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linkografia spiccia per un contributo su lirica sì lirica no lirica non so

Lirica no? Lirica sì?
>> mark it with “B” ! <<

Pat-a-cake, pat-a-cake, baker’s man.
Bake me a cake as fast as you can
Pat it, and prick it, and mark it with “B”
And put it in the OVEN for Baby and me!

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https://youtu.be/1np-nrJ5kO0
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https://youtu.be/kgpxvjw0-Nk

dans cette zone de propositions qui relèvent du post-poétique

« Formaliste » devient alors une étiquette affectée d’un coefficient plus ou moins négatif selon les cas et les contextes. On est bien sûr toujours le formaliste de quelqu’un. Quoi qu’il en soit du caractère inadéquat des attendus polémiques, ou de leur pertinence très relative (je veux bien en effet passer pour formaliste aux yeux de ceux qui veulent que toute écriture de recherche implique une surestimation de la forme, et antiformaliste aux yeux des positivistes du mécano métrico-rhétorique), il reste que je crois me trouver dans cette zone de propositions qui relèvent du post-poétique, soit du côté d’une indifférence aux questions formelles qui continuent d’agiter le champ poétique stricto sensu, celui qui cherche à confirmer et consolider le principe d’une spécificité formelle de la poésie, d’une littérarité poétique. À mes yeux cette question ne se pose pas, ou pour le dire de façon abrupte : la (ou les) pratiques(s) postpoétiques se situent au-delà du principe de poéticité (donc encore davantage au-delà ou en deçà du principe de métricité, néométricité, etc. telles qu’on les discute encore dans certains milieux.)

Jean-Marie Gleize, Simplifications / conversions,
in «Formules», n. 13 (2009),
“Forme et informe”: http://www.formules.net/

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ron silliman: “la frase nuova” (trad. di gherardo bortolotti)

pdf @ slowforward:
https://slowforward.files.wordpress.com/2023/06/silliman_-la-frase-nuova_-trad.g.bortolotti.pdf

post @ gammm:
https://gammm.org/2021/01/30/la-frase-nuova-ron-silliman-1987/

cantiere: bruno snell, eraclito

Già Schleiermacher (fr. 10 della sua numerazione, p.333) traduce: “Il signore, il cui oracolo si trova presso i Delfii (sic), non spiega né nasconde ma accenna (deutet an)”. E da allora questa traduzione: “accenna” si è conservata. Ma così la proposizione non presenta una contraddizione? Se Apollo “accenna” soltanto, allora evidentemente esiste per lui un’effettiva univocità che per una qualche considerazione egli tace: dunque egli nasconde qualcosa. Ma Eraclito dice esplicitamente che egli non nasconde nulla. E poi semaíno non significa mai “accennare”. Esso significa: dare un segno. Del resto esso viene impiegato anche con particolare riferimento a segni divini. Ma qui cosa potrà significare questo: egli dà un sema?

Si richiami soltanto alla memoria di quale specie erano gli oracoli cui Eraclito può riferirsi. In Erodoto leggiamo che quando a Delfi Creso si informò sulla progettata campagna contro i Persiani, gli fu fatta la seguente profezia (Erodoto, I 53): “se tu oltrepassi l’Ali, distruggerai un grande impero”. Questo è un tale […] oracolo “a doppio taglio e a due facce” (come dice una volta Luciano, Juppiter Tragoedus 43) che non esprime chiaramente ma neppure nasconde, bensì – questo è decisivo – che dà il senso e il senso contrario. La risposta del dio presenta un sema, un simbolo, che semplicemente c’è.

E semaínein è il termine proprio per “significare” (bedeuten). Qui abbiamo il collegamento con il logos di Eraclito. Anche il logos, il senso, semaínei, non parla univocamente come il nume ma neppure nasconde nulla, bensì c’è in quanto sema e “significa”. Questo logos è effettivamente simbolo del mondo, poiché anch’esso semplicemente c’è, indifferenziato e unitario, come l’universale.

I giovani pescatori che si cercavano i pidocchi si sono rivolti all’indirizzo di Omero in questo modo (fr. 56): “quante cose abbiamo viste e prese, tante lasciamo; quante non ne abbiamo né viste né prese, tante con noi rechiamo”. Ma Omero non ha intuito il doppio senso, così come Creso non ha compreso la duplicità di senso dell’oracolo. E così anche gli uomini si lasciano ingannare dalla gnosis ton phaneron (conoscenza delle cose evidenti). La storia che narra come Omero sia morto di disperazione per la sua confusione di fronte a questa proposizione di sicuro non è granché spiritosa. Ma Eraclito la riprende, perché è un esempio semplice e ben conosciuto per ciò che considera come l’essenziale del logos. Chi nel linguaggio non vede nient’altro che uno strumento, per fissare e trasmettere una determinata conoscenza, non comprenderà mai qualcosa del senso profondo del mondo, così come esso appare nel linguaggio, e del significato autentico del logos. In Eraclito, quindi, la predilezione per i giochi di parole non è mai soltanto uno scherzo spiritoso, bensì un richiamo costante a questa singolare essenza duplice del logos, che ha significato univoco e tuttavia duplice.

Bruno Snell, Die Sprache Heraklis (1926)
Tr.it. di B.Maj: B.S., Il linguaggio di Eraclito, Corbo, Ferrara 1989, pp. 24-26

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“la coscienza è un cut-up; la vita è un cut-up” _ [replica]

da http://gammm.org/index.php/2012/12/20/vuol-dire-quello-che-vedete-effettivamente-william-burroughs/

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Ora il montaggio è davvero molto più vicino ai fatti della percezione, della percezione urbana almeno, che non la pittura figurativa. Fate una passeggiata per una strada di città e mettete già, su una tela, quello che avete appena visto. Avete visto mezza persona tagliata in due da una macchina, pezzi e bocconi di cartelli stradali e pubblicità, riflessi da vetrine — un monteggio di frammenti. E la stessa cosa accade con le parole. Ricordate che la parola scritta è un’immagine. Il metodo del cut-up di Brion Gysin consiste nel tagliare a pezzi pagine di un testo per rimetterli insieme in combinazioni a montaggio. La pittura figurativa è morta, a meno che forse il nuovo fotorealismo si affermi. Nessuno più dipinge mucche nell’erba. Il montaggio è un vecchio trucco in pittura. Ma se applicate il metodo del montaggio alla scrittura, siete accusati dai critici di promulgare un culto di ininitelligibilità. La scrittura è ancora confinata nella camicia di forza sequenziale e figurativa del romanzo, una forma altrettanto arbitraria che il sonetto e altrettanto remota dai fatti reali della percezione e della coscienza umana quanto quella forma poetica del quindicesimo secolo. La coscienza è un cut-up; la vita è un cut-up. Ogni volta che andate giù per la strada o guardate fuori dalla finestra, il fluire della vostra coscienza è tagliato da fattori a casaccio.

[William Burroughs, The Last Potlatch, tr. it. di G.Saponaro, in
Id., La scrittura creativa, Sugarco, Varese 1981, 1994: pp. 32-33]

Brion Gysin ha parlato molto della relazione tra scrittura e pittura. Spiega come la pittura renda perfettamente esplicito un certo numero di caratteristiche della percezione umana. In breve, mostra alla gente qualcosa che conosce ma non sa di conoscere. Quando Cézanne ha esposto le sue prime tele per la prima volta, nessuno ha saputo vedere che erano semplicemente una mela, un’arancia o un pesce visti sotto un certo angolo. Io ho una tela di Brion Gysin su cui si possono vedere dei veicoli disposti su strati diversi, si tratta molto semplicemente di un taglio nel tempo. Se andate per strada, specialmente una strada che conoscete bene, non vedete soltanto le macchine che ci stanno, ma vedete anche quelle che c’erano ieri, che c’erano dieci anni fa, e questo per associazione mnemonica. Ma se mostrate questo fenomeno su una tela, la gente spesso dice: «Cosa vuol dire?». Vuol dire quello che vedete effettivamente: i dati della percezione umana. Questi dati sono resi espliciti nella pittura come nella scrittura, come in altre forme, per esempio nel cinema. 

Spesso la gente è disorientata nello scoprire ciò che sa già senza sapere. 

[William Burroughs, colloquio con
Gérard-Georges Lemaire, in Ibid., p. 111]

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de la production d’existence humaine dans les nouveaux contextes historiques

S’il n’est plus question, comme aux périodes antérieures de lutte de classes ou de défense de la «patrie du socialisme», de faire fonctionner une idéologie de façon univoque, il est concevable, par contre, que la nouvelle référence écosophique indique des lignes de recomposition des praxis humaines dans les domaines les plus variés. A toutes les échelles individuelles et collectives, pour ce qui concerne la vie quotidienne aussi bien que la réinvention de la démocratie, dans le registre de l’urbanisme, de la création artistique, du sport, etc., il s’agit à chaque fois, de se pencher sur ce que pourraient être des dispositifs de production de subjectivité allant dans le sens d’une re-singularisation individuelle et/ou collective, plutôt que dans celui d’un usinage mass médiatique synonyme de détresse et de désespoir. Perspective qui n’exclut pas totalement la définition d’objectifs unificateurs, tels que la lutte contre la faim dans le monde, l’arrêt de la déforestation ou la prolifération aveugle des industries nucléaires. Seulement, il ne saurait plus s’agir là de mots d’ordre stéréotypés, réductionnistes, expropriant d’autres problématiques plus singulières et impliquant la promotion de leaders charismatiques.
Une même visée éthico-politique traverse les questions du racisme, du phallocentrisme, des désastres légués par un urbanisme qui se voulait moderne, d’une création artistique libérée du système du marché, d’une pédagogie capable d’inventer ses médiateurs sociaux, etc. Cette problématique, en fin de compte, c’est celle de la production d’existence humaine dans les nouveaux contextes historiques.

Félix Guattari
Les trois écologies 
Editions Galilé, Paris, 1989

sources: 
https://www.facebook.com/millepianieterotopia
https://www.facebook.com/liliane.giraudon/posts/129950967174532

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jean-marie gleize: écrire contre

Gleize su Ponge: “1) écrire c’est écrire contre (corollaire: qui n’écrit pas contre en réalité n’écrit pas) […] 3) écrire c’est écrire […] au-delà du nom propre, contre tel effet d’école ou de mouvement, contre telle idéologie constituée, historiquement définie de la poésie […] 4)  en un sens plus large encore, et plus difficile à déployer, écrire c’est écrire contre la littérature déjà là, c’est-à-dire comme si la littérature n’avait jamais eu lieu vraiment, comme s’il s’agissait de l’inventer. Il y a une relation entre l’écrire contre en ce sens et la méthodologie de la Table rase (qui fait partie, bien sûr, de l’imaginaire théorique de Ponge)”

[…]

Ponge (citato direttamente da G. nello stesso saggio, poco più avanti): “mon dessein n’est pas de faire un poème, mais d’avancer dans la connaissance et l’expression du bois de pins, … etc”

Jean-Marie Gleize, Écrire contre, in: Ponge, résolument,
ENS Éditions, Lyon, 2004, pp. 119 e 121

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