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emilio villa e l’ytalya. intorno alle origini di una canonizzazione problematica / aldo tagliaferri. 2019

un ringraziamento particolare ad Aldo Tagliaferri per aver concesso la ripubblicazione di questo testo (già comparso nel n. 22 della rivista online “L’Ulisse”, ottobre 2019). qui di séguito il pdf:

https://slowforward.files.wordpress.com/2020/08/aldo-tagliaferri_-ytalya.pdf

la tradizione del novecento sta a posto. sta a posto così.

Il paradigma (o: la continuazione ad libitum) dellA davvero interminabile “tradizionE del Novecento” non avverte alcun problema di coesistenza. Nega l’altro, e fine così.

Detenendo essa (per diritto d’eredità o per quantità di applicazioni dello ius primae noctis) il potere editoriale, distributivo, pubblicistico (giornalistico=giornalettistico), festivaliero, ufficiosciampistico e premiopolitano; e riuscendo spesso a inserirsi con felice piglio vetero-democristiano anche in redazioni sedi siti e luoghi “non mainstream”, mangia e digerisce bene. Sta nel suo (del resto essendo, il suo, tutto).

Non sente alcun bisogno non dico di riconoscere, ma nemmeno di vedere l’esistenza di un altro paradigma.

Hai voglia a dire che
«C’è una differenza decisiva tra chi sente il rovinìo delle forme esaurite, e ne è pungolato, e chi non se ne accorge e pensa di poterle continuare con manovre persive».
(Alfredo Giuliani, prefaz. 2003 alla ristampa dei Novissimi).

Oppure che
«L’affettività turbata dallo sconvolgimento dei termini di relazione, l’intelligenza che registra la dissociazione degli eventi mediante la distorsione semantica, le conseguenti stesure intrecciate del discorso, i giochi linguistici (neologismi, schizofasie), la similarità tra il linguaggio del sogno e l’espressione della psicosi, la giustapposizione degli elementi di logiche diverse, il linguaggio-sfida, il non-finito: tutto ciò coincide con un’attitudine antropologica che precise condizioni storiche hanno esaltato fino alla costituzione di un linguaggio letterario che fa epoca e da cui non si può tornare indietro».
(Lo stesso, ma nell’introduzione del ’65).

Idem: hai voglia a distinguere fra Copernico e Tolomeo, caro CB: https://slowforward.net/2020/07/30/copernico-vs-tolomeo-carmelo-bene/.

C’è sempre, e prima, una Chiesa con cui fare i conti. Conti che, oltretutto, tiene e conduce e rivede e valida lei.

Non resta che da sperare nei videogiochi e in TikTok.

O, al limite, e senza celia, nell’asemic writing, ma chiaramente più fuori che dentro i confini paesani.

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di cosa si parla quando si parla di testi installativi: alcuni link (per chi li vuole) (leggere)

2006

tre paragrafi / g.bortolotti, m.giovenale. 2006


http://www.italianisticaonline.it/2006/gammm/
(con link al primissimo indirizzo gammm.blogsome.com, ora inattivo)

2007:
cenni: http://www.tellusfolio.it/index.php?prec=%2Findex.php%3Flev%3D151&cmd=v&id=3952

2009

Testi installativi


(cenni: https://slowforward.files.wordpress.com/2011/02/mg_postricercabo2009_.pdf
= https://www.scribd.com/document/48213439/Marco-Giovenale-Post-RicercaBo-2009)

2010

wall of text / stele di testo

wall, 2010

Charles Bernstein’s “Veil”


(Replay) https://slowforward.net/2010/03/24/replica-testi-installativi/

(Alan Sondheim, quantum-rilke-deconstruction)

2011

Extensive Immanence


(annunciato da https://slowforward.net/2011/01/04/chi-ha-problemi-con-i-testi-installativi/)

cross links on Bernstein & installation(s)

2012
(Replay) https://slowforward.net/2012/09/14/replay-_-testi-installativi/
https://visual-poetry.tumblr.com/post/39048235592/otpdf-2000-by-holger-friese (ma del 2000?)

2013
https://www.gauss-pdf.com/post/41911267120/gpdf062-angela-genusa-tender-buttons
= http://dl.gauss-pdf.com/GPDF062-AG-TB.pdf

2014
http://authors-text.blogspot.com/2014/08/jukka-pekka-kervinen-working-monarchies.html
(segnalaz.: https://slowforward.net/2014/08/20/jukka-pekka-kervinens-working-monarchies/)

“jatte” by charles bernstein

2015
https://www.alfabeta2.it/2015/03/15/gioco-e-radar-09-scritture-installative-prima-parte/
https://www.alfabeta2.it/2015/03/22/gioco-e-radar-10-scritture-installative-seconda-parte/

2017

falling / johannes s. h. bjerg. 2017

matrice / luca zanini. 2017

2019
si parla anche di testi installativi qui:

intervento completo su “leggere la poesia” – “ritmo e sperimentazione” – “scritture di ricerca”, roma, macro asilo, 7 dicembre 2018


e qui:

“leggere la poesia”, 7 dicembre 2018, macro (roma): un estratto dal dialogo tra marco giovenale e andrea tomasini

2020

again: ‘jatte’ by charles bernstein

“cambio di paradigma” (2010): il pdf del thread intero su n.i.

di cosa si parla quando si parla di testi installativi: alcuni link (per chi li vuole) (leggere)

questo, per esempio, lo considero un testo sia concettuale che installativo:
http://www.manifold.group.shef.ac.uk/issue14/MarcoGiovenaleBM14.html

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il 1903 in italia, nei metri. e due addenda non italiani

Paolo Giovannetti: “A partire da una data quasi simbolica come il 1903, si vanno addensando libri e libretti di poesia in cui poeti giovanissimi, a volte meno che ventenni, smettono di scrivere con la metrica tradizionale e praticano forme in cui la relazionalità isosillabica classica è sostituita da altro. In italiano, prima del Novecento, non era permesso scrivere un testo in cui, ad esempio, un endecasillabo è seguito da un ottonario e poi da un novenario, e così via… Questo tipo di metrica era del tutto inaccettabile per la nostra tradizione. Poeti come Sergio Corazzini e Corrado Govoni invece cominciano a comporre così nel periodo appunto subito successivo al 1903. Usano frammenti della tradizione, ma li montano in modo personalissimo, ottenendo una sonorità nuova. E nel decennio abbondante che precede la prima guerra mondiale questo modo di scrivere sempre più libero, anche se mai del tutto slegato da indici metrici tradizionali, si va generalizzando. Clemente Rebora e Dino Campana (1913-1914) poetano in un modo del tutto nuovo rispetto al passato, e con la massima sicurezza. Giuseppe Ungaretti, il primo Ungaretti, è naturalmente versoliberista. Siamo arrivati al 1916, l’anno de Il Porto Sepolto“.
(Il brano viene da questa intervista del marzo 2016, a cura di Luca Vaglio: https://www.glistatigenerali.com/letteratura/la-poesia-oggi-e-unarte-concettuale-come-la-pittura/)

Aggiungo io: Hugo von Hofmannsthal pubblica la Lettera di Lord Chandos nel 1902.dubliners_wk
James Joyce scrive le proprie Epifanie tra il 1900 e il 1904.
Il 1904 è l’anno in cui inizia a scrivere i Dubliners.
Rivoluzioni.

alfabeta2.it/2015/04/19/gioco-e-radar-14-indeterminazioni-e-prose-di-due-autori-inattuali-prima-parte-hofmannsthal/

alfabeta2.it/2015/04/26/gioco-e-radar-15-indeterminazioni-e-prose-di-due-autori-inattuali-seconda-parte-joyce/

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due aree. post generale, poi personale

1. In sintesi estrema

“Nuovi Argomenti” nasce nel 1953. “Il verri” nel 1956. È del 1957 la polemica aspra fra Pasolini e Sanguineti su sperimentalismo e neosperimentalismo, che si consuma tra le pagine di un paio di numeri della rivista “Officina”.

Da allora e fino a oggi, dunque da quasi 70 anni, la letteratura italiana è spezzata in due.

Dopo qualche circoscritta fortuna einaudiana e feltrinelliana, l’editoria ‘maggiore’ (oggi, meglio: ‘a grande distribuzione’, o forse ‘generalista’) sarà costantemente collocata, o in misura maggioritaria collocabile, nell’area Mondadori Pasolini Sereni eccetera. Scelta fatta. Per una forma sempre ‘rassicurante’.

Sponda – soprattutto dagli anni Ottanta – per la nuova lirica, visceralmente avversa alla sperimentazione, negatrice di tutto quello che succede nel versante della ricerca letteraria, specie se avanzata (e sotto qualsiasi egida, fosse pure universitaria, o artistica, in legame o no con istituzioni come il MoMA o il Centre Pompidou, per dire).

Continua a leggere

“word for / word”, issue #35 is on line

http://www.wordforword.info/vol35/

featuring:

Poetry: Naomi Tarle, Nate Hoil, George Kalamaras, Adam Strauss, Ruby Reding, Andrew Merecicky, Jeff Harrison, Violet Mitchell, Paul Shumaker, Kevin O’Rourke, Jacob Schepers, Danika Stegeman LeMay

Visual Poetry: Edward Kulemin, Mark Young, Sheila Murphy, Diana Magallón, Derek Owens, Francesco Aprile, Jason N. Rodriguez, Emmitt Conklin

Special Feature: Beyond the Wall – A Visual Writing Exhibit, Edited by Tom Hibbard: Introduction, David Chirot, Reed Altemus, Cecil Touchon, Andrew Topel, Dead Sea Scroll, Hieroglyphics, Oriental Logogram, Bill DiMichele, Luc Fierens, Henri Michaux, Agnes Martin, Jim Leftwich, John M. Bennett, De Villo Sloan, Asemic Alphabet, Clarification of Visual Writing’s Connection with “Climate Change”

 

nota su vincenzo ostuni e il suo “faldone”

nota in occasione della presentazione di
Deleuze, o dell’essere chiunque chiunque
(Porto Fluviale, Roma, 30 lug. 2020)

 

Vincenzo Ostuni è – non solo per mia convinzione ma anche per studio e dimostrazione testuale da parte di più critici letterari, in particolare di Luigi Severi – forse l’unico autore contemporaneo che (in tempi post-novecenteschi e per certi aspetti post-poetici) riesce a tenere insieme le modalità della ricerca testuale più stretta, un forte letteralismo, un processo lessicalmente tellurico di interrogazione filosofica costante, e un progetto che lega tutto ciò offrendone i risultati sotto forma di vera e propria opera mondo. (E opera aperta, per le ragioni che si vedranno).

È infatti almeno a partire dall’uscita in volume di un primo segmento del suo progetto / macrotesto, il Faldone, ossia dal 2004, che appare evidente come Ostuni a questo lavori interminabilmente riprendendolo, variandolo, accrescendolo, disturbandone i confini e gli intrecci, sia ad intra che  – proiettato in segmenti futuri – ad extra.

Se è vero che un ventaglio di argomenti ritornanti nel Faldone, per evidenza di contenuti, è da riassumere con termini quali incompiutezza dell’esperienza, incompletezza del linguaggio, e cumulo di nostre incertezze percettive, va poi súbito aggiunto che questo denso e centripeto nucleo tematico diventa anzi è di fondo, per statuto formale, il vortice centrifugo che di libro in libro, di aggiornamento in aggiornamento, sgretola la stessa compibilità dell’opera (determinandone l’apertura), insieme inchiodandola all’esperienza oggettiva (dunque estendendone non senza vertigine i confini al “mondo” stesso, tutto).

MG

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esce “6070”, sugli anni sessanta e settanta, appunto: qualche appunto

space invaders
Circa dieci anni fa ho scritto un testo, “6070”, per spiegare o meglio spiegarmi alcune cose e coordinate, latitudini della percezione, longitudini delle scritture, o viceversa, che mi parevano e mi paiono legate a un decennio particolare, quello che va – precisamente – da metà anni Sessanta a metà Settanta.

Lo scritto non era mai uscito fino ad ora. Certo, è e resta incompleto, criticabile, probabilmente parziale anche nella seconda accezione del termine. E si interrompe bruscamente.

Alla fine ne ho parlato con gli amici di OperaViva, e ora si può leggere qui: https://operavivamagazine.org/6070-2/. Migliori interlocutori non penso avrei potuto avere.

Forse non condivido più l’imp(r)udenza delle mie premesse, ma – aggiungo – resto persuaso degli elementi di fondo, linguistici e politici (e di politica del linguaggio), che osservavo e annotavo.

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