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sosteniamo la preside annalisa savino, minacciata dal ministro valditara

Sosteniamo la preside Annalisa Savino, minacciata dal ministro Valditara

Priorità alla scuola sostiene Annalisa Savino, minacciata dal ministro Valditara, e lancia una raccolta firme di solidarietà 

In seguito alle dichiarazioni rilasciate oggi dal ministro Giuseppe Valditara, Priorità alla Scuola e tutta la comunità educante che si riconosce nei valori della scuola della Costituzione ringraziano ancora la dottoressa Annalisa Savino, dirigente del liceo scientifico Leonardo da Vinci di Firenze, per il messaggio a studenti e famiglie che ha diramato, il 21 febbraio 2023, in seguito a quanto accaduto davanti al liceo Michelangiolo di Firenze. E le esprimono la loro solidarietà di fronte alle esplicite minacce di provvedimenti disciplinari, scandalosamente lanciate dal ministro durante un’intervista televisiva.

Il ministro che, come tutto il governo in carica, non ha speso nemmeno una parola sull’agguato fascista di sabato 18 febbraio, un episodio gravissimo successo davanti a una scuola pubblica, condanna invece la lettera della dott.ssa Savino.  Il ministro irride la dottoressa Savino perché ha ricordato che il fascismo nasce “ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici […] lasciata a se stessa da passanti indifferenti”. Il ministro sostiene addirittura che a una dirigente scolastica non compete entrare nel merito di queste faccende, di un’aggressione politica avvenuta davanti a una scuola.

A chi competerebbe allora? “Odio gli indifferenti” ricordava la dottoressa Savino in una lettera che letteralmente fa scuola, combattendo anche la “sfiducia collettiva nelle istituzioni” e uno “sguardo ripiegato dentro al proprio recinto”. Una lettera che Priorità alla Scuola ha rilanciato immediatamente, sottolineando che è questa la scuola in cui si riconosce e che vuole, quella aperta, libera e democratica, che rifiuta le frontiere.

Non ci stupiamo che il ministro dei muri di Stato si sia sentito chiamato direttamente in causa da una lettera che invita a lasciare solo chi “decanta il valore delle frontiere, chi onora il sangue degli avi in contrapposizione ai diversi, continuando ad alzare muri”. E sentendosi attaccato, dalla sua posizione ha avuto persino la spudoratezza di chiedere, o intimare, solidarietà.

Di fronte al ministro delle teleminacce, noi non intendiamo lasciare sola la dottoressa Savino, e cominciamo scrivendo per lei, come lei non ci ha lasciato soli e ha scritto per noi nei giorni scorsi. E invitiamo tutta la comunità educante che si riconosce nella scuola antifascista e democratica a unirsi a queste parole sottoscrivendole.

>>>per firmare: https://secure.avaaz.org/community_petitions/it/la_ds_annalisa_savino_sosteniamo_la_preside_annalisa_savino_minacciata_dal_ministro_valditara/

firenze, 18 gennaio: presentazione del carteggio rosselli-salvemini (incontro in presenza e su zoom)

cliccare per ingrandire

Carteggio tra Amelia Pincherle Rosselli e Gaetano Salvemini

Nella loro densa corrispondenza (che copre fondamentalmente il periodo intercorso tra il 1937, poco dopo l’assassinio dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, e la prima metà degli anni Cinquanta), le voci di Amelia Rosselli e di Gaetano Salvemini sono unite da un imperativo comune, “Non ci è lecito mollare”. Esso riprende il monito che aveva dato il nome al primo giornale clandestino antifascista della penisola, fondato nel 1925 dallo stesso Salvemini e dai suoi giovani discepoli. I due protagonisti condividono una missione: difendono la memoria di Carlo e Nello dalle distorsioni che il regime fascista, per depistare le indagini intorno all’assassinio, sta diffondendo sulla stampa in Italia e all’estero, e la coltivano perché venga tramandata in tutta la sua autenticità negli anni a venire. Sorretti da profonda amicizia, Amelia e Gaetano iniziano un complesso “percorso di lavoro” volto a vivificare l’eredità culturale e civile dei due fratelli, a fare chiarezza sui responsabili della loro morte, ad organizzare la raccolta, la cura e la divulgazione dei loro scritti: un’operazione umana e intellettuale di altissimo profilo che si avvale, fra Italia, Europa e Stati Uniti, della fitta rete di rapporti dei Rosselli oltre che del network salveminiano. Il confronto tra Amelia e Gaetano tocca, inoltre, il processo di edificazione dell’Italia repubblicana. Un’esperienza che, nelle sue fasi più critiche, i due amici vissero e condivisero con passione, inquietudine e speranza, fissando riflessioni che si rivelano illuminanti per (ri)leggere, oggi, quella transizione cruciale della Storia dell’Italia contemporanea.

Introduzione di Simone Visciola
Saggio conclusivo di Gigliola Sacerdoti Mariani

http://www.cpadver-effigi.com/blog/non-ci-e-lecito-mollare-carla-ceresa-valeria-mosca/

oggi, 10 maggio, ore 14, su radio onda rossa, per ‘tutta scena teatro’: “viva l’italia. le morti di fausto e iaio”

oggi, martedì 10 maggio 2022, alle ore 14:00
Tutta Scena Teatro ★ Radio Onda Rossa 87.9 fm

VIVA L’ITALIA
le morti di Fausto e Iaio

di Roberto Scarpetti
regia César Brie
con Andrea Bettaglio, Massimiliano Donato, Federico Manfredi, Alice Redini, Umberto Terruso

«Il testo di Roberto Scarpetti non è un documento. È una finzione basata su fatti reali, accaduti non troppo tempo fa. L’autore, nel creare questa finzione, ha reso esemplare un periodo della nostra storia che non si è conclusa ancora, almeno per quanto riguarda la giustizia dovuta alle vittime e i rapporti tra apparati deviati dello Stato e il terrorismo nero», racconta César Brie.
«Gli assassini di Fausto e Iaio non sono stati trovati. Ci sono i nomi e i sospetti, ma non le prove che li inchiodano. Oggi va di moda accusare di tutto i magistrati. I grossi partiti (di destra e di sinistra) sopportano male un potere dello stato indipendente e cercano di controllarlo. Questo lavoro ha cambiato il mio modo di ricordare gli anni tra il ‘75 e l’‘82, in cui gestivo il Centro Sociale Isola, il primo Centro Sociale occupato a Milano. La notte della morte di Iaio e Fausto partecipai alla prima manifestazione spontanea, piena di sgomento e rabbia. Spero che questo lavoro serva a ricordare, a capire, a inquietarci, e aiuti i più giovani a capire cosa accadeva in questo Paese quando i loro genitori erano ragazzi».

https://archive.org/details/viva.l.italia (1h 27′)
info https://www.elfo.org/spettacoli/2017-2018/viva-litalia.htm

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da radio popolare: “la procura di roma apre un fascicolo per la morte di abdel latif” / “l’orrore dei centri di permanenza e rimpatrio in italia”

“La Procura di Roma ha aperto un fascicolo per la morte Abdel Latif, morto a soli 26 anni, lo scorso 28 novembre, nel reparto psichiatrico dell’Ospedale San Camillo di Roma. Arrivato in Italia dalla Tunisia, si trovava nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Ponte Galeria dal 13 ottobre. Era legato da 3 giorni ad un letto, dopo il ricovero per una presunta condizione di disagio psichico. I suoi compagni denunciano che era stato picchiato dalla polizia dopo aver fatto uscire alcuni video col cellulare per denunciare le condizioni di vita nei CPR, dove vengono rinchiusi migranti in attesa dell’eventuale rimpatrio. Ci sono molti punti da chiarire, dice il garante nazionale dei detenuti e quello del Lazio, Stefano Anastasia”.

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L’orrore dei Centri di Permanenza e Rimpatrio in Italia

(di Guglielmo Vespignani)

Luoghi non pensati, dove la permanenza in essi segue le sorti di un ‘effetto collaterale’, che si vorrebbe evitare. Il garante nazionale delle persone private della libertà aveva definito così i Centri di Permanenza e Rimpatrio nell’ultimo rapporto pubblicato sulle visite effettuate tra il 2019 e il 2020. E la morte di Wissem Ben Abel Latif a Roma ha riacceso le luci sull’orrore dei CPR in Italia.

Strutture fatiscenti, gabbie pollaio, malagestione sanitaria, suicidi. Ed anche recenti inchieste giudiziarie hanno fatto emergere una fotografia spaventosa di come lo Stato opera e di come tratta con persone che spesso non hanno niente, e che sono nelle sue mani.

A metà maggio la morte di Mussa Balde, 23 anni, suicidatosi in isolamento al CPR di Torino dopo essere stato dimesso dall’ospedale di Bodighera. Era la sesta morte di migranti ospitati nei centri in Italia dal 2019: prima di lui due ragazzi a Gradisca d’Isonzo, uno a Caltanissetta, uno a Brindisi e un altro ancora all’Ospedaletto del CPR di Torino.

Sulle condizioni di questo centro, l’anticipazione della perizia della Procura di Torino, eseguita nell’ambito dell’inchiesta per omicidio colposo di Balde, che vede tra gli indagati il medico e il direttore della struttura, riporta gravi inadempienze gestionali, sopratutto sul piano sanitario.

Proprio l’aspetto più delicato del rapporto con chi viene rinchiuso nei CPR è quello più carente. La denuncia dell’associazione studi giuridici sull’immigrazione nel Libro Nero del CPR di Torino, che segnalava come nella struttura non era entrato neanche un medico nei primi dieci mesi di pandemia, inquadra perfettamente il contesto nel quale, negli ultimi mesi, si è assistito a decine di tentativi di suicidio, di cui sei in un solo giorno, il 23 novembre scorso.

“Simulazioni” le definisce il sindacato di polizia siulp, che parla di 110 suicidi messi in scena da parte dei migranti per far sì di ottenere il ricovero e una possibile liberazione. Ma è anche il comportamento di alcuni agenti di polizia ad essere sottoposto ad indagine a Torino: cinque di loro, tre agenti semplici e due graduati, sono infatti finiti nello stesso fascicolo del medico e del direttore.

— Radio Popolare

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n.b.: “simulazioni”! ammesso e niente affatto concesso che si tratti di simulazioni, il siulp se lo domanderà come mai qualcuno arrivi a simulare un suicidio per poter accedere a una visita medica? e il fatto che nessun medico entri in un cpr, a virus in circolazione, per dieci mesi interessa a qualcuno in qualche modo oppure si tratta di normale amministrazione carceraria?

L’antifascismo non si arresta (aggiornamento sul processo di Modena)

20 LUG 2021 —

Il 16 luglio, presso il Tribunale di Modena è stata pronunciata l’attesa sentenza di primo grado del processo a carico delle/dei 26 antifascistə che nel 2017 contestarono pacificamente un presidio di Forza Nuova a Carpi.
Il Giudice Francesco Cermaria ha innanzitutto condannato a 6 mesi di arresto e 2 mila euro di ammenda un compagno per aver impugnato per qualche secondo un moschettone (normalmente utilizzato come portachiavi) come deterrente di fronte all’improvvisa aggressione dei forzanovisti.
A lui va la nostra piena solidarietà. Solidarietà che si concretizzerà fin da subito con la copertura delle spese legali per ricorrere in Appello.
Ribadiamo forte e chiaro: nessuno resta solo di fronte alla repressione!
Poi, 5 minuti di teatro dell’assurdo: Cermaria è riuscito a demolire la linea d’accusa proposta dalla Pm ignorandone il principale capo d’imputazione, ovvero l’aver preso parola durante una manifestazione non autorizzata (comma 3 dell’art. 18 TULPS), coprendo di ridicolo l’intera Procura di Modena e trascinandola in un nuovo teorema giudiziario a dir poco grottesco con ipotesi di reato ancora più gravi e pene ancora più pesanti.
In un delirio repressivo quella che è stata una contestazione pacifica – in cui il dissenso verso chi propaganda odio razziale e xenofobo è stato espresso attraverso canti della Resistenza e slogan – diventa un’adunata sediziosa armata con lo scopo di sovvertire l’ordine pubblico (art. 655 del Codice Penale, arresto fino a 1 anno e comunque non inferiore a 6 mesi).
A tutte le 26 persone coinvolte vengono inoltre imputate grida sediziose o lesive del prestigio dell’autorità (art. 20 TULPS), oltre che il rifiuto di obbedire all’ordine di discioglimento della manifestazione (art. 24 TULPS, arresto da 1 mese a 1 anno e ammenda fino a oltre 400 euro).
Per due compagni le ipotesi di reato prevedono anche porto di armi o oggetti atti ad offendere (art. 4 della L. 110/75, arresto da 3 a 6 mesi e ammenda fino a 20 mila euro). Elemento – quest’ultimo del possesso di armi – del tutto inedito, mai emerso né dalle indagini del Gip né da quelle della Pm e nemmeno da precedenti udienze.
Attendendo le motivazioni della sentenza per capire quali fossero queste famigerate armi, ci preme porre l’accento su altri elementi che aiutano a comprendere l’assurdità della questione.
Stupendoci con effetti speciali, tra i/le 26 antifascistə per i quali sono ipotizzati i suddetti capi d’accusa continua a figurare un ragazzo che, come emerso in fase di udienza, la sera del 4 agosto 2017 non si trovava in Via Marx a Carpi e che è stato erroneamente identificato mediante confronto tra i filmati della Digos e il suo documento d’identità risalente a svariati anni prima.
In ultimo, tra tuttə coloro che da testimoni hanno confermato di aver partecipato alla contestazione, l’unica ad essere inserita nell’elenco dei/delle 26 è colei che ha anche ammesso di aver intonato canti della Resistenza, in particolare “Bella Ciao”.
Il canto continua quindi ad essere una discriminante nel definire i/le partecipanti alla presunta adunata sediziosa ARMATA.
Il quadro che emerge, che da un lato non può che lasciare allibiti, non è che la conferma di ciò che andiamo dicendo da tempo: in un Paese che si è dotato di una Costituzione che poggia le basi su valori e ideali della Lotta di Liberazione dal nazifascismo è vergognoso che Questure e Prefetture continuino a legittimare gruppi o partiti dichiaratamente neofascisti concedendo loro agibilità politica e spazi pubblici, mentre Procure e Tribunali si accaniscano contro gli antifascistə ricorrendo agli articoli del TULPS e del Codice Penale ereditati rispettivamente dal Regio Decreto del 1931 e del Codice Rocco di epoca fascista.
Un accanimento giudiziario sempre più palese che non può lasciare indifferente chiunque si riconosca in quei valori e ideali dell’antifascismo.
Come assemblea #lantifascismononsiarresta rinnoviamo l’impegno ad alimentare ed allargare quella rete solidale sempre più ampia e variegata costruitasi negli anni intorno alle persone coinvolte in questo assurdo e rocambolesco processo, rivendicando le pratiche dell’antifascismo militante.
In un clima da Ventennio fascista continuiamo a Resistere.
Continuiamo a contrastare con ancora più forza e ostinazione ogni fascismo e ogni discriminazione, continuiamo a lottare unitə contro la repressione di Stato.
Se ne faccia una ragione la Magistratura tutta: qui non si arretra di un millimetro!
L’ANTIFASCISMO NON SI ARRESTA!

Luglio 1960 / Carlo Bordini

Nel 1960 ci fu un tentativo di instaurare in Italia un governo di destra, il governo Tambroni. Era un monocolore democristiano appoggiato dai neo fascisti dell’MSI. Questo governo voleva essere una risposta a una ripresa operaia che era cominciata in Italia nell’anno precedente, e che si esprimeva in una forte ripresa degli scioperi dopo gli anni bui del dopoguerra.

Il governo Tambroni si caratterizzò subito per provvedimenti illiberali (divieto di alcune manifestazioni e di alcuni comizi) e in questo clima fu permesso ai neofascisti, che si erano ricostituiti in partito da poco, di tenere un loro congresso a Genova.

Ora, Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, era una città antifascista sul serio. C’erano ancora i partigiani che quindici anni prima avevano cacciato i tedeschi dalla città. Si fece una grande manifestazione a cui parteciparono partigiani, portuali e la base del partito comunista. La polizia cercò di disperdere la manifestazione e ne nacque una grande battaglia in cui i portuali, gente molto dura, sconfissero nettamente la polizia. Molti poliziotti furono feriti e a molti di loro furono sottratte le armi. Questo avvenne il 30 giugno. La sera di quel giorno i partigiani tornarono ad accamparsi in montagna, nelle colline intorno a Genova, e accesero fuochi che si vedevano dalla città. Da questo episodio nacque l’insurrezione del Luglio 60.

Vi furono manifestazioni in tutta Italia. La polizia sparò e uccise diversi manifestanti. A Roma i partigiani furono caricati dalla polizia a cavallo. L’insurrezione si propagò da città a città, da notizia a notizia. Dopo alcuni giorni i sindacati indissero uno sciopero generale. Il governo Tambroni si dimise e da allora cominciò in Italia la lunga serie dei governi di centrosinistra che bene o male dettero all’Italia una democrazia più o meno normale.

Si tratta dunque di un episodio fondamentale nella storia recente italiana. Se non ci fosse stata la reazione di Luglio 60 la storia sarebbe stata molto diversa: l’Italia sarebbe tornata a una forma di fascismo strisciante e mascherato. I nuovi governi di centro sinistra non fecero miracoli, ma nazionalizzarono l’energia elettrica, fecero una riforma agraria che portò alla scomparsa della mezzadria e alla formazione di una vasta piccola proprietà contadina. Le lotte sindacali e politiche si svilupparono in un clima relativamente permissivo.

Luglio 60 non fu organizzato dal Partito Comunista. Nacque spontaneamente e si diffuse spontaneamente. Vi partecipò la base del PCI, ma il partito non prese mai una posizione netta. Non diresse le lotte. I giornali del PCI facevano articoli di fuoco che suscitavano la rabbia e l’indignazione, ma non davano indicazioni di lotta. La gente si riuniva, discuteva e partecipava.

Il PCI fece molta retorica sui “giovani dalla maglietta a strisce” che avevano partecipato a Luglio ’60 e salvato la democrazia, ma pian piano la cosa venne dimenticata. Nessuno ne parlò più. Nessuno si riferì più a quel periodo. Oggi nessuno ne sa nulla.

Luglio ’60 non diventò un punto di riferimento per nessuna forza politica. Non se ne parlò più, né per esaltarlo né per esecrarlo. Credo che questo dipenda dal fatto che fu un movimento che sfuggì di mano a tutti, e che potrebbe diventare un esempio pericoloso. Fu utilizzato e messo in disparte: sarebbe invece opportuno, oggi, ricordarne l’esistenza.

Post scriptum. Quando questo avvenne io avevo 22 anni. Non ho nulla da cambiare a quanto ho scritto, ma voglio aggiungere una considerazione: se non ci fosse stata la sinistra democristiana, che si alleò coi socialisti, e formò il centro-sinistra, l’esito della vicenda sarebbe stato diverso.

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[da una mail circolare, con fotografie, di Carlo Bordini, 1 agosto 2018] _

bloccati i fondi per il monumento a graziani

La regione Lazio (nella figura del neopresidente Nicola Zingaretti) ha bloccato i finanziamenti per la costruzione del monumento della vergogna al criminale di guerra Rodolfo Graziani.

Io (come te del resto) mi sono sentita male per quel quel monumento dedicato al gerarca fascista. Non potevo tollerare un affronto simile alla mia regione, al mio paese e alla Costituzione repubblicana. Dai tempi dell’inaugurazione di questa oscenità stavo male e mi impegnavo per il suo abbattimento o riconversione. Poi ho lanciato questa petizione su Change.org ed una battaglia di pochi si è trasformata nella battaglia del paese.

Igiaba Scego
via Change.org

una petizione da firmare (da igiaba scego)

petizione

Lo scorso anno ad Affile, in provincia di Roma, è stato inaugurato un “sacrario” militare al gerarca fascista Rodolfo Graziani. Costruito con 130mila euro erogati della Regione Lazio, il monumento è dedicato ad uno tra i più feroci gerarchi che il fascismo abbia mai avuto. Si macchiò di crimini di guerra inenarrabili in Cirenaica ed Etiopia; basta ricordare la strage di diaconi di Debra Libanos e l’uso indiscriminato durante la guerra coloniale del ’36 di gas proibiti dalle convenzioni internazionali. La United Nation War Crime collocò Graziani al primo posto nella lista dei criminali di guerra.

Questo monumento è un paradosso tragico, una macchia per la nostra democrazia, un’offesa per la nostra Costituzione nata dalla lotta antifascista.

In questi ultimi giorni, i neoparlamentari Kyenge, Ghizzoni e Beni hanno depositano un’interpellanza affinché il Governo si pronunci sulla questione di Affile.

Io in qualche modo legandomi alla loro iniziativa chiedo a lei, Presidente Zingaretti una presa di posizione concreta su questo monumento della vergogna. Non solo parole, ma fatti che possono far risplendere un sole di democrazia in questa Italia che si sta avviando a celebrare il 68° anniversario del 25 Aprile.

Mi chiamo Igiaba Scego, sono una scrittrice, figlia di somali e nata in Italia. Mio nonno è stato interprete di Graziani negli anni ’30, era suddito coloniale, subalterno, costretto a tradurre, suo malgrado, l’orrore.

Ora chiedo a lei, Presidente Zingaretti un impegno concreto su questa questione cruciale di democrazia e in occasione del 25 aprile una chiara dichiarazione d’intenti contro questo monumento della vergogna. 

Grazie,

Igiaba Scego via Change.org

https://www.change.org/it/petizioni/nicola-zingaretti-no-al-monumento-per-ricordare-un-criminale-di-guerra-fascista-stragista-del-colonialismo-25aprile

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