eccetera.
Non ha – con ciò – mancato di portare nei campi delle arti alcuni elementi talvolta nuovi (velocità, maiuscole, rumore, frantumazione, chiasso) mutuati da un Ottocento iperindustrializzato ed elettrizzante che sfumava in un Novecento ancora in via di definizione.
Al contrario, gli autori di GAMMM, uscendo dalla parte opposta del tunnel (perfino post-elettronica), a chiusura di secolo e apertura di nuovo millennio, non è pensabile che intrattengano un rapporto “futuristico” con quello che – in effetti – non è nemmeno un passato prossimo ma un trapassato remoto.
Quello che soprattutto e direi felicemente a loro manca, è la “serietà” o “postura” artistica, la posa plastica, insomma, della scrittura, della dizione, e (quando càpita) della lettura in pubblico. Mancano volentieri sia il metatesto à la Tel Quel, sia il testo-testo dei vari espressionismi che fanno gongolare le analisi strutturaliste, sia l’antitesto teatrale assertivo artaudiano (sia il saggio alato-accennante di tradizione rilkiana, tanto per concludere citando campi e nomi assai differenti, ulteriori).
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C.
La difficoltà di collocazione della “prosa in prosa” nel campo della poesia (esclùsane la presenza del verso) o nel campo della prosa, che non fa problema agli autori, fa problema invece ai critici e a vari che sono intervenuti soprattutto durante la presentazione romana del libro (febbraio 2010), perché è nel momento della lettura che la “sicurezza del segnale” testuale si sfrangia.
A un dato momento, il lettore X sentirà un cicalino di poesia dove il lettore Y avverte il battito della prosa. O viceversa.
Ci sarà dunque, nel momento della ricezione, chi percepirà netta un’attinenza alla costruzione di senso propria della poesia (sia pure in una rinnovata “poesia in prosa”), e chi percepirà un’attinenza alla prosa. Ma questo si può dire di ogni altra caratteristica di questi testi. Ci sarà chi avvertirà freddezza e chi poco sperimentalismo, chi non percepirà come sensato il gioco azzerato sulle forme, sulla metrica interna e sui suoni, e chi invece vi vedrà il nucleo del discorso.
Di tutto questo il futurismo è nemico. La natura sostanzialmente “assertiva” del futurismo – anche nelle proprie politiche di gruppo – ne fa un oggetto profondamente adatto all’univocità sia nella posizione e rappresentazione di sé (dei suoi testi) davanti al pubblico, sia nella richiesta di feedback, sia nella reazione – appunto – del lettore, sia nella “programmaticità” e non troppo alta problematicità delle poetiche.
Difficile pensare a un Marinetti che si interroga sulla natura di poesia del suo testo. Per lui è poesia, poesia nuova, l’unica poesia che si possa fare, e come tale la propone al pubblico, che la percepisce (e la accoglie o rifiuta) come tale.
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D.
Un passaggio all’analisi testuale dimostrerà, carte alla mano, che testi – per esempio – di Bortolotti e Broggi, come di ogni altro autore dell’antologia, siano totalmente incompatibili con gli esperimenti ed “eroismi” antisintattici o grafici del futurismo. Pensiamo al linguaggio totalmente asciugato e asettico di Broggi; al continuo diminuendo delle non-avventure frammentate da Bortolotti. Pensiamo, altrimenti, all’attraversamento dei generi compiuto da Raos: dalla memoria al saggio alla poesia alla recensione: tutto nel flusso unito/discontinuo – quasi mormorante – delle Lettere nere. Nessun passo e passaggio nel suo lavoro “garantisce” (autorialmente=autoritariamente) sul passo e passaggio seguente. L’iter si fabbrica di volta in volta; al lettore è chiesto di completare spazi di non detto, di accenni; non di aderire al detto.
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E.
Nei sei autori di Prosa in prosa ci potrà talvolta essere l’emersione di un meccanismo come il googlism, infine, assai più vicino al momento aleatorio dadaista (ma meglio ancora a Burroughs, se proprio si deve trovare un riferimento puntuale) che alle accensioni futuriste. Eppure anche l’objet trouvé dadaista non è calzante. Si parla infatti di testi non “trovati” bensì “cercati”: non “found” ma “sought”
(cfr. http://gammm.files.wordpress.com/2007/02/mohammad_soughtebook.pdf).
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La componente di non-assertività della scrittura di ricerca che GAMMM persegue, e che il libro collettivo Prosa in prosa ha tra i suoi vari possibili fondamenti, è cruciale per marcare una distanza tra tali o analoghe esperienze di scrittura (recenti) e quelle di alcune avanguardie storiche – specie in riferimento al futurismo.
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A.
Ma altri elementi possono essere elencati, e confini tracciati, anche attraverso alcune coppie oppositive: per GAMMM si parla di
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B.
Se ci riflettiamo, il futurismo ha sostituito una serie di valori a un’altra serie di valori, lasciando inalterata l’assertività e il reticolo di garanzie autoriali che sottostanno all’operazione letteraria.
Ha sostituito la velocità all’indugio, l’esplosione alla suggestione, la linea stagliata alla nuance, colori e neri alle ombre, la dichiarazione alla domanda, la retorica delle maiuscole a quella delle minuscole, la grafica pubblicitaria all’ordine tipografico stabilito, il rumorismo all’onomatopea, l’umorismo alla melanconia, la frantumazione al metro, l’insistenza uninominale alla sintassi, le parole in libertà del parlato alle griglie retoriche del discorso scritto, la simultaneità alla sequenza, l’elettricità al vapore, eccetera.
Non ha – con ciò – mancato di portare nei campi delle arti alcuni elementi talvolta nuovi (velocità, maiuscole, rumore, frantumazione, chiasso) mutuati da un Ottocento iperindustrializzato ed elettrizzante che sfumava in un Novecento ancora in via di definizione.
Al contrario, gli autori di GAMMM, uscendo dalla parte opposta del tunnel (perfino post-elettronica), a chiusura di secolo e apertura di nuovo millennio, non è pensabile che intrattengano un rapporto “futuristico” con quello che – in effetti – non è nemmeno un passato prossimo ma un trapassato remoto.
Quello che soprattutto e direi felicemente a loro manca, è la “serietà” o “postura” artistica, la posa plastica, insomma, della scrittura, della dizione, e (quando càpita) della lettura in pubblico. Mancano volentieri sia il metatesto à la Tel Quel, sia il testo-testo dei vari espressionismi che fanno gongolare le analisi strutturaliste, sia l’antitesto teatrale assertivo artaudiano (sia il saggio alato-accennante di tradizione rilkiana, tanto per concludere citando campi e nomi assai differenti, ulteriori).
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C.
La difficoltà di collocazione della “prosa in prosa” nel campo della poesia (esclùsane la presenza del verso) o nel campo della prosa, che non fa problema agli autori, fa problema invece ai critici e a vari che sono intervenuti soprattutto durante la presentazione romana del libro (febbraio 2010), perché è nel momento della lettura che la “sicurezza del segnale” testuale si sfrangia.
A un dato momento, il lettore X sentirà un cicalino di poesia dove il lettore Y avverte il battito della prosa. O viceversa.
Ci sarà dunque, nel momento della ricezione, chi percepirà netta un’attinenza alla costruzione di senso propria della poesia (sia pure in una rinnovata “poesia in prosa”), e chi percepirà un’attinenza alla prosa. Ma questo si può dire di ogni altra caratteristica di questi testi. Ci sarà chi avvertirà freddezza e chi poco sperimentalismo, chi non percepirà come sensato il gioco azzerato sulle forme, sulla metrica interna e sui suoni, e chi invece vi vedrà il nucleo del discorso.
Di tutto questo il futurismo è nemico. La natura sostanzialmente “assertiva” del futurismo – anche nelle proprie politiche di gruppo – ne fa un oggetto profondamente adatto all’univocità sia nella posizione e rappresentazione di sé (dei suoi testi) davanti al pubblico, sia nella richiesta di feedback, sia nella reazione – appunto – del lettore, sia nella “programmaticità” e non troppo alta problematicità delle poetiche.
Difficile pensare a un Marinetti che si interroga sulla natura di poesia del suo testo. Per lui è poesia, poesia nuova, l’unica poesia che si possa fare, e come tale la propone al pubblico, che la percepisce (e la accoglie o rifiuta) come tale.
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D.
Un passaggio all’analisi testuale dimostrerà, carte alla mano, che testi – per esempio – di Bortolotti e Broggi, come di ogni altro autore dell’antologia, siano totalmente incompatibili con gli esperimenti ed “eroismi” antisintattici o grafici del futurismo. Pensiamo al linguaggio totalmente asciugato e asettico di Broggi; al continuo diminuendo delle non-avventure frammentate da Bortolotti. Pensiamo, altrimenti, all’attraversamento dei generi compiuto da Raos: dalla memoria al saggio alla poesia alla recensione: tutto nel flusso unito/discontinuo – quasi mormorante – delle Lettere nere. Nessun passo e passaggio nel suo lavoro “garantisce” (autorialmente=autoritariamente) sul passo e passaggio seguente. L’iter si fabbrica di volta in volta; al lettore è chiesto di completare spazi di non detto, di accenni; non di aderire al detto.
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E.
Nei sei autori di Prosa in prosa ci potrà talvolta essere l’emersione di un meccanismo come il googlism, infine, assai più vicino al momento aleatorio dadaista (ma meglio ancora a Burroughs, se proprio si deve trovare un riferimento puntuale) che alle accensioni futuriste. Eppure anche l’objet trouvé dadaista non è calzante. Si parla infatti di testi non “trovati” bensì “cercati”: non “found” ma “sought”
(cfr. http://gammm.files.wordpress.com/2007/02/mohammad_soughtebook.pdf).
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file pdf del presente articolo
domani, lunedì 25 gennaio, alle ore 18:30
conversazione con ANTONELLA ANEDDA
nell’ambito degli
INCONTRI SULLA POESIA E SULLA CRITICA
A cura del Centro per l’Arte Contemporanea La Nuova Pesa
con un intervento di Emanuele Trevi
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La Nuova Pesa, Roma, via del Corso, 530 (altezza piazza del Popolo)
www.nuovapesa.it