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un microframmento dall’esecuzione di “the great learning” – paragraph 7, di cornelius cardew (roma, t293 gallery, 3 set. 2019)

THE GREAT LEARNING; PARAGRAPH 7, di Cornelius Cardew

Installazione sonora per un numero imprecisato di voci non educate,
a cura di Luca Venitucci, Galleria T293, via Ripense 6, Roma
3 settembre 2019

un brevissimo frammento:

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“narrenschiff”: curran, neto, bellatalla, ariano (un video)

[youtube=http://youtu.be/FS3ItpkIWJg]

Estratto dal concerto del 27 marzo 2013: Roma, Teatro Tor di Nona
Alvin Curran / tastiera elettronica
Alipio C. Neto / sassofono tenore e soprano curvo
Roberto Bellatalla / contrabbasso
Marco Ariano / batteria, percussioni

http://slowforward.wordpress.com/2013/03/23/narrenschiff-curran-neto-bellatalla-ariano-_-il-27-marzo-al-tor-di-nona_-h-2130/

 

vlak

VLAK is an enormous hardback journal that acts as an international curatorial project with a broad focus on contemporary poetics, art, film, philosophy, music, science, design, politics, performance, ecology, and new media. VLAK aims to house work which explores the ramifications of contemporary culture and attempts to showcase new critical and creative methods, while driving to experiment, to synthesise, to extend—holding to the principle that a vital culture is always experimental. The journal is published annually and is connected to the people behind Equus press and the Prague microfestival.

http://vlakmagazine.wordpress.com/   http://vlakmagazine.blogspot.co.uk/

Issue 4 of VLAK will focus, apart from open, original work, on the concept of “underground cinema” – anything alternative to mainstream production, documentaries, socio-political investigative work, visually experimental stuff.

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L’ormai attestata egemonia degli autori sperimentali in Italia

È vero: il racket degli illeggibili detiene ed esercita un duro potere: radio, cinema, teatro, jets, premi, tutti i premi, liquori costosi, tirature planetarie; e intanto, i leggibili e validi languono, appartati nelle loro soffitte, con mano scarna e tremula vergano le loro storie educative, ed ogni inverno muoiono come le mosche e, non fosse la pietas dei parrocchiani, li seppellirebbero nelle fosse comuni.

Giorgio Manganelli, La letteratura come mafia, in “Quindici”, n. 9 (mar.-apr. 1968;
poi in Quindici, Feltrinelli, Milano 2008, p. 209)



Qua e là in siti web e riviste di letteratura si legge che la scrittura sperimentale, e specialmente la poesia di ricerca, sarebbe “egemone” nel nostro paese.

Trovo sia assolutamente fondato. A fatica la mattina mi faccio strada, in tram, fra gente che tiene ostentatamente aperto davanti a sé “il verri”; alcuni per tutto un viaggio in bus godono a infastidirti urlando al cellulare i propri progetti di traduzione di testi di Robert Smithson, di Kaprow, di Morris. Altri cianciano di Gysin. Viene la nausea. Cosa vogliono? Si ha la sensazione di essere circondati. Si ha questa sensazione, ogni giorno.

Non se ne può più di questi bestseller del cutup. Così come trovo “indegno di un paese civile” (credo si dicesse così, prima che gli Egemoni bandissero espressioni simili) che in edicola con il Corsera + 5 euro diano addirittura libri di Robbe-Grillet, ristampe di Isgrò, di Arno Schmidt. Basta con le prose brevi di Beckett, coi saggi su Christian Dotremont, su Gallizio.

Da Feltrinelli è letteralmente impossibile entrare senza imbattersi in scaffali e scaffali fitti di Costa, Niccolai, Cacciatore, Porta, Cagnone, Mesa, Pizzi, Toti, Reta, Beltrametti, Vicinelli, Spatola, Villa. Praticamente non ti puoi girare da nessuna parte. Villa e Burri, Burri e Villa; e Fontana. È un martellamento senza fine.

In prima e seconda serata sui teleschermi delle tv nazionali e private si sprecano ore sui cento anni di Duchamp. O sulla poesia visiva italiana degli anni Sessanta e Settanta, sui suoi rapporti con Noigandres; in radio ci decantano Blue Lion Books, il neodada, l’assurdismo, Pierre Alferi, Tao Lin, la sperimentazione a Firenze oggi, il Mulino di Bazzano ieri. Continue monografie su Julien Blaine. Su Tom Raworth. I media sono in una morsa. E il 90% del mercato librario italiano è in mano al monopolio Camera verde. Anche Mondadori cede. È di oggi l’annuncio della pubblicazione del meridiano di Lucio Saffaro.

Tentano di stare al passo.

In tv la domenica a pranzo, e nei vari inserti dei quotidiani nazionali considerati maggiori, in manifesti in discoteca, sui mezzi pubblici, nelle aule di tribunale, alla posta, per strada, per proclami pubblicitari, fin nei fogli delle messe sui banchi delle chiese, praticamente ovunque, fioccano adesivi situazionisti, valigette fluxus, traduzioni da Tarkos, da Gleize, da Bernstein, da Hejinian, non si fa che ciarlare di Langpo e Flarf, riandando penosamente a quella piovra dell’Oulipo. La versione italiana dell’antologia In the American Tree, di Ron Silliman, tradotta abbastanza tempestivamente già sul finire degli anni Ottanta da ben tre majors editoriali italiane in concorrenza, è arrivata alla ventesima ristampa. Caso più recente: le traduzioni einaudiane dei due celebri testi di Jean-Michel Espitallier, l’antologia Pièces détachées e la serie di saggi Caisse à outils, non mollano la cima delle classifiche, ormai da mesi. Non si parla d’altro. I nostri figli a scuola imparano Pagliarani a memoria. La corruzione è senza freno. Dilaga in Vaticano, addirittura. È agli ultimi colpi di lima l’enciclica di Benedetto XVI, Manent experimenta verbis, fili. Indirizzata a Nanni Balestrini.

Non c’è corsivista ed editorialista televisivo o radiofonico che non abbia pile e pile di cd di files scaricati da (o riferibili a) Ubuweb, PennSound, EPC. Sono questi i materiali che dettano il ritmo dei rotocalchi, delle colonne di terza e addirittura di prima pagina, dei mensili, dei settimanali più forti anche politicamente.

Si può dire che Rizzoli, Mondadori e Einaudi, per tacere di Bompiani, siano totalmente proni a questa deriva, a questo flusso di sperimentalismo. Non stampano che autori POL, Bleu du ciel e Green Integer. Le copertine sono da decenni ormai tutte affidate o a Magdalo Mussio o agli statunitensi ed europei che fanno nuova poesia verbovisiva o asemic writing. Dove sono finite le belle copertinacce kitsch di una volta, con i rami contorti se il libro è un horror, e le tinte pastello se è un rosa? Apocalisse. Sono finiti i gialli, non ci sono più giallisti, dove sono i giallisti? C’è ancora qualcuno che scrive un giallo in questo paese? Dove siete spariti tutti?

Si deve tornare alla normalità. A un qualche ordine. Come abbiamo potuto tollerare che si sia dedicato un intero paginone di Repubblica a Jeff Derksen e alla Kootenay School of Writing? Siamo alla follia. Gli editori Arcipelago e Camera verde stanno stracciando le vendite di Garzanti, Marsilio e Guanda messi insieme. Siamo a un testa a testa. Gli ex colossi non ce la fanno a tenere il campo. Tentano con ogni manovra di sottrarre spazio ed autori alle edizioni indipendenti ma egemoni. Fioccano contratti a cinque e sei zeri per autori di poesia di ricerca.

Infamanti siti come www.gammm.org sono al centro di convegni e antologie, i suoi autori scalano le classifiche dello Strega, del Campiello, del Viareggio. Non c’è incontro pubblico, specie in sedi prestigiose e in facoltà italiane drammaticamente munifiche di sovvenzioni, in cui i redattori di gammm non siano invitati a parlare, a raccontare balle sulle loro insulse traduzioni, a discettare di poesia contemporanea fingendo di lamentarsi di una disattenzione che non esiste. Scandaloso, “è semplicemente scandaloso”. Un incubo; è come chiedere un caffè, alzare gli occhi, e vedere che a sorriderti non c’è il barista ma Wittgenstein.

Non sei più sicuro di niente.