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una nota di jean-marie gleize, a margine di una recente lettura al cipm

Nioques n’est pas une revue de poésie, comme son titre l’indique. C’est une revue de poésie après la poésie. Ce titre est  l’un des mots que Francis Ponge utilisait pour désigner ces textes qu’il écrivait en dehors de toute intention esthétique, et de toute espèce de préoccupation poétique ; On  rappelle ici ce qu’il écrivait dans Méthodes en 1948 : « Le jour où l’on voudra bien admettre comme sincère et vraie la déclaration que je fais à tout bout de champ que je ne me veux pas poète, que j’utilise le magma poétique mais pour m’en débarrasser (…) on me fera plaisir, on s’épargnera bien des discussions oiseuses à mon sujet, etc. »

un discorso chiuso / differx. 2021

utilities da cb ad uso degli scrittori (non assertivi)

nelle scritture di ricerca contemporanee, non assertive, sono non pochi i fili del tessuto (annodato/sciolto) che viene da CB. (o che a quello trovo personalmente sia necessario vengano connessi).

l’idea di una scrittura di scena (in teatro) e la sua netta affinità con il materiale grezzo delle scritture installative (in letteratura): materiale d’uso, oggetti indifferenti, buoni per organizzare lo spazio.

la distinzione radicale (già lacaniana) tra Moi e Je, con il verbigerare del soggetto dell’inconscio in primo piano. (che poi è sempre un piano inclinato, sbagliato, de-pensato per farlo finire fuori scena).

l’errore, lo scivolamento, il mancare del testo-gesto azione a favore del continuo sgretolarsi dell’atto. (a-temporalmente: aion che smentisce sé e scavalca chronos).

l’ironia, e il ridere di sé. e finalmente la caduta della malsana abitudine di dare appuntamento al lettore là dove il lettore già è.

la buona prassi di procedere frontalmente “contro la riproduzione” (come scriveva Corrado Costa nella Sadisfazione letteraria, 1976). altro modus operandi del contrasto alla “rappresentazione”.

l’articolare il linguaggio come un inconscio. (con l’aggiunta, direi, di un elemento nodale: spostare l’inconscio fuori dal corpo-storia dello scrivente. anche google è meglio del miglior scrittore).

la (deleuziana) intenzione anzi prassi di parlare la propria lingua dall’interno di un contesto ma come una lingua minore.

agire – che è straparlare – da minori (Kleist, forse, non Goethe) e intempestivi, senza cognizione di storia.

lo spostamento del bersaglio fuori dal logos, per poi mancare anche lo spostamento stesso.

(in arte, poi/insieme, il glitch ossia l’errore; e l’asemic writing, ossia l’illeggibile).

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il pubblico del pubblico / marco giovenale. 2019

Le cose sono un po’ cambiate. Il poeta non sale sul palco per leggere la poesia, ma per vedere il pubblico.

E il pubblico, che è sempre e solo il pubblico del pretesto della poesia, sta in platea solo perché attende di salire sul palco. A vedere il pubblico.

Una volta salito sul palco, guarda il pubblico, bene, si bea della posizione, e dopo letta la poesia non ritorna in platea, ma esce, va a fumare, a bere, a distrarsi.

Vedi Napoli e poi muori. Vedi il pubblico e poi fuori.

Gli ultimi che leggono leggono alle sedie: vuote.

l’oggetto è abbandonato

    
il discorso sull’abbandono è quello sul lasciare l’oggetto / segno / scrittura / traccia all’ambiente, addirittura a “tutti”. (questo per le installance), svincolando la cosa lasciata dal ‘valore’ (anche estetico) senza vincolarla a ‘un’ destinatario, e nemmeno all’indicazione autoriale precisa. (tutti gli oggetti abbandonati in forma di installance sono senza firma).
gli oggetti possono così essere ‘pacchetti di senso’ lasciati liberi di trovare il loro destinatario. 
da nessuno a tutti, o a qualcuno (che se ne appropria come dono, senza che il dono sia ‘firmato’ né nel senso dell’arte, né nel senso del design/prestigio, né nel senso e segno autoriale). (la firma – intesa come passaggio di senso – è un addendum messo da chi trova l’oggetto, quando e se lo trova e lo prende con sé, volendo).