Nader Sadaqa, un samaritano liberato dopo 22 anni di carcere israeliano, parla – dall’esilio – di resistenza, identità e lotta dei palestinesi ancora detenuti

Al-Araby al-Jadeed – 13 novembre 2025

L’edizione araba di The New Arab ha parlato con Nader Sadaqa, un samaritano palestinese liberato da Israele nell’ambito di un accordo che ha visto il rilascio di diversi prigionieri palestinesi condannati a pene detentive e all’ergastolo in cambio di prigionieri israeliani detenuti da Hamas a Gaza dal 2023.

I Samaritani, spesso descritti come la più piccola comunità etnoreligiosa del mondo, vivono principalmente sul Monte Garizim, nella città palestinese di Nablus, e a Holon, in Israele.

Seguono il Samaritanesimo, una fede strettamente correlata ma distinta dall’Ebraismo tradizionale, e sostengono di essere i veri discendenti degli antichi Israeliti, in particolare delle tribù di Efraim e Manasse, rimaste nella terra durante la conquista assira del 722 a.C. Considerano la loro versione della Torah, il Pentateuco, come l’originale e unico testo sacro.

Parlando dal Cairo, dove è stato deportato dopo l’accordo, ha proclamato che un palestinese che non resiste apertamente o non rifiuta l’Occupazione è incompleto in termini di Libertà, Umanità e Identità palestinese.

Sadaqa, di Nablus, il centro storico della comunità samaritana, ha trascorso 22 anni nelle carceri israeliane dopo essere stato condannato a sei ergastoli.

Fu arrestato all’età di 27 anni dopo una caccia all’uomo durata due anni e accusato di aver guidato le operazioni armate delle Brigate Abu Ali Mustafa, l’ala militare del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) di sinistra.

Di seguito una traduzione corretta dell’intervista dall’arabo.

The New Arab: Lei è stato condannato a sei ergastoli. Quali accuse le sono state mosse?

Nader Sadaqa: L’Occupazione (israeliana) mi ha perseguitato perché perseguita ogni palestinese.

La prova è che ora ci sono circa 6.000 detenuti amministrativi nelle carceri israeliane, trattenuti senza accuse né processo. Molti di loro sono stati incarcerati fino a dieci anni senza una sola accusa. L’Occupazione non ha bisogno di pretesti per incriminare qualcuno.

Mi hanno dato la caccia per diversi motivi. Il primo è che sono un essere umano, ed essere umano contraddice la nozione stessa di umanità dell’Occupazione. Credono nell’esclusività della propria umanità e considerano tutti i non ebrei inferiori o come altri. Secondo la loro dottrina, io sono al di sotto del cosiddetto popolo eletto.

La seconda ragione è che sono libero. La mia libertà nega la loro Schiavitù degli altri. Hanno bisogno di schiavizzarci per garantire la loro esistenza. Senza soggiogarci, la loro esistenza non può essere sostenuta.

E la terza ragione è che sono palestinese. L’essenza dell’essere palestinese non può veramente durare o esprimersi finché un’entità e un movimento Sionista maneggeranno gli Strumenti dell’Uccisione e della Distruzione.

Chiunque ignori questa intrinseca inimicizia tra palestinese e Sionista, chiunque non resista né esprima rifiuto dell’Occupazione, è incompleto nella sua Umanità, Libertà e Identità palestinese.

Il confronto con l’Occupazione non è una scelta. Come palestinesi, non abbiamo il lusso di scegliere. Il confronto è inevitabile.

The New Arab: La sua identità religiosa di samaritano in Palestina l’ha spinta a evitare lo scontro con l’Occupazione?

Nader Sadaqa: Ho tre passaporti: israeliano, giordano e palestinese, e avrei potuto vivere una vita agiata. Ma sono palestinese, e questa identità da sola mi basta.

Sono arabo per origine, influenzato dalla cultura islamica e palestinese per nazionalità. Tutte le mie radici sociali e culturali sono arabe e palestinesi.

Ecco perché sono certo che l’entità israeliana un giorno cesserà di esistere. È un’entità ostile alla storia, alla geografia, alla demografia e persino allo spirito.

Sebbene la Resistenza paghi un prezzo indefinito in un mare di dolore e sangue, ciò non significa che possa raggiungere tutto ciò per cui aspira. La strada è lunga e la sua fine non è prevedibile nel prossimo futuro, ma intraprendere questa strada è un dovere che incombe su ogni palestinese.

The New Arab: Come risponde alle accuse secondo cui la Resistenza avrebbe agito in modo sconsiderato o suicida il 7 ottobre?

Nader Sadaqa: Credo che chiunque voglia criticare la Resistenza dovrebbe prima portare un fucile in spalla. Non posso biasimare coloro che combattono sotto il fuoco costante, mentre i loro critici se ne stanno comodamente seduti in stanze ben arredate.

La Resistenza, a mani nude e con le unghie, compie miracoli contro un nemico di fronte al quale grandi Stati e vasti arsenali non sono riusciti a resistere.

Detto questo, non voglio proibire di criticare la Resistenza. Tutto può essere oggetto di critica, anche in tempo di guerra. Non etichetto i critici come traditori, ma chiedo loro di vergognarsi a volte ed esprimere le loro critiche nel luogo e al momento appropriati.

Ci sono due modi di vedere il 7 ottobre. Alcuni lo vedono come un’impresa sconsiderata volta a catturare soldati israeliani che è sfuggita al controllo, con conseguenze devastanti per il popolo palestinese.

Altri lo vedono come un passo sulla strada verso la Liberazione, un balzo che sarà inevitabilmente seguito da altri, assicurando che la ruota della Liberazione continui a girare. In questo senso, un giorno potresti essere in fondo e il giorno dopo, mentre la ruota gira, risalire.

Dal mio punto di vista, il 7 ottobre è un episodio di una lunga catena di eventi sulla strada della Liberazione.

Si può considerare che abbia aperto all’Occupazione un varco per invadere Gaza. Ma questo trascura un’altra realtà: una coalizione di governo di estrema destra in Israele che non poteva tollerare l’equilibrio di terrore instaurato dalla Resistenza a Gaza. La spinta a distruggere la Resistenza di Gaza era inevitabile sotto questo governo, indipendentemente dal fatto che il 7 ottobre si verificasse o meno.

Ciò che il 7 ottobre ha fatto non ha fatto altro che accelerare questo corso. Ciò che ha reso il 7 ottobre diverso, tuttavia, è stato il fatto che la Resistenza è riuscita a liberare più di 400 detenuti che scontavano ergastoli e lunghe pene detentive, il cui tempo era ormai trascorso e la cui storia era stata in gran parte dimenticata.

The New Arab: Ci parli dell’esilio come forma di punizione per i prigionieri rilasciati che vengono banditi dalla loro Patria.

Nader Sadaqa: Sono arabo nello spirito e la Palestina fa parte della mia identità araba. La mia presenza in qualsiasi Paese arabo è per me un’estensione di ciò che sono.

Qui in Egitto, ho trovato calore e compassione che leniscono i nostri cuori in quello che alcuni potrebbero chiamare esilio, se così si può chiamare.

Ma lasciatemi dire questo: l’Occupazione sta conducendo una campagna senza precedenti di minacce e repressione contro i prigionieri liberati che sono tornati in Palestina. Vivono sotto la costante minaccia di un nuovo arresto, e alcuni sono stati effettivamente arrestati di nuovo.

Oggi, ad esempio, l’Occupazione punisce le famiglie dei prigionieri esiliati negando loro il diritto di farci visita o persino di raggiungerci.

The New Arab: Continuerete la lotta? E quali sono i vostri mezzi di Resistenza?

Nader Sadaqa: Sto già resistendo. Il mio ruolo qui è ricordare al mondo che migliaia di prigionieri rimangono nelle carceri dell’Occupazione senza alcuna prospettiva di rilascio nel prossimo futuro, una realtà molto più cupa di prima del 7 ottobre.

Stanno subendo le forme più brutali di Tortura e ogni giorno vengono aggrediti da cani rabbiosi.

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Traduzione: La Zona Grigia

Fonte: https://www.newarab.com/features/palestinian-samaritan-nader-sadaqa-22-years-israeli-prison