
9 novembre: “roma illegale”


i campi obbligatori sono stati senz’altro coinvolti interno tipo élite a] secco perforato ha un paio di -indizi camminare fa bene scendere è pur sempre un dispositivo per] finire finito -fossile

Gli elementi della rivoluzione duchampiana che portano alla realizzazione sia del Grande Vetro che dei readymade sono dunque gli stessi: il rifiuto della pittura, che è fatta con l’occhio e la mano, l’innovazione radicale, lo humour e l’ironia, l’indifferenza estetica, il gioco di parole, il caso. E tutti puntano verso una stessa direzione, paradossale per un artista: mettere in dubbio l’arte; o meglio, «farla finita con l’arte», «privare l’artista della sua aura», «sminuire il suo status all’interno della società». «La parola arte significa fabbricare, fare con le mani […]. Anziché farla, io la ottengo già fatta. […] è un modo per negare la possibilità di definire l’arte.»
L’Orinatoio vuole dunque rendere impossibile definire l’arte. E lo fa mettendo in cortocircuito l’utopia della libertà assoluta d’innovazione: se si elimina qualunque autorità estetica con il motto “niente giuria, niente premi”, s’impedisce sì, nel modo più drastico, che il passato limiti la libertà creativa, ma si legittima anche l’idea che chiunque possa essere artista e qualunque cosa egli proponga possa essere “opera”. Negli anni sessanta l’eredità di Fountain produrrà anche slogan come quello del movimento Fluxus “Tutto è arte e chiunque la può fare”, che troverà forti risonanze nello spirito di quel tempo e in molte esperienze artistiche coeve. Per esempio in Joseph Beuys, che criticherà Duchamp per aver abbandonato l’arte senza aver tratto la logica conclusione del suo gesto, cioè che «ogni essere umano è un artista».
Ma Duchamp era un dandy ironico e un individualista radicale, estimatore dell’Unico di Stirner. Basta pensare al Grande Vetro per capire che la sua produzione, così esoterica, enigmatica e sfuggente, ha ben poco a che fare con l’utopia di Beuys. Del resto, lo dirà esplicitamente: «L’individuo artista esiste, è esistito ed esisterà sempre, ma in quantità molto ristrette».
Anche se la rivoluzione di Duchamp (come quella di molte avanguardie del Novecento a partire dal Dadaismo) ha come conseguenza il dissolvimento del confine tra arte e vita, con Fountain egli non vuol dimostrare che tutto è arte e che quindi tutti possono essere artisti. Il suo primo, evidente intento è la dissacrazione dell’arte, di quell’arte che riteneva troppo “retinica” e troppo legata alla figura demiurgica dell’artista e al gusto. Il gusto è un’abitudine, diceva: «Se si ripete più volte qualcosa, si trasforma in gusto». Per questo si era messo a fare cose che sarebbe stato impossibile o assai difficile rinchiudere in qualche abitudine di pensiero, in qualche significato prestabilito. L’Orinatoio è l’esito più esplicito, caustico e ironico di questa dissacrazione dell’arte. Una dissacrazione che non corrisponde però all’antiarte del Dadaismo, perché l’antiartista, per Duchamp, è come un ateo: crede in negativo. Invece lui è uno scettico ironico, una mente cartesiana e corrosiva che dubita di tutto e non prende niente sul serio, a cominciare dall’arte stessa, che non vuole distruggere, ma appunto dissacrare: toglierle l’aura di superiorità, il carisma spirituale. Per questo ama definirsi “anartista”. A questo punto è evidente che l’opera più influente del Novecento non è un’opera d’arte, innanzitutto perché non rientra nel significato di “arte” elaborato dalla nostra cultura, per il quale bellezza ed emozione estetica sono concetti essenziali. Invece di suscitare emozione estetica, Fountain stimola domande di tipo filosofico: cosa fa di un oggetto un’opera d’arte? È davvero indispensabile che siano la mano, l’occhio e il gusto soggettivo dell’artista? Non potrebbe essere semplicemente il gesto mentale di scegliere qualcosa? (In fondo anche i tubetti di colore, arriverà a dire Duchamp, sono dei readymade scelti dal pittore.) In questo senso, anche se ironia, paradosso e ambiguità rendono inafferrabile il gesto di liberazione del readymade, si potrebbe dire che Fountain non è un’opera d’arte perché è un’opera sull’arte, un oggetto che stimola riflessioni sulla natura e il senso dell’arte stessa.
Luigi Bonfante CATASTROFE UNO. Duchamp e la spora aliena. Fountain, 1917-1963, in Catastrofi d’arte. Storie di opere che hanno diviso il Novecento, Johan & Levi editore, 2019
ieri alla libreria Panisperna220

Bertrand Verdier, “366 prétéritions de l’existence de Je” – Circulation n° 174 (2018)
MirellaXcento
Dall’archivio fotografico di Corinto Marianelli
a cura di Manuela De Leonardis
inaugurazione @
associazione TRAleVOLTE
piazza di Porta San Giovanni 10
lunedì 7 novembre, alle ore 18:00
La mostra sarà visibile fino al 25 novembre 2022 ore 17-20 dal lunedì al venerdì
http://www.tralevolte.org
Comunicato stampa completo: qui
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OGGI, sabato 5 novembre 2022, alle ore 18:00
presso la Libreria Panisperna220
(via Panisperna 220 – Roma)
Reading di poesia: quattro voci della collana Fuorimenù, a cura di Andrea De Alberti
(edizioni Blonk)
Andrea Raos: O!h
Marco Giovenale: Delle osservazioni
Simona Menicocci: H24. Materiali per un film
Demetrio Paolin: Il bene vegetale
Contributi critici e coordinamento delle letture: Valerio Massaroni (centroscritture.it)
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o!h – di Andrea Raos
https://www.blonk.it/book/oh/
Nei versi brevi e di battente musicalità che scendono sulla pagina costellandone ed esaltandone il bianco, ecco affiorare un ricordo d’infanzia, enigmatico, magnifico e terribile; un altro ricordo, violento, doloroso, quello di una giovane donna che molti anni dopo diventerà madre; e il senso di solitudine, abbandono e scomparsa toccato a un bambino, che lo avvertirà sempre come vuoto fondativo e disintegrante insieme della sua identità.
(Federico Francucci)
Delle osservazioni – di Marco Giovenale
https://www.blonk.it/book/delle-osservazioni/
Delle osservazioni è un libro riassuntivo della modalità di Marco Giovenale che potremmo, sbrigativamente, definire postlirica – parallela o intrecciata che sia, non comunque contrapposta – alla sua produzione più immediatamente riconducibile alla cosiddetta «poesia di ricerca».
(Paolo Zublena)
H24. Materiali per un film – di Simona Menicocci
https://www.blonk.it/book/h24-materiali-per-un-film/
Il libro, sorto da un’ipotesi di film, dunque per successione di fotogrammi, posizioni, narrazioni in voice-over. Ne deriva un somnium fisico, però colto dal vero, e tradotto in una lingua furente, che a partire da uno sforzo di unione tra corpi pensanti, si incendia e si acceca di una voluptas lucreziano-epicurea, ipernominante.
(Luigi Severi)
Il bene vegetale – di Demetrio Paolin
https://www.blonk.it/book/il-bene-vegetale/
Un disperatamente vivo salmo su amore e morte. Dopo averla esplorata senza sconti nei romanzi, Paolin torna qui alla sua ossessione: il tema della carne, del destino e del disfacimento dei corpi (“ma ci pensiamo mai al terreno / che ci frana ogni giorno?, allo sfarsi / delle carni?”) e del tutto e del niente che siamo, del morire e del rinascere in altro, in cose, pietre, “enti”.
(Mirko Volpi)
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Blonk srl, via Emilia, 24 – 27100 Pavia
https://www.blonk.it/contact/
Libreria Panisperna220
info@libreriapanisperna220.it
tel. 06 88372870
CentroScritture
https://centroscritture.it
https://instagram.com/centroscritture
STUDIO STEFANIA MISCETTI annuncia l’esposizione personale di
GIAN DOMENICO SOZZI
inaugurazione: giovedì 10 novembre 2022, dalle 18 alle 21
in via delle Mantellate 14 – Roma
chiusura: gennaio 2023
orari: da martedì a sabato, dalle 16 alle 20
STUDIO STEFANIA MISCETTI è lieto di presentare perlepie, sesta esposizione personale di Gian Domenico Sozzi presso gli spazi della Galleria.
Le opere in mostra, tutte prodotte quest’anno ed in gran parte inedite, costituiscono una serie di serigrafie su specchio tutte realizzate a partire da antichi dipinti in rovina. Continua a leggere