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oggi sul “manifesto”: recensione a G.Marzaioli, “Voci di seconda fase” (e “Fusione di terza fase”)

oggi sul “manifesto” (p. 11)

Giulio Marzaioli, brevi prose fuori sincrono


Le prose di Voci di seconda fase, che Giulio Marzaioli pubblica nella collana ChapBook delle edizioni Arcipelago (pp. 28, euro 3), fanno riferimento al progetto – appunto in «fasi» – iniziato dall’autore con la plaquette Moduli di prima fase (La camera verde)…

http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/in-edicola/manip2n1/20111122/manip2pg/11/manip2pz/313733/

Quattro categorie più una: “loose writing”

Come esistono spostamenti del continente “testo narrativo”, quando accade che blocchi interi di romanzi, o famiglie di autori, che nel tempo e con lo smarginarsi o vicendevole divorarsi delle teorie fanno massa coesa o si disintegrano e – in una ideale deriva dei continenti alfabetici – assumono una diversa configurazione in quello che pensiamo essere un buon rilievo cartografico delle scritture, così si può dire che le teorie stesse, scogliere intere di definizioni, rupi di criticism, possono compattarsi, franare, emergere, collidere (non nella realtà-realtà, fortuna vuole; sì nella più concreta realtà dei segni che ci costruiamo, a proposito della realtà-realtà).

A questo proposito – con io meno critico che autoriale – vorrei suggerire (o dire che vedo, vedrei, penso di vedere) proprio un conflittuale compattamento.

In questi tempi vedo, osservo – e suggerisco – il darsi di una imperfetta ma forse non infelice unione tra categorie o schegge di generi che, considerate poi singolarmente, possono anche non aver ricevuto di fatto una organizzazione e definizione condivisa, ed essere al limite in movimento, addirittura “all’avanguardia”, o perfino di là da venire, in sostanza inespresse. E tuttavia, ancora non espresse e allineate dai critici in elenco, unirsi. Si uniscono. O possono esser passibili di presentazione di gruppo.

Allora ne assommo / accorpo / unisco – o vedo unite – cinque, ora:


– new sentence (Silliman)

– prosa in prosa (Gleize)

– googlism, flarf (Mohammad)

– scrittura concettuale (Goldsmith)

 loose writing

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Taluni schiarimenti [rinvio di] (R)

Spesso si dice o sento dire (ovviamente “nel guscio chiuso-costante delle allucinazioni autoindotte” di cui soffro, sibilerebbero gli antifan della scrittura di ricerca) che la scrittura di ricerca (appunto) è

principalmente vòlta a un’attenzione al linguaggio

Ebbè. Alzo un cartello: “Qui si basisce”.

Già. Perché, con subitanea chute di tutto il possibile, a tanto squillo araldico sonato da voci critiche anche solide o solidificàntisi, sorge dubium tosto:

se uno che parla
ossia usa la lingua per parlare
non ha attenzione al linguaggio
a che cosa ha attenzione?

[varianti varie: dovrebbe avere, avrebbe, avrà]

E, in subordine:

Cosa mai diamine ha a che fare una scrittura come quella asemantica di Accame o come quella iperlimpida di Tarkos o di Börjel o di Frisch o di Isgrò o di Haack o di Kunz o di Tao Lin con quella sorta di compulsiossessione “per il linguaggio” [complicaaato, sì; e: bruuutto, sì] che a detta dei deTTrattori convulsiverebbe le giornate e le cortecce dei redattori di gammm.it ?   (gammm slinkato qui: ché se ne ha abbastanza! su i forconi! basta coi gammmi! vogliono il linguaggio! [vox populi] basta col linguaggio! e via gesticolare)

MAH …   [resto col dubium]

Dovendo fuggire le torce vicinàntisi, chiudo qui il post, stoppo, scappo.

in margine a un’ennesima ennesima ennesima ennesima ennesima ennesima ennesima ristampa di Neruda

continua la rincorsa dell’editoria italiana alla retorica del ‘900. retorica sempre afferrata, sempre mostrata (ed) evidente, ma (anzi: di conseguenza) evidentemente sempre vendibile e venduta.

il successo e loop e trip di Neruda “significa” e per certi aspetti anche “determina” concretamente (distributivamente) l’insuccesso anzi il decesso della scrittura di ricerca, in lingua spagnola come nelle altre lingue.

l’italia è un paese di bande e fanfare, la complessità orchestrale non fa per lei.