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dal 15 ottobre @ merano arte: “turning pain into power”

art exhibit: Turning Pain into Power

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TURNING PAIN INTO POWER
A cura di Judith Waldmann

15.10.2022 – 29.01.2023

Kunst Meran Merano Arte
Via Portici 163, Merano

La mostra TURNING PAIN INTO POWER, che Kunst Meran Merano Arte ospita dal 15 ottobre 2022 fino al 29 gennaio 2023, pone l’accento sul potenziale dell’arte nel risvegliare e incrementare la consapevolezza sulle ingiustizie sociali e politiche. La collettiva presenta una selezione di artist* che contrastano diverse forme di iniquità attraverso strategie forti, consapevoli e creative, affrontando tematiche quali il razzismo, la violenza di genere e la lotta alle discriminazioni, come ad esempio quelle rivolte contro la comunità LGBTQIA+.

La mostra si apre con un motto militante scritto a lettere rosse: “I won’t shut up”, che in inglese significa “non terrò la bocca chiusa”. Il lavoro, di Monica Bonvicini, si riferisce alla libertà di espressione, sancita dall’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che esprime quasi il dovere di “aprire la bocca” e non accettare in silenzio le ingiustizie. Le relazioni annuali di organizzazioni come Reporter Senza Frontiere, PEN International o FREEMUSE – defending artistic freedom fanno emergere in modo impressionante come, in molte zone del mondo, il diritto di far sentire la propria voce continui a non essere tutelato e come assumere delle posizioni critiche possa addirittura essere una fonte di pericolo.

Oltre alla parola, anche altre forme espressive – come gesti o simboli – possono diventare segni di resistenza collettiva. Giuseppe Stampone cattura un momento storico impresso nella nostra memoria collettiva riproducendolo con una biro: nel 1968, durante la premiazione alle Olimpiadi di città del Messico, l’atleta afroamericano Tommie Smith alza il pugno proponendo il saluto del movimento Black Power, un segno contro la discriminazione della popolazione afroamericana. A distanza di circa cinquant’anni, il gesto di inginocchiarsi proposto da molti atlet* in tutto il mondo come atto di solidarietà, in relazione al movimento Black lives matter, si ricollega a queste strategie di protesta pacifica.

Negli anni del nazionalsocialismo le persone omosessuali venivano marchiate con un triangolo rosa, il cosiddetto “Rosa Winkel”. Questo simbolo era cucito sulle casacche dei deportati nei campi di concentramento a causa del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere. “Kostüm Kakaduarchiv” (2022) di Philipp Gufler mostra come il “Rosa Winkel” sia stato adottato nella Germania postbellica, accompagnato dalla scritta “Gays against Oppression and Fascism”, come segno contro l’omofobia e contro l’oblio delle atrocità perpetrate dal nazionalsocialismo. Attraverso una contestualizzazione fornita da testimonianze dell’epoca – come ad esempio la foto dello striscione riportante: “Chi tace sui crimini contro le persone omosessuali, finisce per approvarli” – e da altri materiali documentari fotografici e testuali, il gioco di riferimenti e rimandi apre a riflessioni e ulteriori approfondimenti.

La violenza di genere è affrontata con particolare intensità anche nel lavoro di Regina José Galindo. Nel video esposto a Merano, “El dolor en un pañuelo” (1999), il corpo femminile vulnerabile, perché nudo, dell’artista diventa letteralmente una superficie di proiezione: su di esso, legato a un letto verticale, vengono infatti fatte scorrere diapositive che mostrano articoli di giornale sugli innumerevoli casi di violenza contro le donne in Guatemala. In questo modo l’artista rende il proprio corpo una piattaforma che porta all’attenzione dei visitatori e delle visitatrici i crimini commessi contro le donne, spronandoli a confrontarsi con questa tematica.

TURNING PAIN INTO POWER è pensata da Merano Arte come punto di partenza di un lavoro a lungo termine sui rapporti tra arte, attivismo e formazione, volto a indagare, mettere in discussione e contrastare i “punti ciechi”, cioè quelle forme di pregiudizio inconsapevoli, e i gli aspetti da cui scaturiscono le diverse forme di discriminazione.

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dal 15 ottobre @ merano arte: “turning pain into power”

art exhibit: Turning Pain into Power

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TURNING PAIN INTO POWER
A cura di Judith Waldmann

15.10.2022 – 29.01.2023

Kunst Meran Merano Arte
Via Portici 163, Merano

La mostra TURNING PAIN INTO POWER, che Kunst Meran Merano Arte ospita dal 15 ottobre 2022 fino al 29 gennaio 2023, pone l’accento sul potenziale dell’arte nel risvegliare e incrementare la consapevolezza sulle ingiustizie sociali e politiche. La collettiva presenta una selezione di artist* che contrastano diverse forme di iniquità attraverso strategie forti, consapevoli e creative, affrontando tematiche quali il razzismo, la violenza di genere e la lotta alle discriminazioni, come ad esempio quelle rivolte contro la comunità LGBTQIA+.

La mostra si apre con un motto militante scritto a lettere rosse: “I won’t shut up”, che in inglese significa “non terrò la bocca chiusa”. Il lavoro, di Monica Bonvicini, si riferisce alla libertà di espressione, sancita dall’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che esprime quasi il dovere di “aprire la bocca” e non accettare in silenzio le ingiustizie. Le relazioni annuali di organizzazioni come Reporter Senza Frontiere, PEN International o FREEMUSE – defending artistic freedom fanno emergere in modo impressionante come, in molte zone del mondo, il diritto di far sentire la propria voce continui a non essere tutelato e come assumere delle posizioni critiche possa addirittura essere una fonte di pericolo.

Oltre alla parola, anche altre forme espressive – come gesti o simboli – possono diventare segni di resistenza collettiva. Giuseppe Stampone cattura un momento storico impresso nella nostra memoria collettiva riproducendolo con una biro: nel 1968, durante la premiazione alle Olimpiadi di città del Messico, l’atleta afroamericano Tommie Smith alza il pugno proponendo il saluto del movimento Black Power, un segno contro la discriminazione della popolazione afroamericana. A distanza di circa cinquant’anni, il gesto di inginocchiarsi proposto da molti atlet* in tutto il mondo come atto di solidarietà, in relazione al movimento Black lives matter, si ricollega a queste strategie di protesta pacifica.

Negli anni del nazionalsocialismo le persone omosessuali venivano marchiate con un triangolo rosa, il cosiddetto “Rosa Winkel”. Questo simbolo era cucito sulle casacche dei deportati nei campi di concentramento a causa del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere. “Kostüm Kakaduarchiv” (2022) di Philipp Gufler mostra come il “Rosa Winkel” sia stato adottato nella Germania postbellica, accompagnato dalla scritta “Gays against Oppression and Fascism”, come segno contro l’omofobia e contro l’oblio delle atrocità perpetrate dal nazionalsocialismo. Attraverso una contestualizzazione fornita da testimonianze dell’epoca – come ad esempio la foto dello striscione riportante: “Chi tace sui crimini contro le persone omosessuali, finisce per approvarli” – e da altri materiali documentari fotografici e testuali, il gioco di riferimenti e rimandi apre a riflessioni e ulteriori approfondimenti.

La violenza di genere è affrontata con particolare intensità anche nel lavoro di Regina José Galindo. Nel video esposto a Merano, “El dolor en un pañuelo” (1999), il corpo femminile vulnerabile, perché nudo, dell’artista diventa letteralmente una superficie di proiezione: su di esso, legato a un letto verticale, vengono infatti fatte scorrere diapositive che mostrano articoli di giornale sugli innumerevoli casi di violenza contro le donne in Guatemala. In questo modo l’artista rende il proprio corpo una piattaforma che porta all’attenzione dei visitatori e delle visitatrici i crimini commessi contro le donne, spronandoli a confrontarsi con questa tematica.

TURNING PAIN INTO POWER è pensata da Merano Arte come punto di partenza di un lavoro a lungo termine sui rapporti tra arte, attivismo e formazione, volto a indagare, mettere in discussione e contrastare i “punti ciechi”, cioè quelle forme di pregiudizio inconsapevoli, e i gli aspetti da cui scaturiscono le diverse forme di discriminazione.

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genova, palazzo ducale: “romanistan”, di luca vitone

Sandro Ricaldone

LUCA VITONE
Romanistan
27 settembre 2022

Palazzo Ducale, Sala Camino
ore 18:00, presentazione del volume

Cinema Sivori
ore 21:00, proiezione del film

partecipano: Anna Daneri, Daniele Caspar, Gennaro e Santino Spinelli

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teresa macrì: “slittamenti della performance”, vol. 2

Sandro Ricaldone

teresa macrì_ slittamenti della performance_ vol. 2

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TERESA MACRÌ
Slittamenti della performance.
Volume 2. Anni 2000-2022
postmedia books, 2022
http://www.postmediabooks.it/2022/340slittamenti2/9788874903405.htm

Con il secondo volume di Slittamenti della performance, l’autrice conclude l’analisi sulle storie della performance art iniziata con il primo libro. Quest’ultimo saggio è dedicato alla discontinuità attivata negli ultimi due decenni, in cui l’attitudine performatica, scavalcando l’ortodossia degli anni Settanta si è rigenerata grazie all’innesto della delegated performance e all’appropriazione dello spazio pubblico. Rivitalizzata da nuovi comportamenti e differenti metodologie, la performance contemporanea offre delle visioni del mondo che vengono declinate sia attraverso le mega-produzioni istituzionali sia attraverso forme indipendenti e svincolate. Esse si interpellano sulla complessità dell’esistente. In un’avvincente indagine, l’autrice analizza i paradigmi dei più importanti artisti internazionali come Tino Sehgal, Nico Vascellari, Cesare Viel, Vanessa Beecroft, Sissi, Alessio Bolzoni, Anne Imhof, Marcello Maloberti, Ragnar Kjartansson, John Bock, Francesco Arena, Enzo Umbaca, Jacopo Miliani, Jeremy Deller, Francis Alÿs, Marinella Senatore, Theaster Gates e Andreco.
Avevamo lasciato le mirabilia della performance, nella sua breve ed eccentrica storia e nei suoi infiniti slittamenti, tra spinte rivendicative, azioni autolesioniste e pulsioni psicotiche, quasi sempre ripiegate in logiche solipsistiche. Questi ultimi due decenni evidenziano un progressivo scatto reinventivo oltre ad un’altrettanto insperata attenzione (soprattutto istituzionale) per il medium performatico e marcano, in maniera netta e inconfutabile, la discontinuità che tale medium traccia col passato. Un solco concettuale e metodologico che vuole rendere malleabile il senso del sé e del mondo ed insinuarsi per trasformarlo. (dall’introduzione al libro)

Teresa Macrì è critica d’arte, scrittrice e docente. Si occupa di cultura visuale. Tra gli ultimi libri pubblicati: Io mi manifesto (Gli Ori, 2022); Slittamenti della performance, Vol.1, Anni 1960-2000 (Postmedia Books, 2020); Pensiero discordante (Postmedia Books, 2018), Fallimento (Postmedia Books, 2017), Politics/Poetics (Postmedia Books, 2014). Insegna Fenomenologia delle arti contemporanee all’Accademia di Belle Arti di Roma. Collabora al quotidiano Il Manifesto.

Slittamenti della performance:
vol. 1 http://www.postmediabooks.it/2020/275performance/9788874902750.htm
vol. 2 http://www.postmediabooks.it/2022/340slittamenti2/9788874903405.htm
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san cataldo, 8 ottobre: total fluxus, 1962/2022

Total Fluxus 1962/2022 Vecchie Glorie
Quest’anno ricorre il 60° anniversario della nascita del movimento internazionale Fluxus. Anche l’Archivio di Comunicazione Visiva e Libri d’Artista di San Cataldo non poteva sottrarsi alla celebrazione di un doveroso omaggio ai protagonisti del Fluxus che hanno rivoluzionato il linguaggio dell’arte attraverso la contaminazione e l’ibridazione della pratica estetica dei molteplici linguaggi visivi e multimediali. Nell’ambito della diciottesima giornata del contemporaneo promossa dall’AMACI, l’Archivio di Comunicazione propone una mostra delle opere presenti in collezione dal titolo “Total Fluxus 1962/2022 Vecchie Glorie”, a cura di Calogero Barba.
Il movimento internazionale Fluxus, sostenuto da George Maciunas, nasce nel 1962 con il festival denominato Fluxus Internationale Festspiele Neuester Musik di Wiesbaden in Germania.
Dopo il primo festival tedesco diversi artisti provenienti da tutte le parti del mondo si unirono al movimento che praticava l’arte con una libertà operativa svincolata dal circuito chiuso del sistema dell’arte.

“territories of waste” @ museum tinguely (basel)

Sandro Ricaldone

TERRITORIES OF WASTE
On the Return of the Repressed
Museum Tinguely – Basel
September 14, 2022–January 8, 2023

Artists: Arman, Helène Aylon, Lothar Baumgarten, Anca Benera & Arnold Estefán, Joseph Beuys, Rudy Burckhardt, Carolina Caycedo, Revital Cohen & Tuur Van Balen, Julien Creuzet, Agnes Denes, Douglas Dunn, Julian Aaron Flavin, Nicolás García Uriburu, Hans Haacke, Eric Hattan, Eloise Hawser, Fabienne Hess, Barbara Klemm, Max Leiß, Diana Lelonek, Jean-Pierre Mirouze, Hira Nabi, Otobong Nkanga, Otto Piene, realities:united, Romy Rüegger, Ed Ruscha, Tita Salina & Irwan Ahmett, Tejal Shah, Mierle Laderman Ukeles, Raul Walch, Pinar Yoldaş.

Curator: Dr. Sandra Beate Reimann

The current planetary crisis has ensured that the proliferation of environmental pollutants has once more become a focus of artistic practice, alongside climate change and mass extinction. The group exhibition Territories of Waste at Museum Tinguely focuses attention on this contemporary artistic engagement and asks where such discussions are taking place today, as well as taking a new look from this perspective at the art of the second half of the 20th century. The group show is intended as an accumulation or gathering of many voices that takes the dynamically mixed quality of waste seriously as a structuring concept. The exhibition spreads out like a landscape and is connected by main themes that run through it like a network.

In the 1960s, the artists of Nouveau Réalisme and Junk Art (including Jean Tinguely) reflected the profound social and economic shift from post-war deprivation to a society based on consuming and throwing away by using trash and scrap metal as materials in their work. Whereas in the 1960s, the rubbish piling up at landfill sites and carelessly disposed of in nature was highly visible, today, in the western parts of the globalized world, it is largely invisible. A sophisticated waste economy relieves us of garbage and dirt, and of the remnants of our consumer lifestyle. Sorted, removed, burned, cleaned, composted, recycled, deposited in disused mines, exported—what we discard does not cease to exist, but it is out of our way.

In contemporary discourse and artistic practice, there is a focus on the hidden and repressed ecological, geological and global conditions of our consumerism. This has been accompanied by increased public awareness of the invisible micro-dimension of waste. The omnipresence of such micro-pollutants in air, soil, water and ice and in living organisms around the world—even in regions where humans have never set foot—has made a lasting impact on the way we think about nature. Today, particular interest is being focussed by artists on the territorial movements of waste within colonial geographies. Alongside the global aspects, geological factors are also being highlighted, a “geospheric” focus that reflects on the ecological dimensions of raw material extraction, especially in mining.

The territorial movements of waste are dealt with along colonial geographies that involve both the exporting of rubbish and the waste generated during raw material extraction in neo-colonial structures of exploitation. One focus here is on electronic communication devices and the metals and rare earths needed for their production.

Waste disposal today is a highly automated industry. In their structure, modern waste management facilities reflect the separation between society and what it discards. Waste and its disposal are supposed to remain as invisible as possible. At the same time, contact with waste products and the physical labour associated with cleaning are closely linked to social hierarchization, exclusion, and even stigmatization. This social dimension, including issues of race and gender, forms a second thematic focus.

Other works in the exhibition deal with the pollution of air, water and the oceans. They render visible the micro-dimension of waste, something that is not immediately apparent, and bid a firm farewell to the still prevalent romantic notion of untouched nature. Our waste is now present throughout the entire ecosphere.

Territories of Waste in the literal sense—devastated terrain, manmade wastelands, war and disaster zones—are a fourth focus. The traces of our industrialized and nuclear age have inscribed themselves into landscapes. In its double meaning of both barren, infertile land but also fallow, unused land, however, the notion of wasteland points to both loss and potential.

In another section, the exhibition goes beyond physical and geographical territories, exploring concepts of waste and cleaning in the digital sphere. What happens to files that we put in the “trash”? It turns out that even when it is deleted, data doesn’t just disappear.

Finally, with the concepts of compost, humus and cohabitation, the show explores the potential of waste for new ways of thinking and living, as well as for new alliances. These works link and traverse the fields of nature and culture, humans and their environment.

Hira Nabi, All That Perishes at the Edge of Land (still), 2019