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[r] _ rinascono i pompieri | ovvero: va bene non ereditare l’anarchia, ma addirittura entrare in seminario… / differx. 2021

Diciamo che quando nel 2002-2004 io e altri abbiamo iniziato a pubblicare alcune cose, e nel 2005-2007 (anche con Roberto Cavallera e Riccardo Cavallo) abbiamo moltiplicato i blog di materiali sperimentali, nel 2006 fondato gammm, e nel 2009 pubblicato Prosa in prosa, eccetera, insomma, ecco, è un po’ come se avessimo rovesciato non pochissimi altari (e altarini) delle iconiche & malinconiche vecchie buffe divinità pretesche del mainstream letterario. Non voglio certo dire che la scossa sia stata superiore al settimo grado della scala Balestrini, ma parecchie suppellettili sono pur cadute; e qualche natica ha poco onorevolmente smarrito la cadrega, picchiando il morbido e l’osso sull’assito della scena.

Tranquilli però: i draghetti Grisù della Letteratura Come si Deve si sono allertati subito. È da dopo il 1961-63, con le mazzate che presero per circa un decennio, che vescovi e prelati della pettinatissima ortodossia della poesia da scaffale hanno approntato le loro Stay Behind, introiettato gladiette, accademiche o extra. Del resto la distribuzione è loro (di chi li ospita, meglio), e dalle librerie tutti gli eslege sono stati ramazzati via nell’ultimo ventennio. Quindi?

Quindi ciò che si vede e legge in giro negli ultimi anni, diciamo dopo il primo decennio del secolo novo, ciò che si pubblica o si mette in rete e che rispettosamente ascolto (iuxta akusmatica principia) e osservo, quando mi lascia esterrefatto di solito ha due caratteristiche: o riprende il mainstream medesimo esattamente dove questo (non) si era interrotto, ossia all’altezza degli egotismi confessional degli anni Settanta-Ottanta, serenamente proseguiti senza intoppi grazie all’editoria e distribuzione generaliste di cui sopra; o – pur riallacciandosi contenutisticamente alle tradizioni fuorilegge degli anni Settanta e precedenti – salta a piè pari gli anni Zero,  si cancella il sorriso dalla faccia, e anzi olia e rimette in sesto i medesimi altari leggii moccoli paramenti libri e insomma tutti gli aggeggi sacri che (facendo leva proprio su una tradizione della ricerca letteraria assorbita da un generoso secondo Novecento) noi avevamo invece smontato, ironizzato, sovrascritto, coperto di spray, con l’idea non di buttarli ma di predarli, rifunzionalizzarli, e – certo – cancellarne alcuni, facendo e inventando (sempre noi) altro.

§

Praticamente dal 1961, minuto più minuto meno, chi – in gruppo o isolato – ci ha preceduto nella sperimentazione ha iniziato a sgangherare quei turiboli e scolarsi il vino del prete, e la mia generazione poi (con l’ondivago appoggio di quella di mezzo) ha continuato l’opera, … per vedere infine cosa? Per arrivare a vedere – oggi 2021 – tanti giovani e giovanissimi riprendere quei medesimi turiboli e calici, assumerli alla lettera, e ricelebrare la messa tale e quale. Riaprendo non (solo) il confessional ma – direttamente o indirettamente – i confessionali.

Mi prendo giusto cinque minuti di sconforto e poi ci rifletto su. Intanto vado un attimo ad aprire la porta alla depressione, che bussa.

A dopo.

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post-1968 o post-1974? forse la domanda ha senso

leggere questa intervista ad Elisa Donzelli è a mio avviso importante, per vari motivi, anche come addendum non secondario a un suo precedente intervento, che si può trovare qui: https://t.ly/sTgY.

tuttavia segnalo, allo stesso tempo, un punto di dubbio per me cruciale, non solo in riferimento a un discorso sulla poesia contemporanea.

riguarda l’idea di una possibile uniformità o somiglianza di identità (e di biografie) tra autori  “nati dopo il ’68”.

ecco: sono convinto del fatto che (soprattutto se si stringe il focus sul versante politico e sul rapporto tra vicenda collettiva e imprinting individuale, e tra questi e una qualsiasi attività linguistica orale e scritta intesa alla produzione di senso) l’onda lunga di una generazione ancora politicamente connotata continua, a mio avviso, almeno fino al 1974. (come scrivevo in 6070).

ovvero: sostituirei a “i nati dopo il 1968” l’espressione “i nati dopo il 1974”.

e mi spiego: fino almeno al 1974, in linea di massima, chi nasceva sarebbe stato (volente o nolente) esposto, negli anni della sua maggiore plasticità e sensibilità (proprio neuronale), a situazioni estremamente diverse, radicalmente diverse, rispetto a quelle che avrebbero vissuto i nati negli anni successivi. (non voglio con questo stabilire una barriera netta & adamantina, né deterministica, ma solo identificare un terminus post quem, che so arbitrario come tutte le schematizzazioni, spostato in qua di almeno cinque-sei anni rispetto al ’68).

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chi ha formato il proprio lessico e le proprie strutture mentali di base nell’amnio avvelenato dei pieni Ottanta (diciamo dal 1984, anno scelto non a caso: cfr. https://t.ly/MlXa e https://t.ly/P98e) ha avuto a che fare con un mostro di non poco conto.

diversamente, chi giocoforza, per anagrafe, ha vissuto la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta da preadolescente o adolescente, critico [magari pure clinico-disturbato] e pieno di insofferenze e rifiuti, e quindi politicamente nemico del proprio tempo, magari in sodalizio (eccome!) con compagn* di riflessione e azione politica [magari esplicitatesi, queste azioni, con la Pantera nel 1990], non può in nessun modo essere accostato con troppa facilità a chi, bambino, è stato letteralmente aggredito e sommerso dal contesto del decennio maledetto, e dalle radiazioni delle nascenti tv private in Italia, oltre che dall’aria di “normalità” della corruttela craxiana che le ha fatte prosperare.

[da non dimenticare, poi: il 1990 di Ruberti è anche l’anno della legge Mammì, e della rivelazione dell’esistenza di Gladio. ergo, l’adolescente inquieto di metà anni Ottanta non poteva non essere – parlo da testimone, non voglio per forza fare autobiografia – un adulto infuriato, nel 1990]

senza parlare del clima politico mondiale.
ovvio, credo. inutile nominare i due criminali di spicco, targati ’80: Tatcher, Reagan. chi già era politicamente insofferente, oltre che ormonalmente fibrillante (!), nel tempo dell’ascesa del liberismo scatenato, non poteva in nessun modo accettare la deriva post-1980, fosse pure nella mera forma estetica. chi invece era bambino, difficilmente era in grado di non assorbire le tossine del decennio. anche linguistiche. drogate, sedative.

(per altro fatte proprie e rilanciate dall’editoria di grande distribuzione, che in libreria mandava e promuoveva solo e soltanto gli autori di cui parlavo qui: https://slowforward.net/2022/02/21/poesia-per-il-pubblico-a-k/). (chi compiva 20 anni nel 1990, aveva trovato nell’adolescenza e trovava ancora in libreria testi che, meno di dieci anni dopo, cioè entro il 1999 e prima, la distribuzione generalista, la protervia o pavidità dei direttori di collana e l’editoria dell’ormai maturo riflusso [nonché – perché no? – il primo quinquennio forzitaliota] avrebbero spazzato via dagli scaffali).

in conclusione.
per il bambino del 1980-90 la ribellione sarebbe (forse) arrivata dopo.
bon.
ma, nello stesso decennio, per l’adolescente o giovane adulto veniva vissuta già e ancora (per quanto con difficoltà e diversità rispetto a chi aveva fatto il ’77) dentro quel periodo storico, in conflitto, e con un insieme di esperienze e impressioni (e imprinting, sì) stabilmente presenti ormai, in termini di formazione individuale/collettiva. era insomma una inquietudine fattiva possibile, praticabile e praticata: esisteva. 

così come in letteratura, negli stessi anni, nonostante tutto, esisteva la ricerca (letteraria).

(e non solo perché ne scriveva Antonio Porta: https://slowforward.net/2022/08/20/ricerca-letteraria-spazio-di-ricerca-antonio-porta-1983/).

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nel 1984 nascevano “L’ombra d’Argo” e “l’immaginazione”, per dire.
nel 1989 si stampava Poesia italiana della contraddizione, per dire.
la rivista “Baldus” sarebbe uscita per sette anni: 1990-1996.

ma gli esempi sarebbero dozzine. (tutti regolarmente ignorati da editoria e intellettuali mainstream, e da parecchi critici di scarsa – intenzionalmente scarsa – memoria; scarsi anche in termini di sguardo sul presente, se è per questo).

(e infine, e appunto, fra parentesi: la ricerca esiste anche oggi. ma questo è un discorso che affronteremo poi).

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rinascono i pompieri | ovvero: va bene non ereditare l’anarchia, ma addirittura entrare in seminario… / differx. 2021

Diciamo che quando nel 2002-2004 io e altri abbiamo iniziato a pubblicare alcune cose, e nel 2005-2007 (anche con Roberto Cavallera e Riccardo Cavallo) abbiamo moltiplicato i blog di materiali sperimentali, nel 2006 fondato gammm, e nel 2009 pubblicato Prosa in prosa, eccetera, insomma, ecco, è un po’ come se avessimo rovesciato non pochissimi altari (e altarini) delle iconiche & malinconiche vecchie buffe divinità pretesche del mainstream letterario. Non voglio certo dire che la scossa sia stata superiore al settimo grado della scala Balestrini, ma parecchie suppellettili sono pur cadute; e qualche natica ha poco onorevolmente smarrito la cadrega, picchiando il morbido e l’osso sull’assito della scena.

Tranquilli però: i draghetti Grisù della Letteratura Come si Deve si sono allertati subito. È da dopo il 1961-63, con le mazzate che presero per circa un decennio, che vescovi e prelati della pettinatissima ortodossia della poesia da scaffale hanno approntato le loro Stay Behind, introiettato gladiette, accademiche o extra. Del resto la distribuzione è loro (di chi li ospita, meglio), e dalle librerie tutti gli eslege sono stati ramazzati via nell’ultimo ventennio. Quindi?

Quindi ciò che si vede e legge in giro negli ultimi anni, diciamo dopo il primo decennio del secolo novo, ciò che si pubblica o si mette in rete e che rispettosamente ascolto (iuxta akusmatica principia) e osservo, quando mi lascia esterrefatto di solito ha due caratteristiche: o riprende il mainstream medesimo esattamente dove questo (non) si era interrotto, ossia all’altezza degli egotismi confessional degli anni Settanta-Ottanta, serenamente proseguiti senza intoppi grazie all’editoria e distribuzione generaliste di cui sopra; o – pur riallacciandosi contenutisticamente alle tradizioni fuorilegge degli anni Settanta e precedenti – salta a piè pari gli anni Zero,  si cancella il sorriso dalla faccia, e anzi olia e rimette in sesto i medesimi altari leggii moccoli paramenti libri e insomma tutti gli aggeggi sacri che (facendo leva proprio su una tradizione della ricerca letteraria assorbita da un generoso secondo Novecento) noi avevamo invece smontato, ironizzato, sovrascritto, coperto di spray, con l’idea non di buttarli ma di predarli, rifunzionalizzarli, e – certo – cancellarne alcuni, facendo e inventando (sempre noi) altro.

§

Praticamente dal 1961, minuto più minuto meno, chi – in gruppo o isolato – ci ha preceduto nella sperimentazione ha iniziato a sgangherare quei turiboli e scolarsi il vino del prete, e la mia generazione poi (con l’ondivago appoggio di quella di mezzo) ha continuato l’opera, … per vedere infine cosa? Per arrivare a vedere – oggi 2021 – tanti giovani e giovanissimi riprendere quei medesimi turiboli e calici, assumerli alla lettera, e ricelebrare la messa tale e quale. Riaprendo non (solo) il confessional ma – direttamente o indirettamente – i confessionali.

Mi prendo giusto cinque minuti di sconforto e poi ci rifletto su. Intanto vado un attimo ad aprire la porta alla depressione, che bussa.

A dopo.

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