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linee di sperimentazione (neopoesia vs postpoesia)

riproduco qui di séguito – rielaborati – due commenti fb a un post di Ranieri Teti che mi ha dato occasione di precisare ancora una volta – attraverso le parole di Jean-Marie Gleize – qualcosa sulla differenza tra neopoesia (in linea con le sperimentazioni degli anni Sessanta e decenni successivi) e postpoesia (superamento della o meglio indifferenza alla questione dei generi letterari, littéralité ecc.):

possiamo tracciare una linea diretta tra le sperimentazioni linguisticamente complesse degli anni Sessanta e Settanta e la contemporaneità più stretta.
i nomi sono quelli che conosciamo: Cacciatore, Villa, in parte Vicinelli, sicuramente Lora Totino, Diacono, Toti, Fontana, le prime opere di Bàino, di Cepollaro, … ecc. (ma anche il primo Sanguineti, certo).

tutto ciò è razionale, positivo e verificabile.
allo stesso tempo, però, sottolineo (non per la prima volta) che è altrettanto razionale, positivo e verificabile che si tratta di quel tipo di testualità che Jean-Marie Gleize da qualche lustro definisce neopoesia; mentre sia in Francia che in Italia, a far tempo dagli anni Novanta, e in Italia soprattutto con Costa e il forse inconsapevole Bordini, fino all’esempio di Prosa in prosa nel 2009 e oltre, si è dispiegata una messe di materiali di incredibile quantità e direi anche qualità, rubricabile come postpoesia, interessata soprattutto alla letteralità, littéralité, alla platitude, alla nudità integrale del testo.
 
le parentele tra neopoesia e postpoesia possono essere di prossimità ma non sempre di sintonia.
a unirle (o meglio: a non disunirle troppo) c’è forse una istanza di “non assertività”, nell’accezione da me spiegata svariate volte.

istanza, poi, energicamente oppositiva rispetto alla onniestesa scrittura o meglio poesia assertiva, mainstream.

ma che possa essere in qualche modo pacifico e aproblematico che postpoesia e neopoesia si trovino sempre e comunque sullo stesso versante dell’ambiente letterario, a me sembra come minimo dubitabile. (o comunque da verificare: caso per caso).
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due presentazioni di “stiamo sprecando internet”, di antonio pavolini (cesati, 2023)

A breve, in due appuntamenti serali, in due splendide ville romane, Antonio Pavolini parlerà di Stiamo sprecando internet, uscito per Franco Cesati Editore nello scorso mese di aprile:

– venerdì 7 luglio, a Villa Ada con Paolo Casicci in occasione della chiusura dell’anno accademico di Quasar Institute. (registrazione su EventBrite al link https://www.eventbrite.it/e/biglietti-floating-worlds-777-quasar-institute-for-advanced-design-665178726477).

– sabato 15 luglio a Villa Carpegna, con Bruno Mastroianni (e la sua Storia Sentimentale del Telefono) e Francesca De Benedetti, nell’ambito del Festival “Fuori Posto”: https://www.oggiroma.it/eventi/festival/fuori-posto/70900/.

cliccare per ingrandire

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luca stefanelli: gli “attributi dell’arte odierna”, di emilio villa come ‘teatro della crudeltà’

da La modernità letteraria e le declinazioni del visivo, Pisa, ETS, 2018, tomo II, 2, pp. 143-150

https://www.academia.edu/49349659/La_parola_sfigurata_Gli_Attributi_dellarte_odierna_di_Emilio_Villa_come_teatro_della_crudelt%C3%A0_

     

N.b.: chi avesse difficoltà a scaricare il saggio di Luca Stefanelli, potrà trovarlo anche qui: https://slowforward.files.wordpress.com/2022/08/stefanelli-luca_-la-parola-sfigurata_-sugli-attributi-dellarte…-di-emilio-villa.pdf

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segni, glifi, tracce: l’ovunque di emilio villa

Per Emilio Villa tutto è oggetto/soggetto e supporto di scrizione, iscrizione, sovrascrittura, rilancio e metamorfosi e nuovo projectum del senso-non-senso.

Il segno, più e meno leggibile, più e meno incardinato in una sequenza di altri suoi simili in rigorosa anarchia, è quasi una marcatura anzi materia ontologica. Esiste a prescindere dai suoi testimoni, e dalla storia che gli seguirà.

Non sdegna né di venir ignorato, né di darsi come inciso in uno o altro fenomeno umile, sia esso naturale o frutto secondo, originato da culture (remote o recenti).

Brocche in vetro, polistirolo, sassi, piatti di plastica, cellophane, tutti i tipi di carte e cartoncino. E poi moltiplicazione, dispersione, perdita/abbandono, dimenticanza, cancellazione, distruzione: queste in fine (e per principio) le ultime estreme superfici dei segni di Villa, e la loro – per questo illimitabile – profondità.

frammenti da “idrologie”, di emilio villa, giorgio cegna, silvio craia (1968)







 

un’opera di emilio villa in “verso la poesia totale”, di adriano spatola (prima ed., rumma, 1969)

un’opera di emilio villa in “verso la poesia totale”, di adriano spatola (prima ed., rumma, 1969)

16-20 marzo 1977, cavriago (reggio emilia): festival “tendenze d’arte internazionale”

apparizione improvvisa e fragorosa di Emilio Villa accanto a Corrado Costa, da 9′ 47” a 10′ 26” —
“distruggere il potere subito subito subito subito”

due aree. post generale, poi personale

1. In sintesi estrema

“Nuovi Argomenti” nasce nel 1953. “Il verri” nel 1956. È del 1957 la polemica aspra fra Pasolini e Sanguineti su sperimentalismo e neosperimentalismo, che si consuma tra le pagine di un paio di numeri della rivista “Officina”.

Da allora e fino a oggi, dunque da quasi 70 anni, la letteratura italiana è spezzata in due.

Dopo qualche circoscritta fortuna einaudiana e feltrinelliana, l’editoria ‘maggiore’ (oggi, meglio: ‘a grande distribuzione’, o forse ‘generalista’) sarà costantemente collocata, o in misura maggioritaria collocabile, nell’area Mondadori Pasolini Sereni eccetera. Scelta fatta. Per una forma sempre ‘rassicurante’.

Sponda – soprattutto dagli anni Ottanta – per la nuova lirica, visceralmente avversa alla sperimentazione, negatrice di tutto quello che succede nel versante della ricerca letteraria, specie se avanzata (e sotto qualsiasi egida, fosse pure universitaria, o artistica, in legame o no con istituzioni come il MoMA o il Centre Pompidou, per dire).

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pagine estive (o quasi) che vanno bene anche per l’autunno _ (8) due post su punto critico

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“la distruzione da vicino”: studi sulle avanguardie, di cecilia bello minciacchi

Cecilia Bello Minciacchi, La distruzione da vicino. Forme e figure delle avanguardie del secondo Novecento
(Oèdipus, 2012)

novecento

Scritti su Balestrini, Berio, Sanguineti, Porta, Manganelli, Villa.

http://www.oedipus.it/index.php?option=com_content&task=view&id=159&Itemid=37

http://www.deastore.com/libro/la-distruzione-da-vicino-forme-cecilia-bello-minciacchi-oedipus/9788873411529.html

L’ormai attestata egemonia degli autori sperimentali in Italia

È vero: il racket degli illeggibili detiene ed esercita un duro potere: radio, cinema, teatro, jets, premi, tutti i premi, liquori costosi, tirature planetarie; e intanto, i leggibili e validi languono, appartati nelle loro soffitte, con mano scarna e tremula vergano le loro storie educative, ed ogni inverno muoiono come le mosche e, non fosse la pietas dei parrocchiani, li seppellirebbero nelle fosse comuni.

Giorgio Manganelli, La letteratura come mafia, in “Quindici”, n. 9 (mar.-apr. 1968;
poi in Quindici, Feltrinelli, Milano 2008, p. 209)



Qua e là in siti web e riviste di letteratura si legge che la scrittura sperimentale, e specialmente la poesia di ricerca, sarebbe “egemone” nel nostro paese.

Trovo sia assolutamente fondato. A fatica la mattina mi faccio strada, in tram, fra gente che tiene ostentatamente aperto davanti a sé “il verri”; alcuni per tutto un viaggio in bus godono a infastidirti urlando al cellulare i propri progetti di traduzione di testi di Robert Smithson, di Kaprow, di Morris. Altri cianciano di Gysin. Viene la nausea. Cosa vogliono? Si ha la sensazione di essere circondati. Si ha questa sensazione, ogni giorno.

Non se ne può più di questi bestseller del cutup. Così come trovo “indegno di un paese civile” (credo si dicesse così, prima che gli Egemoni bandissero espressioni simili) che in edicola con il Corsera + 5 euro diano addirittura libri di Robbe-Grillet, ristampe di Isgrò, di Arno Schmidt. Basta con le prose brevi di Beckett, coi saggi su Christian Dotremont, su Gallizio.

Da Feltrinelli è letteralmente impossibile entrare senza imbattersi in scaffali e scaffali fitti di Costa, Niccolai, Cacciatore, Porta, Cagnone, Mesa, Pizzi, Toti, Reta, Beltrametti, Vicinelli, Spatola, Villa. Praticamente non ti puoi girare da nessuna parte. Villa e Burri, Burri e Villa; e Fontana. È un martellamento senza fine.

In prima e seconda serata sui teleschermi delle tv nazionali e private si sprecano ore sui cento anni di Duchamp. O sulla poesia visiva italiana degli anni Sessanta e Settanta, sui suoi rapporti con Noigandres; in radio ci decantano Blue Lion Books, il neodada, l’assurdismo, Pierre Alferi, Tao Lin, la sperimentazione a Firenze oggi, il Mulino di Bazzano ieri. Continue monografie su Julien Blaine. Su Tom Raworth. I media sono in una morsa. E il 90% del mercato librario italiano è in mano al monopolio Camera verde. Anche Mondadori cede. È di oggi l’annuncio della pubblicazione del meridiano di Lucio Saffaro.

Tentano di stare al passo.

In tv la domenica a pranzo, e nei vari inserti dei quotidiani nazionali considerati maggiori, in manifesti in discoteca, sui mezzi pubblici, nelle aule di tribunale, alla posta, per strada, per proclami pubblicitari, fin nei fogli delle messe sui banchi delle chiese, praticamente ovunque, fioccano adesivi situazionisti, valigette fluxus, traduzioni da Tarkos, da Gleize, da Bernstein, da Hejinian, non si fa che ciarlare di Langpo e Flarf, riandando penosamente a quella piovra dell’Oulipo. La versione italiana dell’antologia In the American Tree, di Ron Silliman, tradotta abbastanza tempestivamente già sul finire degli anni Ottanta da ben tre majors editoriali italiane in concorrenza, è arrivata alla ventesima ristampa. Caso più recente: le traduzioni einaudiane dei due celebri testi di Jean-Michel Espitallier, l’antologia Pièces détachées e la serie di saggi Caisse à outils, non mollano la cima delle classifiche, ormai da mesi. Non si parla d’altro. I nostri figli a scuola imparano Pagliarani a memoria. La corruzione è senza freno. Dilaga in Vaticano, addirittura. È agli ultimi colpi di lima l’enciclica di Benedetto XVI, Manent experimenta verbis, fili. Indirizzata a Nanni Balestrini.

Non c’è corsivista ed editorialista televisivo o radiofonico che non abbia pile e pile di cd di files scaricati da (o riferibili a) Ubuweb, PennSound, EPC. Sono questi i materiali che dettano il ritmo dei rotocalchi, delle colonne di terza e addirittura di prima pagina, dei mensili, dei settimanali più forti anche politicamente.

Si può dire che Rizzoli, Mondadori e Einaudi, per tacere di Bompiani, siano totalmente proni a questa deriva, a questo flusso di sperimentalismo. Non stampano che autori POL, Bleu du ciel e Green Integer. Le copertine sono da decenni ormai tutte affidate o a Magdalo Mussio o agli statunitensi ed europei che fanno nuova poesia verbovisiva o asemic writing. Dove sono finite le belle copertinacce kitsch di una volta, con i rami contorti se il libro è un horror, e le tinte pastello se è un rosa? Apocalisse. Sono finiti i gialli, non ci sono più giallisti, dove sono i giallisti? C’è ancora qualcuno che scrive un giallo in questo paese? Dove siete spariti tutti?

Si deve tornare alla normalità. A un qualche ordine. Come abbiamo potuto tollerare che si sia dedicato un intero paginone di Repubblica a Jeff Derksen e alla Kootenay School of Writing? Siamo alla follia. Gli editori Arcipelago e Camera verde stanno stracciando le vendite di Garzanti, Marsilio e Guanda messi insieme. Siamo a un testa a testa. Gli ex colossi non ce la fanno a tenere il campo. Tentano con ogni manovra di sottrarre spazio ed autori alle edizioni indipendenti ma egemoni. Fioccano contratti a cinque e sei zeri per autori di poesia di ricerca.

Infamanti siti come www.gammm.org sono al centro di convegni e antologie, i suoi autori scalano le classifiche dello Strega, del Campiello, del Viareggio. Non c’è incontro pubblico, specie in sedi prestigiose e in facoltà italiane drammaticamente munifiche di sovvenzioni, in cui i redattori di gammm non siano invitati a parlare, a raccontare balle sulle loro insulse traduzioni, a discettare di poesia contemporanea fingendo di lamentarsi di una disattenzione che non esiste. Scandaloso, “è semplicemente scandaloso”. Un incubo; è come chiedere un caffè, alzare gli occhi, e vedere che a sorriderti non c’è il barista ma Wittgenstein.

Non sei più sicuro di niente.