Archivi tag: Alberto Grifi

schegge di utopia. il cinema underground italiano. ritratto di alberto grifi / paolo brunatto. 2004

Schegge di utopia – L’underground Cinematografico Italiano questo sconosciuto – 12 Puntate di 45′ l’una – Ritratto di 12 autori:

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la scomparsa di gianfranco baruchello

La notizia della scomparsa di Gianfranco Baruchello è dolorosa e spinge ovviamente a ricordarlo attraverso i moltissimi esperimenti da lui condotti e realizzati nel corso del tempo. Cosa particolarmente difficile, vista la quantità pressoché incalcolabile delle opere.

Gianfranco Baruchello_ Fotografia di Dino Ignani

Un riferimento iniziale (importante anche per chi scrive) può essere alla Verifica incerta (1964), con Alberto Grifi: https://gammm.org/2012/12/27/la-verifica-incerta-a-grifi-g-baruchello-1965/

Ma sono centinaia gli oggetti e progetti, i materiali.

Qui un minimo minuscolo elenco di riferimenti sparsi, nelle molte occasioni in cui negli ultimi vent’anni slowforward ha seguito l’attività dell’artista e – ovviamente – di Carla Subrizi:

Il rapporto più volte stabilito con le iniziative di RomaPoesia (2005 qui e qui, 2006, 2007).

Le formule (2009)

Agricola Cornelia (1973…)

Come ho dipinto certi miei quadri (1976), file @ Archivio Maurizio Spatola

Un altro giorno un altro giorno un altro giorno (2007)

sezione dedicata a Gianfranco Baruchello in OEI n 67/68, 2015

in “OEI” 67/68 (2015)

Una sezione monografica interamente dedicata a GB era nella rivista svedese “OEI”, a cura di Gustav Sjöberg: https://slowforward.net/2015/11/08/oei-n-6768-scrittura-non-assertiva-numero-monografico-sullitalia-2/

Quattro agenzie per la produzione del possibile (2016)

conversazione al Maxxi (2018)

doux comme saveur (2018)

@ Centre Pompidou, Archive of Moving Images 1960-2016 (2018)

La Psicoenciclopedia possibile (2020)

arbor editions (2022)

Ulteriori riferimenti:
https://slowforward.net/tag/gianfranco-baruchello/
e https://slowforward.net/?s=baruchello

 

 

 

 

frammento: enrico ghezzi su alberto grifi / video: “da alberto grifi a blob”, di maraboshi

daccapo, e per l’ennesima volta (come per CB), una affinità: quello che enrico ghezzi dice su Alberto Grifi e il suo cinema è quello che si potrebbe dire su un certo tipo di scrittura di ricerca – qui in rapporto con un versante politico (e, così, con l’evitamento di una sua assertività).

operare come un occhio fuori dal vedere tecnico della cinepresa, della telecamera, della bellezza supposta dell’immagine

il video intero di Maraboshi (Cesare Maccioni) è qui:

altro, molto altro, su http://www.albertogrifi.com/
e in particolare il video di Maraboshi è qui:
http://www.albertogrifi.com/122?current_page_1820=4

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via da medium

per un tratto di tempo recentissimo e brevissimo ho pensato che Medium potesse rappresentare, almeno per me, un’alternativa non insensata all’idea di sito.
tolte però le differenze tra utenti Apple e PC/Android (esistenti, e in parte penalizzanti per i non-Apple), l’aspetto economico ha comunque pesato in maniera decisiva per farmi ricredere.

alla fin fine un frontale (e al 99% anglofono) pay-per-read interessa tutti su Medium: e non solo  quelli che pur non occupandosi di alta moda, scarpe da tennis, televisione o gossip, “producono contenuti”, ma anche quelli che vorrebbero semplicemente leggere testi su  questioni aperte in zone dell’arte contemporanea propriamente sperimentali, dunque giocoforza “di nicchia”.

e a mitigare la rozzezza della macchina non basta la clausola che dice che Medium retribuisce i blogger più seguiti; dato che l’essere più o meno seguiti rientra nella medesima logica. invece di accumulo di denaro c’è accumulo di lettori. che vengono quindi “monetizzati”. (ricordo sempre il breve intervento di Grifi sulla produzione di spettatori).

più in generale, la progressiva capillare brandizzazione delle comunicazioni in rete, e l’invadenza — oltre che l’inaccettabilità politica in molti casi — delle strutture informative e in senso ampio mediali (qui parlo in generale, non di Medium), mi convince sempre di più dell’idea di frequentare (per ora: anche) spazi radicalmente diversi. è il motivo per cui ho un blog su noblogs.org, per dire, e cercherò di lavorarci nei prossimi mesi.

ad ora, tuttavia, gli ormai 18 anni di mia invenzione e condivisione ininterrotta e gratuita di materiali attraverso slowforward.net e gli spazi web che slowforward ha inglobato, per un totale, ad oggi (11 giugno 2021), di quasi 13600 post, sono un buon motivo per continuare su WordPress.

già da qualche giorno ho preso a riproporre (e magari arricchire / variare) qui su slowforward cose uscite nella mia rapida avventura sulla piattaforma Medium, che saluto senza illusioni ma anche senza rancore. (oltretutto continuando a usarla per collaborare a Repository Magazine).

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l’estate del settantasei – un ridicolo romanzetto di formazione / alberto d’amico. 2021

Viene a prendermi sotto casa Sandra, noto l’accostamento tra una camicia rosa cipria e un maglione verde muschio, un accordo cromatico ormai per me un caposaldo estetico. Camminiamo vicino all’ufficio postale progettato da Adalberto Libera, Sandra, i due Maurizii e Laura. Sandra dice, riferendosi a me, qualcosa del tipo – Vedi, lui non si vergogna di nulla, potrebbe anche spogliarsi per strada davanti a tutti. – Non so se fosse un complimento oppure no, fatto sta che la presi in parola e iniziai a togliermi la camicia patchwork che mi aveva regalato mio zio e la maglietta della salute che ancora portavo, fermandomi appena dopo aver slacciato i bluejeans. In quei giorni stiamo organizzando un concerto nella terrazza di fronte alla Piramide, proprio come i fab four appena sette anni prima, non per nulla il nome del nostro gruppo era The Spiders. Tre ragazzini tredicenni, due di nome Maurizio e uno che si chiama Alberto, una formazione semplicissima, basso, chitarra e batteria e un pubblico di amici e parenti. Non sapevo suonare un granché, come confermò l’espulsione dal gruppo di qualche mese più tardi. Ma la serata andò bene, anche perché oltre al pubblico menzionato venne anche la polizia, chiamata da qualcuno infastidito dallo smiagolamento degli strumenti elettrici e dalle mie percussioni. Dopo una breve ramanzina i due agenti se ne vanno, ma tanto avevamo già finito il repertorio e poter dire di avere avuto le forze dell’ordine a interrompere il concerto era fico. Poi alla fine di Giugno eccomi a Spoleto con la mia famiglia, come di consueto nel periodo del festival dei due mondi. Mio zio durante il festival prendeva in affitto anche un locale dove esponeva i suoi quadri. Quell’anno divise lo spazio della galleria con Sergio Ferrero di Muresanu, artista, campione di windsurf e playboy, autore di dipinti in stile naif su vetro. Ero in fibrillazione perché si preannunciava la visita di una sua fiamma, l’attrice francese Annie Belle, di cui avevo visto incredibili foto con capelli cortissimi biondo platino. Sergio Ferrero ci portava in giro per la cittadina umbra con un’incredibile Mercedes d’epoca. Quell’anno avevo appeso al muro nella grande cucina il manifesto di James Dean che regalava Ciao 2001. Quell’anno avevo appeso il manifesto di Dyane, l’auto in Jeans.

Quell’anno sempre in cucina era appeso il manifesto del festival, firmato da David Hockney. Quell’anno in casa era appeso anche un altro poster con la pippa di Khalil Gibran che iniziava con: I tuoi figli non sono tuoi, sono i figli e le figlie della vita stessa … – Quell’anno a Spoleto c’era anche Monther Al Soltan, artista iraqueno che prepara uno splendido riso alle melanzane. Quell’anno mio nonno recita le sue filastrocche e io le registro con il Philips a cassette regalo della cresima. Nella pagella di terza media i miei insegnanti (dovrei dire le mie insegnanti perché l’unico maschio era quello di educazione fisica), scrivono che sono molto portato per il disegno suggerendomi studi artistici. Non nego che ci rimango male, educazione artistica è veramente una delle materie meno importanti, avrei preferito che parlassero della mia predisposizione all’italiano e alla storia oppure alla matematica e alle scienze, consigliandomi il classico o lo scientifico. Però mio zio era un pittore e la sua vita, tra donne e mondanità varie non era per niente disprezzabile. Certo non mi sentivo bravo come lui ma proprio quell’anno mi lanciai in una serie di ritratti dei miei familiari che venivano da loro apprezzati. La mia famiglia era nel pieno della tragedia della malattia di mia madre ma quell’anno dei sette non fu certo il peggiore. A Spoleto si mangiano gli strangozzi al tartufo dal Panciolle, si seguono al Caio Melisso i concerti di mezzogiorno con l’aperitivo in piazza, si assiste agli spettacoli di balletto al Teatro Romano. Quell’anno a Spoleto c’è Andy. Con i capelli lunghi, la chitarra e il sacco a pelo in spalla, insieme alla sua compagna di cui non ricordo il nome viaggiava per l’Europa. Forse era di Edimburgo ma non ne sono convinto, forse anche no, come si dice ora. Per me era un mito, un vero hobo giramondo. I suoi capelli oltre a essere lunghi erano anche con i boccoli e striati di biondo, gli occhiali erano tondi come pretendeva la moda alternativa e il gilè a contatto con le sue spalle nude e abbronzate. Il concerto di Andy nella galleria fu un suo regalo dello zietto per me, con il Philips registrai i brani ma le pile erano scariche, quindi una volta cambiate la voce correva molto veloce. Ricordo Cat Stevens, i Rolling e poi la sua versione di Let it be, che cantammo tutti insieme, con Giulia e un altro musicista che aveva suonato addiritura con il Perigeo. In quei giorni arriva anche in moto da Roma Gigi Di Sarro, grande amico di mio zio, pittore e medico insegnava anatomia all’Accademia di Belle Arti. Le possibilità di proseguimento degli studi seguendo l’indirizzo artistico per me erano due, iscrivermi all’Istituto d’arte oppure all’artistico a via Ripetta, Gigi, dopo aver riflettuto, con quel suo modo caldo, appassionato, leggermente enfatico e molto affettuoso mi dice, se t’iscrivi all’Istituto t’insegneranno le tecniche per dipingere e decorare, se invece scegli il liceo artistico puoi diventare intelligentissimo oppure matto. Cosa poteva scegliere un povero ragazzo disperatamente alla ricerca di qualcosa che gli fornisse un po’ di fascino di cui si sentiva sprovvisto? La casa di Spoleto era un continuo porto di mare, Anna la bionda biologa fidanzata con mio zio, Viviana, Mario e, mia zia con Mariolina. E poi arrivò Sandra. Lei frequentava gli scout, era abituata a dormire nel sacco a pelo e scelse di dormire nella nostra cucina. La cucina della casa di via Aurelio Saffi era una perfetta stanza degli ospiti, con letti di fortuna. Mi accorgo ora che l’atmosfera di quella vacanza la ritrovai in parte nel film di Bertolucci, e Sandra somigliava un po’ alla protagonista, quella che ballava da sola. I brevi giorni in cui Sandra rimase con noi furono per me carichi di turbamento. Un pomeriggio io e Sandra andammo al ponte, lo attraversammo e ci sedemmo sui ruderi. A un tratto inizia a piovere, lei era in hot pants. La prima goccia le bagna la gamba. Coraggiosamente inizio con il dito a spandere quella goccia e dopo qualche secondo immobile nel tempo, simile alla scena di Jep che nuota nel flashback a Capri, c’incamminiamo verso casa per non bagnarci. Tornammo a Roma in macchina, io e lei eravamo seduti dietro e l’accompagnammo a casa di sera. Ho il vuoto di cosa accadde dopo, probabilmente come sempre andammo in Abruzzo, ma il primo Settembre morì mia nonna paterna e tornammo a Roma di corsa. Nonna Maria mi voleva molto bene, mi trascinava su una coperta per il corridoio di casa sua, mi canticchiava filastrocche ormai demodé, conservava un accento romano ormai storico, diceva “ciavo” invece di ciao, e la mattina diceva “vado a Roma”, memore di quando la sera chiudevano la porta San Paolo e le mura delimitavano la città dalla campagna. Soprattutto ho il ricordo indelebile di quando andavamo a trovare nonno Alberto al San Camillo dopo l’operazione alla cataratta o forse il secondo infarto e prima di entrare lei mi compra Devil numero undici.

Durante il funerale inizio a sentire dolori molto forti all’addome e mi trovo dopo poco in ospedale, operato la sera stessa per un’appendicite quasi peritonite. Il mio primo ricovero non fu affatto male, una vita in comune, nelle camerate del Regina Margherita a Trastevere, con il suo bel chiostro. Lì conobbi uno un po’ più grande, forse un sedicenne, che oltre a iniziarmi alla lettura di Linus mi mise a parte dell’informazione che noi potremmo sopravvivere solo cibandoci di latte e arance, una strampalata teoria, una delle tante diffuse in quegli anni, eravamo immersi in uno spirito ingenuo e bizzarro che molti anni dopo vidi descritto nel film Idioti di Lars von Trier e nella strana docufiction Anna di Alberto Grifi. Venne Sandra a trovarmi e mi portò Sulla strada, che lessi con una certa difficoltà devo ammettere, forse avevano fatto bene a non suggerirmi il classico. Dimesso dall’ospedale mi ritrovai con il peso al mio minimo storico, sotto i sessanta chili, con felicità, perché ho sempre invidiato la magrezza al pari dei capelli mossi.
A settembre mio zio riunì tutta la banda di Spoleto nel suo giardino a piazza Bologna, Andy e la compagna di passaggio a Roma, Giulia Pignatelli e venne anche Sandra. In una foto con sguardo mesto penso ai casi miei, al profumo dei tigli nella Spoleto deserta del dopofestival, nella mia camicia pachwork, probabilmente sto pensando ai cambiamenti in arrivo, il liceo, l’abbandono della batteria come strumento in favore della chitarra ma soprattutto una scelta che si stava palesando come radicale, abbandonare la riga da un lato che conservavo fin dall’asilo in favore della riga in mezzo, come John Lennon.

Alla fine dell’estate e ancora oggi serbo il ricordo del profumo inebriante dei tigli di Spoleto

Il festival finì come ogni anno e noi, tornati a Spoleto, potevamo inebriarci dell’odore dei tigli.