This filmdocuments only one of the several hundred ethnic cleansing operations that took place at the birth of the Israeli state in 1948, in this case in the village of Tantura
da oggi slowforward ha una sua pagina e dunque un archivio attivo su archive.org (Internet Archive), lo spazio d’archivio web più ampio, consultato e generoso (gratuito) esistente al mondo.
l’indirizzo della pagina èhttps://archive.org/details/@slowforwarde nel tempo ospiterà quanti più file del sito slowforward mi sia umanamente possibile caricare.
ovviamente gli argomenti sono gli stessi del sito, ovvero:
n.b.: il “no lirica” va ridimensionato: nel senso che esiste una complessità anche nell’uso del versante definibile lirico, all’interno della produzione sperimentale passata e presente. oggi dovrei correggere questo tag (l’immagine risale infatti a parecchi anni fa) con “no assertività”.
Denis Roche, lors de la sortie du volume La poésie est inadmissible, au Seuil, déclarait ceci à Arnaud Viviant dans Libé : «Et j’ai toujours trouvé saugrenu qu’on ne dise pas d’un poète que c’est un écrivain. Au fond, c’est très étrange. Si vous écrivez un seul roman dans votre vie, nul ne songe à vous appeler romancier. Mais faites un livre de poésie, et toute votre vie on dira: le poète.C’est une des choses que je trouve débilitante dans ce qu’est devenue la poésie, depuis le romantisme probablement. Une espèce de label, relevant très nettement du statut social, et qui vous est octroyé sur un mode toujours sublimé, augmentatif. Pourquoi un exposant aussi valorisateur est-il attaché à cette pratique littéraire? Lorsque vous voyez des hommes politiques en campagne qui, sous prétexte qu’ils sont consultés dans une émission littéraire, prennent des airs ravis, les yeux à demi-clos, pour parler de poésie, on est encore dans ce statut-là. Oui, à cet exercice-là est attaché quelque chose qui est de l’ordre de la décoration sociale. Qu’elle soit devenue cela est une des choses qui me font dire que la poésie est inadmissible.»
Sabato scorso, invitato a Ciampino (Roma) a intervenire, con altri, sui temi trattati dal libro di Gianluigi Simonetti, La letteratura circostante (Il Mulino, 2018), ho pensato di mettere a fuoco alcuni elementi di crisi emersi nella poesia italiana tra fine anni Sessanta e fine Settanta, esponendo il mio punto di vista. Qualcosa ho anticipato qui su slowforward in un testo dedicato al cambio di paradigma e allaricerca letteraria come “evento aprente” (ossia non apocalittico, o di chiusura). Ora invece ripropongo l’audio completo dell’intervento di sabato, qui su Pod al popolo. Il podcast irregolare, ennesimo fail again fail better dell’occidente postremo. Buon ascolto. _
_ (N.b.: l’audio si apre con una lettura estratta dal libro di G. Simonetti) _
Quindi fare i conti col linguaggio senza un io. Un iismo. Quello lo lasciamo agli asini. Ma non se ne può più d’uno stucchevole degli affetti, dell’anima bella, della “postal cartolin”, degli innamorati. Tutto ciò appartiene a un codice dell’imbecillità, della mediocrità… Nel dopo-Joyce, …per esempio, l’identità: tutta per aria. Salta tutto. È già saltata.
Sequenza tratta dal film Modi di vivere. Giorgio Colli: una conoscenza per cambiare la vita, del 1980, per la regia di Marco Colli.
«Perché i sapienti erano detti ‘ terribili ’ dagli antichi? Forse per venerazione, forse perché nessuno era capace di scoprire a quali fini mirassero le loro parole. Ma oggi i filosofi sono agnelli! Anche il filosofo è un commediante? Guardate i suoi concetti, quando lo spettacolo è finito; la pergamena è srotolata per intero. Ecco il burattinaio che ripone, inerti e afflosciate, le marionette del suo giuoco, che ne raccoglie i fili arruffati. (…) È forse un pathos filosofico l’attrazione verso l’enigma? Chi tenta di interpretare il mondo come un enigma è mosso da un istinto serio, ferreo, profondo, violento, quasi per il presentimento che in fondo alle cose vi sia un filo conduttore, scoperto il quale sia possibile tracciare il disegno per uscire dal labirinto della vita e, insieme, da un istinto giocoso, lieve, avido di imprevisto, dall’ebbrezza di chi toglie con meditata lentezza i veli dall’ignoto. Che cos’è la tracotanza del pensiero? Il nostro è un secolo di anarchia filosofica, e in questa labilità c’è una lusinga, un pericoloso stimolo alla sfrenatezza. La tracotanza sta in agguato e a poco valgono le maschere. Se diciamo che tutto è apparenza, siamo pessimisti? Chi non ha sguardo per l’apparenza è incline alla calunnia. Il mondo è una festa della conoscenza — e oggi forse più che mai, nel periodo empedocleo in cui viviamo — e ovunque lo spettacolo, la manifestazione visibile della vita, celebra un trionfo. Alla fine il riso, oppure? Sì, ma il riso è uno spasimo espressivo. I dadi sono gettati e ancora rotolano: eppure, quando si arrestano, mostrano qualcosa che non è un giuoco.»
Ogni giorno siamo informati della repressione israeliana contro la popolazione palestinese. E ogni giorno più distratti dal suo significato, come vuole chi la guida.
Cresce ogni giorno un assedio che insieme alle vite, alla cultura, le abitazioni, le piantagioni e la memoria di quel popolo e – nel medesimo tempo – distrugge o deforma l’onore di Israele.
In uno spazio che è quello di una nostra regione, alle centinaia di uccisi, migliaia di feriti, decine di migliaia di imprigionati – e al quotidiano sfruttamento della forza-lavoro palestinese, settanta o centomila uomini – corrispondono decine di migliaia di giovani militari e coloni israeliani che per tuttala loro vita, notte dopo giorno, con mogli, i figli e amici, dovranno rimuovere quanto hanno fatto o lasciato fare. Continua a leggere→
Una registrazioncina di breve brano da Prosa in prosa (Le Lettere 2009, Tic 2020), libro nocivo alla Patria quant’altri mai. Ora su Pod al popolo. Il podcast irregolare, ennesimo fail again fail better dell’occidente postremo. Buon ascolto.