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pod al popolo, #028: anni settanta eccetera. un intervento intorno alla “letteratura circostante”, 20 gen. 2024

Sabato scorso, invitato a Ciampino (Roma) a intervenire, con altri, sui temi trattati dal libro di Gianluigi Simonetti, La letteratura circostante (Il Mulino, 2018), ho pensato di mettere a fuoco alcuni elementi di crisi emersi nella poesia italiana tra fine anni Sessanta e fine Settanta, esponendo il mio punto di vista. Qualcosa ho anticipato qui su slowforward in un testo dedicato al cambio di paradigma e alla ricerca letteraria come “evento aprente” (ossia non apocalittico, o di chiusura). Ora invece ripropongo l’audio completo dell’intervento di sabato, qui su Pod al popolo. Il podcast irregolare, ennesimo fail again fail better dell’occidente postremo. Buon ascolto.
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(N.b.: l’audio si apre con una lettura estratta dal libro di G. Simonetti)
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ricerca letteraria come “evento aprente”. un appunto a proposito degli anni settanta (dall’incontro di ieri sulla “letteratura circostante”)

In attesa di proporre l’audio dell’intervento completo:

[…] Detto in poche parole: a partire soprattutto dalla fine degli anni Sessanta (ovvero dalla fine del primo decennio di quello che continuo a chiamare e ritenere un cambio di paradigma), le complessità e le articolazioni delle scritture poetiche e in senso ampio creative hanno messo i poeti (o coloro che tali intendevano essere) in condizione di estrema difficoltà.  Alcune generazioni, per via dell’accelerazione degli stimoli culturali e per il senso di soffocamento dato dalle urgenze storico-politiche, si sono trovate in una condizione di impasse (o proprio schiacciamento) tra la necessità o insomma il desiderio (aggiungerei: spesso infantile o adolescenziale) di aderire al modello dato dall’onda lunga del Romanticismo (e, azzarderei, del petrarchismo lessicale) e la realtà ipercomplessa e infinitamente frammentata della contemporaneità.

Come fa a scrivere, e cosa scrive, un io che non solo non ha la “i” maiuscola, ma è scisso in particole, e le cui schegge sono circondate da un contesto e discorso culturale e storico estremamente complesso, vasto, articolato?

(Un solo esempio: nell’arco di appena sette anni, tra il 1967 e il 1974, escono ben cinque opere capitali e rivoluzionarie di Jacques Derrida: La voce e il fenomeno, Della grammatologia e La scrittura e la differenza nel 1967, Margini nel 1972, Glas nel 1974).

Poteva porsi aproblematicamente in sintonia con questo stato di cose la generazione che aveva vent’anni, o poco più, nell’arco di tempo che va dalla fine degli anni Sessanta alla fine dei Settanta? Si collocava in quel tratto storico una disponibilità, una apertura, un varco – diciamo – praticabile per i giovani scrittori, che non fosse quello della forbice aperta tra euforia e disforia (seguendo il suggerimento di Gianluigi Simonetti in La letteratura circostante), tra verbalizzazione immediata, diciamo a volte naif, e ricaduta nelle forme chiuse ossia nell’ormai vecchio istituto delle forme propriamente letterarie (blindate nel comparto Letteratura)?

I termini della reazione di quelle generazioni allora possono forse non essere stati semplicemente quelli del rifiuto, ma del rifiuto che maschera un colossale senso di inadeguatezza, probabilmente fondato. Se nel 1971 Dario Bellezza a 27 anni pubblica Invettive e licenze e un contesto letterario lo accetta senza il minimo imbarazzo e ne fa addirittura un punto di riferimento (ritenuto valido addirittura oggi), è perché difficilmente sia il poeta sia il contesto sarebbero stati in grado di sorridere troppo davanti ai propri sentimenti di impotenza e inadeguatezza, appunto. Sentimenti che reagivano ai ben diversi materiali letterari che arrivavano dal «verri» fin dal 1956, e da «Tel Quel» dal 1960.

A mio modo di vedere sarebbe stato necessario, come in tutti i sistemi sottoposti a tensione,  un lungo tempo di elaborazione per vedere qualcuno appropriarsi dei materiali di quegli anni. Per certi aspetti, l’entità che prese subito familiarità con la situazione e addirittura la spostò dal piano storico al piano – direi – antropologico (generale) fu il teatro di ricerca, su cui non ci soffermeremo. Ma altre cose accadevano negli anni Settanta. Cose che ci riportano ai nomi di Corrado Costa, Giulia Niccolai, Adriano Spatola, e a molti altri, in grado di misurarsi nell’immediato con quanto andava producendosi. 

Ci sono stati cioè intellettuali, poeti e scrittori, che della complessità e della ricerca letteraria hanno fatto sfida e necessità e non vi hanno rinvenuto affatto schiacciamenti inaccettabili, soffocamento, inadeguatezza, margine, inabitabilità. 

Si è trattato di autori che, vedendo nella neoavanguardia non necessariamente un’esperienza vincolante ma al contrario un evento aprente, si sono misurati con la scrittura della complessità, con la frammentazione, oltre che con la fantasia, anche, delle interazioni tra codici: letteratura, arti visive, materiali verbovisivi, musica sperimentale, e addirittura “scrittura asemantica” (così Gillo Dorfles a proposito di Irma Blank, nel 1974).

Se ne è parlato e se ne parlerà.

[…]

 

audio integrale della presentazione di “generazione settanta”, di miguel gotor @ piper club, 26 mag. 2023

Presentazione del libro di Miguel Gotor, Generazione Settanta. Storia del decennio più lungo del secolo breve (1966-1982), Einaudi, 2022. Al Piper Club, 27 maggio 2023. Lettura di Alessandra Vanzi, interventi di Marco Giovenale, Maria Teresa Carbone, Andrea Cortellessa, Giuseppe Garrera, Pippo Di Marca.

(Audio ‘ambientale’ integrale e non editato)

Incontro curato da Teatroinscatola, in collaborazione con
Marco Giovenale (gammm.org / slowforward.net)

sceneggiati, storie, ombre. nei ’70 (un elenco di differx)

elenco assolutamente personale.

1. Ritratto di donna velata (1975)
2. Zaffiro e acciaio (1980)
3. Prigionieri delle pietre (1977)
4. Il segno del comando (1971, ma repl. negli anni ’80 – o fine ’70)
5. Sky (1975 e 1980)
6. Dov’è Anna? (1976)
7. L’amaro caso della baronessa di Carini (1975)
8. I sopravvissuti (1976 e 1979)
9. I racconti fantastici di Edgar Allan Poe (1979)
10. Ligabue (1977)
11. ESP (1973)
12. Belfagor ovvero Il fantasma del Louvre (1966 ma repl. 1975)
13. La vita di Leonardo da Vinci (1971)
14. Doctor Who (1980-81)
15. Saturnino Farandola (1977-78)
16. Il fauno di marmo (1977)
17. La dama dei veleni (1979)
18. La traccia verde (1975)
19. Extra (1976)

stando solo al 1975: La donna velata, Sky, La baronessa di Carini, Belfagor, La traccia verde. Anche Gamma e Michele Strogoff sono del 1975, ma non li inserisco nell’elenco.

non inserisco nemmeno altri sceneggiati pure importanti per me, come Albert e l’uomo nero, e Sandokan, entrambi del 1976. né A come Andromeda (1972).

Joanna Lumley

e comunque:

sono perfettamente convinto che questi materiali abbiano costituito mattoni inconsci e consci fondamentali in/per chi ha poi fatto “ricerca artistica” (letteraria, verbovisiva, musicale ecc. ecc.) da fine anni ’90 in poi. o, almeno, per alcuni di una o due generazioni precise.

orti insorti @ tuttascenateatro, martedì 25 ottobre 2022, ore 14, radio onda rossa 87.9 fm

Tutta Scena Teatro ★ Radio Onda Rossa 87.9 fm

martedì 25 ottobre 2022, ore 14

ORTI INSORTI

di e con Elena Guerrini, all’organetto Ilaria Gelmi

Uno spettacolo sulle memorie della nostra civiltà contadina nato da una ricerca tra ricordi del nonno che insegnava a contare da zero a cento ai mezzadri, storie paesane, ricette di antiche merende, bicchieri di vino rosso, barzellette, canzoni degli anni settanta, bestemmie e riflessioni sulla coltivazione di un orto come esperimento di costanza e pazienza.
L’attrice diverte ma soprattutto fa riflettere, parlandoci della natura che fu, di locale e globale, della scomparsa delle api, dei semi fatti in casa e scambiati tra ortolani e di quelli ibridi, brevettati e venduti dalle multinazionali dell’agribusiness, del seme terminator della Monsanto e delle coltivazioni geneticamente modificate. Delle autostrade che sono dove c’erano i poderi, delle lotte contadine e della profonda trasformazione dell’agricoltura. Ci presenterà i maestri che ha incontrato in questo viaggio: Fukuoka, il saggio giapponese teorico della coltura della non azione, i giardinieri rivoluzionari, Pompilio che a 83 anni piantava ulivi in Maremma,  Pasolini e la fine della civiltà contadina, Vandana Shiva e il movimento Navdanya in India, Libereso Guglielmi, il giardiniere di Calvino. Per riannodare il legame spezzato con la natura, riflettere su come rispettare l’ambiente, inquinare un po’ meno e coltivare ciò che mangiamo.

https://archive.org/details/ortiinsorti.2008.07.22 (42’)

info https://www.elenaguerrini.it/ortiinsorti.html

post-1968 o post-1974? forse la domanda ha senso

leggere questa intervista ad Elisa Donzelli è a mio avviso importante, per vari motivi, anche come addendum non secondario a un suo precedente intervento, che si può trovare qui: https://t.ly/sTgY.

tuttavia segnalo, allo stesso tempo, un punto di dubbio per me cruciale, non solo in riferimento a un discorso sulla poesia contemporanea.

riguarda l’idea di una possibile uniformità o somiglianza di identità (e di biografie) tra autori  “nati dopo il ’68”.

ecco: sono convinto del fatto che (soprattutto se si stringe il focus sul versante politico e sul rapporto tra vicenda collettiva e imprinting individuale, e tra questi e una qualsiasi attività linguistica orale e scritta intesa alla produzione di senso) l’onda lunga di una generazione ancora politicamente connotata continua, a mio avviso, almeno fino al 1974. (come scrivevo in 6070).

ovvero: sostituirei a “i nati dopo il 1968” l’espressione “i nati dopo il 1974”.

e mi spiego: fino almeno al 1974, in linea di massima, chi nasceva sarebbe stato (volente o nolente) esposto, negli anni della sua maggiore plasticità e sensibilità (proprio neuronale), a situazioni estremamente diverse, radicalmente diverse, rispetto a quelle che avrebbero vissuto i nati negli anni successivi. (non voglio con questo stabilire una barriera netta & adamantina, né deterministica, ma solo identificare un terminus post quem, che so arbitrario come tutte le schematizzazioni, spostato in qua di almeno cinque-sei anni rispetto al ’68).

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chi ha formato il proprio lessico e le proprie strutture mentali di base nell’amnio avvelenato dei pieni Ottanta (diciamo dal 1984, anno scelto non a caso: cfr. https://t.ly/MlXa e https://t.ly/P98e) ha avuto a che fare con un mostro di non poco conto.

diversamente, chi giocoforza, per anagrafe, ha vissuto la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta da preadolescente o adolescente, critico [magari pure clinico-disturbato] e pieno di insofferenze e rifiuti, e quindi politicamente nemico del proprio tempo, magari in sodalizio (eccome!) con compagn* di riflessione e azione politica [magari esplicitatesi, queste azioni, con la Pantera nel 1990], non può in nessun modo essere accostato con troppa facilità a chi, bambino, è stato letteralmente aggredito e sommerso dal contesto del decennio maledetto, e dalle radiazioni delle nascenti tv private in Italia, oltre che dall’aria di “normalità” della corruttela craxiana che le ha fatte prosperare.

[da non dimenticare, poi: il 1990 di Ruberti è anche l’anno della legge Mammì, e della rivelazione dell’esistenza di Gladio. ergo, l’adolescente inquieto di metà anni Ottanta non poteva non essere – parlo da testimone, non voglio per forza fare autobiografia – un adulto infuriato, nel 1990]

senza parlare del clima politico mondiale.
ovvio, credo. inutile nominare i due criminali di spicco, targati ’80: Tatcher, Reagan. chi già era politicamente insofferente, oltre che ormonalmente fibrillante (!), nel tempo dell’ascesa del liberismo scatenato, non poteva in nessun modo accettare la deriva post-1980, fosse pure nella mera forma estetica. chi invece era bambino, difficilmente era in grado di non assorbire le tossine del decennio. anche linguistiche. drogate, sedative.

(per altro fatte proprie e rilanciate dall’editoria di grande distribuzione, che in libreria mandava e promuoveva solo e soltanto gli autori di cui parlavo qui: https://slowforward.net/2022/02/21/poesia-per-il-pubblico-a-k/). (chi compiva 20 anni nel 1990, aveva trovato nell’adolescenza e trovava ancora in libreria testi che, meno di dieci anni dopo, cioè entro il 1999 e prima, la distribuzione generalista, la protervia o pavidità dei direttori di collana e l’editoria dell’ormai maturo riflusso [nonché – perché no? – il primo quinquennio forzitaliota] avrebbero spazzato via dagli scaffali).

in conclusione.
per il bambino del 1980-90 la ribellione sarebbe (forse) arrivata dopo.
bon.
ma, nello stesso decennio, per l’adolescente o giovane adulto veniva vissuta già e ancora (per quanto con difficoltà e diversità rispetto a chi aveva fatto il ’77) dentro quel periodo storico, in conflitto, e con un insieme di esperienze e impressioni (e imprinting, sì) stabilmente presenti ormai, in termini di formazione individuale/collettiva. era insomma una inquietudine fattiva possibile, praticabile e praticata: esisteva. 

così come in letteratura, negli stessi anni, nonostante tutto, esisteva la ricerca (letteraria).

(e non solo perché ne scriveva Antonio Porta: https://slowforward.net/2022/08/20/ricerca-letteraria-spazio-di-ricerca-antonio-porta-1983/).

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nel 1984 nascevano “L’ombra d’Argo” e “l’immaginazione”, per dire.
nel 1989 si stampava Poesia italiana della contraddizione, per dire.
la rivista “Baldus” sarebbe uscita per sette anni: 1990-1996.

ma gli esempi sarebbero dozzine. (tutti regolarmente ignorati da editoria e intellettuali mainstream, e da parecchi critici di scarsa – intenzionalmente scarsa – memoria; scarsi anche in termini di sguardo sul presente, se è per questo).

(e infine, e appunto, fra parentesi: la ricerca esiste anche oggi. ma questo è un discorso che affronteremo poi).

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