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notilla ennesima sul contesto noto come “poesia italiana contemporanea”

il più bel libro di *oesia degli ultimi x anni, si sente dire.
dove “x anni”= 10 minuti.
si accontentano di poco, per molto poco.
e: con grande sincerità.

nella critica (nome sbagliato, ma facciamo finta che ci si capisce) della poesia italiana contemporanea non c’è neanche bisogno di mentire. la menzogna è l’ambiente intorno, tutto il contesto. basta essere fedeli al contesto, aderenti, e fa tutto lui.

altri nomi per altre scritture: due interventi recenti, anche su academia

Due interventi recenti (uno relativamente vicino) ho pensato fosse utile inserirli anche in Academia. Non essendo uno studioso ‘incardinato’, anzi tenendomi ben lontano dall’università, posso permettermi di inserire anche dei ‘draft’ incompleti (perfino giocosi, in qualche caso).

Cfr. https://uniroma1.academia.edu/MarcoGiovenale/Drafts (con bonus track su Bordini)

due interventi recenti di Marco Giovenale su Academia.edu

Fin dall’inizio del Novecento, se non da prima, si sono attestati altri nomi, e prima ancora altre forme, ad affiancare o francamente sostituire il vocabolo “poesia”. Dalle “epifanie” joyciane, dalle infinite escursioni verbali e verbovisive di Emilio Villa, fino alle prose in prosa francesi e italiane, il percorso è costellato di ‘entità’ scritte che sembrano scavalcare e beffare le divisioni in generi letterari, e non semplicemente allargare il contenitore poesia, ma uscirne completamente e – si direbbe – definitivamente, lasciando a chi resta (nel contenitore) di baloccarsi con versi, rime e ritmi.

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I due testi sono disponibili anche su archive.org:

https://archive.org/details/nioques-frisbees-e-altre-deviazioni

https://archive.org/details/poesia-non-morta

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contro lo stile: l’anti-comunicazione dei graffiti senza alfabeti e senza bei disegni (magari colorati)

graffiti art by runegraff

(C) by runegraff

A differenza di un buon numero di altre realizzazioni dello stesso artista, mi piace molto  questo murale  perché non ha nessuna intenzione comunicativa ‘normale’. Innanzitutto è complesso, è formato da numerosi elementi grafici, fitti, che hanno richiesto non poco tempo per essere organizzati: segno che l’autore si è impegnato coscientemente, intenzionalmente, a evitare i due classici clichés di tutti i graffiti.
Voleva cioè evitare tanto l’uso alfabetico o simil-afabetico quanto il bel disegno, magari colorato, la pittura.
Non si tratta cioè di un’opera lasciata a metà sul cammino verso la comunicazione alfabetica o …cromosemantica. Lavora su un proprio fronte, che è altro. (Ma non è nemmeno asemico).

Non fa calligrafia né del segno verbale né del segno pittorico. Né, a ben vedere, si caccia nei vicoli ciechi del trash neo-neoespressionista.
L’impressione è semmai quella di trovarsi davanti a una macchina-ragno, accattivante e insieme ostile, perfettamente disinteressata ai nostri canoni estetici.

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E non è un caso che due tra i vari tag contenuti nell’immagine siano @antistylers e @othersidegraff, ossie due luoghi di instagram dove il bel disegno e la bella (ma anche brutta) scrittura sembrano avere poco spazio.

ma no, ma no, ma ni, non è morta, la poesia, su

Man Ray, Paris, mai, 1924

coraggio, editorialisti e notillatori, in rete e fuori, non prendete per forza alla lettera la grigiorosea parola postpoesia: non v’impauri, campioni.

la poesia non defunse, anzi della sua viridescente vis voi siete – è fama – i promoter più scafati e, mi si consenta, fichi.

è stagione, tuttavia, che dai vostri castelli vitivinicolmente muniti oscilliate il benigno capo a far sonare il sì, a testimoniare – intendo – che nelle vostre medesime letture tante tante volte v’è occorso di non incontrare il vocabolo che amate, ossia la non-morta poesì (avvezza a resurgere ogni minuto), bensì qualche altro lemma, diverso, divergente, che magari con la suddetta non aveva accidente alcuno da spartire. (obstupescit reader).

facendo mente locale:

epiphanies (James Joyce 1900-1904), tender buttons (Gertrude Stein 1914), tropismes (Nathalie Sarraute 1939), notes (Marcel Duchamp, pubbl. post. 1980), nioques (Francis Ponge 1983, Jean-Marie Gleize), proêmes (Ponge), textes pour rien (Samuel Beckett), antéfixes o dépôts de savoir & de technique (Denis Roche), descrizioni in atto (Roberto Roversi), verbotetture (Arrigo Lora Totino 1966), bricolages (Renato Pedio), domande a risposta multipla (John Ashbery; e cfr. Alejandro Zambra, nel nostro secolo), mobiles o boomerangs (Michel Butor), visas (Vittorio Reta), postkarten (Edoardo Sanguineti 1978), sentences (Robert Grenier 1978), subtotals (Gregory Burnham), films (Corrado Costa), schizografie (Gian Paolo Roffi), drafts (Rachel Blau DuPlessis), esercizi ed epigrammi (Elio Pagliarani), frisbees (Giulia Niccolai), anachronismes (Christophe Tarkos), remarques (Nathalie Quintane), ricognizioni (Riccardo Cavallo), anatre di ghiaccio (Mariano Bàino), lettere nere (Andrea Raos), linee (Florinda Fusco), ossidiane e endoglosse e microtensori e “installances” (Marco Giovenale 2001, 2004, 2010, 2010), tracce (Gherardo Bortolotti 2005), prati (Andrea Inglese), diphasic rumors (Jon Leon 2008), united automations (Roberto Cavallera 2012), paragrafi (Michele Zaffarano 2014), incidents (Luc Bénazet 2018), sentences (Cia Rinne 2019), defixiones (Daniele Poletti),  avventure minime (Alessandro Broggi), développements (Jérôme Game), conglomerati (Andrea Zanzotto), saturazioni (Simona Menicocci), nughette (Leonardo Canella), sinapsi (Marilina Ciaco), dottrine (Pasquale Polidori), disordini (Fiammetta Cirilli), spostamenti (Carlo Sperduti), spore (Antonio F. Perozzi). E aggiungerei le frecce di Milli Graffi.

veh, quante cose si posson leggere gioendo, senza per questo ammazzare la P maiuscola. come dite? ciò purtuttavia vi noia?

ah ma ecco allora perché Emilio Villa così parsimoniosamente o punto pregiate, e v’irrita.

invece che poesie ha scritto “cause”, “variazioni”, “attributi”, “phrenodiae”, “méditations courtes”, “videogrammi”, “letanie”, “sibille”, “trous”, “labirinti”, “tarocchi”, … tutte forme disperse come, già nel 1949, i suoi “sassi nel Tevere”.

è una litofobia, la vostra, ora intendo.

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eshes / emilio villa. s.d.

da: Claudio Parmiggiani (a cura di), Emilio Villa poeta e scrittore, Mazzotta, 2008

sulla luna (audio) / marco giovenale. 2016-2019

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Sulla Luna (testo già comparso su «l’immaginazione» e «Poesia») in formato audio su RaiPlay: https://www.raiplaysound.it/audio/2020/02/3-sulla-Luna-Poeti-sulla-Luna-5a7c1671-39ca-4e04-92d2-d4434c5180cb.html = https://www.raiplayradio.it/audio/2019/06/3-sulla-Luna-Poeti-sulla-Luna-18822373-d7b7-4f1d-932f-960d4cd05f29.html (in séguito all’uscita su «Poesia», nell’ambito del ciclo https://www.raiplaysound.it/playlist/poetisullaluna a cura di M.G.Calandrone)

il testo:
https://slowforward.files.wordpress.com/2021/07/mgiovenale_-sulla-luna_-02-dic-2015-18-lug-2021.pdf

post precedenti:
https://slowforward.net/2021/07/19/sulla-luna-marco-giovenale-2015-2021/  https://slowforward.net/2019/07/24/sulla-luna-_-lettura-radio-tre/
https://slowforward.net/2019/07/29/poeti-e-prosatori-sulla-luna-rai-radio3-e-poesia-n-350-mariangela-guatteri-et-alii/

gli artisti, non i poeti

Joseph Kosuth, Art as Idea as Idea, 1967

Guardando le fotografie e i materiali di documentazione nel post di Pasquale Polidori che ho condiviso stamattina su FB (https://bit.ly/3uY97GR e https://t.ly/5P6R) mi rendo conto una volta di più di un’evidentissima evidenza.

Ossia che non c’è niente da fare: gli unici giovani (e meno giovani) in grado di mettersi immediatamente e senza elucubrazioni in sintonia con le scritture di ricerca, la sperimentazione linguistica in ambito concettuale e non solo, sono gli artisti.

Inutile aspettarsi qualcosa dai (o: dalla stragrande maggioranza dei) “giovani poeti”. (Dai vecchi meno che mai).

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unwriting / jim leftwich. 2022

Unwriting
Jim Leftwich
Summer 2022
Nevada

Here it comes again, like an avalanche, oceanic, rolling across the desert, every imaginary uprooted route at once, enough to make you think it has a mind of its own, language cannot be trusted to mind its own business, sit down and shut up, work independently without disturbing others.

The word “unwriting” arrived most recently in my mind’s ear as a misreading of my first thing in the morning no glasses on handscrawled note about “the unwilling”.

What, then, is this unwriting? Is it a rewriting of a misreading? Is it an acknowledgement of misreading as rewriting? Is it the revelation of a parallel text, a parallel universe, another world is possible, the ancient branes of string theory, asemic messages encoded in those astonishing photographs from the James Webb telescope?

I think we know. Life is more than life. Language is more than language. Life is never life and life only. Life is beside itself with joy, beside itself with bewilderment, disbelief, semiosis, mitosis, osmosis, baskets of fish and loaves of bread, the news from far and near, some of which is true, the felt presence of experiential reality.

You can’t step in the same stream walking beside the lake, where the two creeks flow in from the mountains to the west, reading an old book of poems, remembering how it all got started in your tiny little life your tiny little world, what that small patch of the cosmos looked like 5 billion years ago, twice.

That is another reason, if not several, for wandering wide-eyed in the wonder, while the species is surely dying of its own devices, and there is no humanly semiotic future to care for our writings or unwritings, singing, between the two deserts, having driven ourselves softly or brutally insane, such that the human experiment seems to have failed entirely, if we can say so in some sort of poem, what hypothesis exactly was the experiment meant to test?